UN TEOREMA FACILE FACILE
Nella maggior parte delle Nazioni che, più o meno convintamente, condividono il sistema di governo democratico, si è diffusa e ha preso consistenza l’opinione che convivere con la mala politica dei partiti sia talvolta un “male necessario”, alla stregua di un matrimonio senza amore da accettare per pura opportunità. E ciò potrebbe anche essere almeno in parte condivisibile, se non totalmente accettabile ! Ma la politica da chi e da cosa trae origine ? Dai partiti politici, ovviamente.
Il “male” risiede nel fatto che questi ultimi sono oltremodo numerosi e difettano, in genere, di un supporto ideologico e programmatico adeguato, chiaro e costruttivo.
La loro azione, pertanto, appare confusa, aleatoria, strumentale, con le conseguenze che è facile immaginare. Per l’elettore diviene sempre più difficile comprendere, fra tante promesse elettorali ammannite con faciloneria e a cuor leggero (quando addirittura non in malafede) quali siano le prospettive da prendere in considerazione e quali siano le proposte politiche meritevoli di fiducia. E’ come cercare il famoso ago nel pagliaio.
Oltretutto, nel nauseante pollaio dei partiti, troppi galli e galletti si beccano a vicenda, con accanimento e senza limite di colpi, specie quando si offre loro la possibilità di scontrarsi nell’opportunistico e talvolta prezzolato campo di battaglia televisivo e giornalistico. La tartassata e malconcia Nazione, dal dignitoso e onorato nome di “Italia”, deve frattanto ricorrere ad ogni espediente per seguitare a marciare, in maniera quanto meno accettabile, lungo la strada della competitività internazionale o “globale”, come dir si voglia. Cosa rappresentano i partiti politici ? In teoria, sono organi associativi di persone, espressi dalla base popolare, nel contesto della struttura democratica della società, che dovrebbero porsi, come loro precipuo dovere, il fine di perseguire e realizzare, solo nel superiore interesse del Paese, obbiettivi “reali” e “concreti”, scaturenti da “un programma politico” di largo respiro. Il cittadino elettore, quali valori spererebbe di ravvisare nei “programmi politici”?
Spererebbe di trovare, precipuamente, la volontà, la determinazione e la serietà attraverso cui promuovere, incentivare e migliorare l’attività delle Istituzioni, l’ordinata crescita e integrazione dei vari settori economici e produttivi, l’organizzazione e la funzionalità di servizi amministrativi e sociali, l’attuazione di semplici e validi regolamenti volti ad assicurare la sicurezza e la vivibilità dell’ambiente sociale. Il tutto senza sovrapposizioni e scontri di poteri giurisdizionali o esecutivi che inficiano, rendendoli spesso scarsamente efficaci oltre che parecchio onerosi, l’attuazione dei tanti delicati compiti attraverso cui, a fronte delle aspettative della collettività, si estrinseca l’attività legislativa e operativa delle Istituzioni centrali e periferiche che rappresentano lo “Stato”. Ma, che cosa è lo “Stato”? Dovrebbe essere l’espressione più elevata del cuore pulsante della Nazione, di quell’unico contesto territoriale delimitato da ben precisi confini, in cui vive, opera e lavora la “collettività”. E che cosa è la “collettività”?
E’ l’insieme della popolazione che, nell’ambito dello stesso territorio nazionale, è soggetta alle stesse “leggi” e gode di uguali “diritti”, a prescindere dal ceto sociale di riferimento, dalla capacità economica di cui dispone, dalle appartenenze culturali e religiose, dai costumi e dalle tradizioni locali, dall’età e dal sesso. Che cosa sono, infine, le “leggi” e in che consistono i “diritti” dei cittadini ? Le leggi sono le codificate norme che si è tenuti a rispettare nell’ambito della legalità collettiva e della civile convivenza; i diritti sono rappresentati dall’ “eguaglianza” di fronte alla giustizia (intesa nel significato etico della parola e non come strumento di potere o di discriminazione sociale), dalla possibilità di difendersi da vessatori abusi e imposizioni, dalla pari dignità, dall’equanime fruizione dei servizi pubblici, dall’equo carico fiscale nell’ambito di una attenta valutazione della reale capacità contributiva di ciascuno. Va aggiunto, a quest’ultimo proposito, che uno Stato efficiente e onesto, amministrato con criteri di “responsabilità” e competenza, non dovrebbe fare ricorso all’abuso del prelievo fiscale “indiretto” mediante l’imposizione di imposte, bolli e balzelli vari uguali per tutti, ricchi, meno ricchi e poveri. Tutto ciò detto, quale è il grado di “responsabilità” che i “leader” della galassia politico - amministrativa dovrebbero avere nei confronti della collettività nazionale ? Dovrebbe essere simile, pur se opportunamente comparata, a quella che grava sul comandante di una nave in navigazione, nel momento in cui su di lui incombe il dovere di provvedere al benessere collettivo dei passeggeri, alla tutela della loro incolumità, al migliore possibile funzionamento (attraverso l’accorto impiego dei quadri subordinati dipendenti e del personale in genere) di ogni apparato utile o necessario alla sicurezza della nave, alla valutazione e al mantenimento della giusta rotta. Sta di fatto, però, che mentre il “comandante” di una nave, prima di assumerne il comando, ha dovuto studiare, magari di brutto, e, come suole dirsi, si è dovuto “fare le ossa” per ottenere il brevetto di “capitano di lungo corso”, quasi tutti gli esponenti del variegato quadro partitico italiano sono, di massima, personaggi prevalentemente improvvisati e raffazzonati (in parte cresciuti nei meandri della politica e in parte “prestati” dai vari settori della cosiddetta “società civile”) quando non sono, al limite, che semplici maneggioni presuntuosi, poco competenti, ciarlatani e rissaioli. Non si può non convenire che un uomo politico degno di tale appellativo, dovrebbe impegnarsi ad essere, nel momento in cui riceve una investitura istituzionale elettiva, un integerrimo e responsabile “rappresentante della base elettorale”.
