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Una storia moderna


“una causa degli ennesi per la Venere di Morgantina, contro l'impero..." 
“Nulla di nuovo sotto il sole” così recita il libro di Qoelet nella Bibbia. Sono impressionanti le analogie tra ciò che accadde 2000 anni fa e ciò che continua ad accadere ai nostri giorni. 
Oggi come allora la cronaca ci narra di procedimenti giudiziari per la restituzione di statue depredate dal nostro territorio, oggi come allora i potenti continuano ad essere incriminati per reato di “concussione”. 
Una causa degli Ennesi contro “l’ impero”, quello americano ai nostri giorni, quello Romano duemila anni fa, quando depredati del loro bene più caro la statua di Cerere, incaricarono Cicerone di portare a giudizio Verre, governatore della Sicilia, il quale fu processato per concussione per le attività illegali commesse du-rante il periodo in cui era stato governatore della provincia di Si-cilia (anni 73-72-71 a.C.). 





“Rimase attonita per il dolore Cerere 
Da poco era giunta ad Enna. 
Senza indugio disse: Me misera, 
figlia dove sei ? 
Così la dea trattiene i gemiti e dalla corsa veloce 
viene portata, e dai tuoi campi, Enna, ini-zia” 
Ovidio, Fasti 4° libro 


Caio Verre 


Nell'anno 677 dalla fondazione di Roma Caio Verre venne in Sicilia investito di tut-ti i poteri, e la spogliò per tre anni con fur-ti e rapine, la oltraggiò con dissolutezza, la tormentò con ingiustizie tanto che sem-brava mandato non a governare una pro-vincia fedelissima nei confronti del popolo romano, ma inviato per saccheggiare ra-pidamente le ricchezze dei nemici. Quasi tutti i Siculi attraverso pubbliche amba-scerie lo accusarono di aver esercitato la Pretura contemporaneamente a vari ge-neri di rapine. Tra coloro che si dolsero del suo comportamento anche gli Ennesi; da una parte vessati assai ignobilmente nell'esazione delle decime, dall'altra de-plorando la barbarie sacrilega nell'allonta-namento delle statue religiose, esposero le loro doglianze a Roma insieme con gli altri. 


Littara, Storia di Enna, trad. V.Vigiano 
La Venere di Morgantina (sopra), la statua trafu-gata negli anni „70, dopo una lunga battaglia giu-diziaria tornerà il mese prossimo ad Aidone come già gli Acroliti (a lato) e gli argenti di Eupolemo. 
La statua non raffigura sicuramente Venere, l’identificazione più verosimile è con Demetra, per l’avanzare del passo come una madre alla ricer-ca disperata della figlia. 
Gli Acroliti raffigurano sicuramente Demetra e Proserpina. 


Gli Ennesi contro Verre


Nel 210 a.C. Roma costituì la pri-ma provincia: la Sicilia. Nel 70 a.C. si celebrò a Roma il processo per concussione contro Verre, che era stato governatore della Sicilia dal 73 al 71 a.C. Il processo venne avviato a Roma dalle città siciliane cui Verre aveva imposto tributi eccessivi e non do-vuti. L'accusa venne sostenuta da Ci-cerone, noto come avvocato ma non ancora famoso come uomo politico. Verre venne condannato nono-stante le manovre dei suoi avvoca-ti e la protezione di suoi potenti a-mici politici. La procedura giudiziaria e la rego-larità dello svolgimento del proces-so avvenne in condizioni oggetti-vamente molto difficili e con vari tentativi di insabbiamento, ma te-stimoniano tuttavia l'importanza che i romani attribuivano al diritto.


La nascita della provincia romana di Sicilia


Con la prima guerra punica (264-241 a.C.) i romani, alleati dei greci di Sicilia, erano riusciti a sconfigge-re i cartaginesi, che controllavano la parte occidentale della Sicilia. Al termine della guerra la Sicilia rima-se sotto la protezione dei romani, ad eccezione di Siracusa, che man-tenne la propria indipendenza. 
Dopo la seconda guerra punica, nel 210 a.C. la Sicilia divenne provincia romana, nemmeno un cartaginese era rimasto sull'isola, i profughi si-ciliani tornarono alle loro case e la produzione agricola riprese rego-larmente. 
La protezione di Roma portò alla Sicilia pace e prosperità. I siciliani non ebbero più da temere le inva-sioni dal Nord Africa. All'interno cessarono le guerre tra città rivali e tra fazioni all'interno della stessa città. 
I romani non invasero la Sicilia. Si stima che su una popolazione di circa un milione di abitanti nel I se-colo a.C. i romani non fossero più di qualche migliaio. I romani ri-spettarono la cultura greca, le leg-gi, gli usi e costumi dei greci, e concessero ai siciliani una totale au-tonomia nella gestione degli affari locali. 
I romani avevano anche forti affini-tà religiose con i siciliani, venera-vano gli stessi dei. La Sicilia man-terrà la sua identità greca fino alla invasione dei musulmani, prove-nienti dal Nord Africa, nel secolo IX d.C. 