Dovrebbe esistere, in ogni caso, una precisa normativa che lo obblighi a porsi in aspettativa da ogni antecedente incarico pubblico o privato e che non permetta il cumulo di compensi o parcelle derivanti da pregresse attività professionali, manageriali o impiegatizie. Senza dire poi, che a fronte dell’eventuale assunzione di responsabilità di guida dello Stato, del Governo, di un Ministero, o di qualsivoglia altro settore istituzionale, sarebbe corretto spogliarsi della propria identità partitica per assumere, “super partes”, una posizione di totale distacco da ogni settorialità, di gruppo o di fazione. Se tale non riuscisse ad essere, non sarebbe certo in grado di assolvere al compito di “rappresentanza di tutta la Nazione”, nella sua interezza, e non sarebbe compatibile, quindi, con la funzione di tutela dello stato di diritto di tutti i cittadini, nel rispetto delle norme democratiche e costituzionali. Non è male, in proposito, ricordare il reale significato del termine “democrazia”, intesa come “governo del popolo”, che dovrebbe indurre a rifuggire, quindi, da ogni esecrabile tentativo di strumentalizzare l’elettorato e le potenzialità del sistema democratico per scopi di parte, per l’ottenimento del potere fine a se stesso, o, peggio ancora, per adoperarlo come “cavallo di Troia” ai fini della conquista dei fortilizi del potere economico, finanziario e speculativo.
L’anomalo o indebito uso dei principi fondamentali della democrazia è la più grave colpa dei partiti politici e dei loro dirigenti di base o di vertice. Il sistema democratico stesso, così facendo, viene ad essere inficiato e deteriorato, incrinando il rapporto di fiducia con l’elettorato. Ecco perché, rispetto all’esigenza di una confacente rappresentatività, l’odierna classe politica nostrana appare, nel suo complesso, parecchio modesta sia sul piano ideologico che culturale, oltre che anagraficamente invecchiata. Il ricambio generazionale, a livello di personaggi di spicco, preparati e capaci, è pressoché inesistente e lascia oltremodo perplessi circa il futuro della gestione democratica del Paese. I problemi che assillano la Nazione sono notori e sono tanti, alcuni molto gravi e impellenti. La situazione economica non presenta, almeno nell’immediato, prospettive di sicura ripresa tanto più se si considera che essa è collegata a filo doppio con la crisi energetica mondiale e con l’instabilità dei rapporti internazionali, in gran parte determinati dalla politica dell’occidente e particolarmente degli Stati Uniti. Aggiungasi il determinante peso che sempre più stanno assumendo le emergenti potenze economiche dell’Asia sud orientale (Cina e India in primo piano) e, sull’orizzonte del nostro fragile sistema produttivo e commerciale, non possono che addensarsi oscuri nuvolosi, per niente rassicuranti. I tempi del “miracolo economico” sono un lontano ricordo, quasi una favola, mentre il sistema di vita della gran massa della popolazione è radicalmente cambiato in relazione all’imperante consumismo che induce a proiettarsi verso sempre più onerosi livelli di spesa personale e familiare, spesso e volentieri al disopra delle singole reali possibilità. Queste riflessioni potrebbero far parte di un facile “teorema”, il cui svolgimento e i cui risultati sono alla portata di tutti, pur se sembrano sfuggire alla responsabile attenzione degli organi di Governo, nelle sue sfaccettature centrali e locali. Sono riflessioni che, a quanto pare, sfuggono, all’attuale Presidente del Consiglio, capo della forte maggioranza al potere, a quel manager di successo che, in “illo tempore”, ha costruito, con metodi che ancora oggi appaiono parecchio nebulosi, una potente e ramificata “multinazionale”. Sono riflessioni che sfuggono, altresì, al suo “entourage” di personaggi avidi, opportunisti e, in genere, di dubbie capacità operative, purtroppo da lui stesso, per motivi di spartizione del potere, collocati nei posti chiave dell’apparato. La speranza di un nuovo miracolo italiano è l’ultima a morire e auguriamoci, frattanto, che non rimanga altro che raccattare i cocci.
A. Lucchese
|