Organizzazione della Sicilia


Nel 132 il console P. Rupilio provvide anche a riordinare amministrativa-mente la Sicilia con la lex Rupilia che diede alla provincia il suo assetto definitivo. Furono stabiliti sei capoluoghi (conventus), ossia sedi di circoscrizio-ne giudiziaria: Siracusa, Lilibeo (odierna Marsala), Palermo, Agrigen-to, Messina ed Etna. Furono anche individuati 68 comuni (civitates). Il governatore della provincia veniva nominato dal Senato di Roma tra i po-litici che avevano ricoperto la carica di console o di pretore nell'anno prece-dente. Rimaneva in carica un anno. Il governatore era coadiuvato da due questori, sostanzialmente equivalenti ad assessori alle finanze. I questori erano eletti dal popolo romano nei co-mitia tributa. I questori rimanevano in carica un anno. Uno aveva sede a Lili-beo, l'altro a Siracusa. Al governatore competevano: - il comando delle forze armate - la giurisdizione civile - la giurisdizione penale. La giustizia civile veniva esercitata da giudici nominati dal governatore e si svolgeva nelle sedi circoscrizionali. La giustizia penale era invece eserci-tata direttamente dal governatore a Siracusa.


Riscossione dei tributi


Roma non riscuoteva direttamente i tributi, ma li appaltava a privati (publicani). Esistevano società finan-ziarie per azioni specializzate nella ri-scossione. Queste società erano gesti-te e possedute da cittadini apparte-nenti alla classe dei cavalieri. 
La raccolta delle decime sul grano e sull'orzo era invece appaltata in Sicilia mediante aste pubbliche a livello co-munale. La decima costituiva l’imposta principale ed era regolata dalla lex Hieronica, emessa da Ierone II, re di Siracusa (270-216 a.C.), legge confer-mata ed estesa dai romani a tutta l'iso-la e introdotta nella lex Rupilia. Dei censori nominati a livello comunale provvedevano a determinare l'importo che ogni cittadino doveva pagare. 


L'importo della decima

La decima era calcolata sul raccolto. La percentuale base era il 10%, cui andava aggiunto il 6% come compen-so previsto dalla legge a favore dell'appaltatore. Per ottenere l'appalto il decimator doveva pagare un extra allo Stato. Questa somma veniva ag-giunta all'imposta che doveva essere pagata dal contribuente . Il contribuen-te poteva fare ricorso contro le richie-ste esagerate del decimator. In tal ca-so veniva avviato un procedimento giudiziario. 


La seconda decima

Nel I secolo a.C. il numero degli abitanti di Roma crebbe notevolmente. L'ap-provvigionamento di grano era uno dei principali problemi dei politici romani. La soluzione venne trovata incrementando le importazioni dalla Sicilia. L'incarico di provvedere Roma con quantitativi ade-guati di grano divenne il compito più im-portante del governatore della Sicilia. Quando la decima si rivelò insufficiente a coprire il fabbisogno della popolazio-ne di Roma si ricorse ad acquisti di gra-no al prezzo fissato dallo Stato. Per effettuare gli acquisti in ogni comu-ne vennero assegnati degli impiegati addetti ai pagamenti. Questi impiegati trattenevano parte dell'importo pagato dallo Stato. Esisteva una trattenuta per il bollo, una per il controllo delle mone-te, una per il cambio delle monete. Una trattenuta del 4% era destinata agli scri-vani. Il governatore fissava un prezzo equo, ma le trattenute operate dall'apparato burocratico rischiavano di decurtare il corrispettivo dovuto al venditore. La prosperità o la povertà della Sicilia dipendevano in gran parte dal governa-tore. Il complesso delle leggi che con-temperavano i diversi interessi, del ven-ditore e dello Stato, poteva essere stra-volto da un governatore di scarsa one-stà.


Cicerone in Sicilia

Nel 75 a.C. venne in Sicilia, come questore con sede a Lilibeo, Marco Tullio Cicerone, al quale toccò l’ingrato compito di raccogliere, non senza il dispiacere dei pro-prietari, una grande quantità di frumento per soccorrere Roma che versava in una grandissima carestia. Tuttavia Cicerone ebbe presto riconosciuta da parte dei Siciliani, integrità, cortesia e somma bontà nei costumi, per cui acquistò grande stima. Cicerone viaggiando per la Sici-lia si recò a Sira-cusa, dove scoprì il sepolcro del grande Archimede, ormai sepolto tra i rovi, e visitò anche Enna dove rese o-maggio alla dea Cerere. Nel 73 a.C. fu no-minato governato-re dell’isola Verre, Cicerone lasciò l’incarico di que-store e tornò a Roma. 

Il caso Verre


Verre governatore di Sicilia 

Verre, il nuovo governatore, doveva rimanere, come d'uso, un solo anno, ma nello stesso anno Spartaco si mise alla testa di una rivolta di schiavi e nel 72 minacciò di passare in Sicilia. In queste condizioni il Senato prorogò l'incarico di governatore di Verre sia per il 72 che per il 71. Nel 70 Verre rientrò a Roma e in Sicilia arrivò rego-larmente il nuovo governatore Lucio Cecilio Metello. 

La carriera di Verre 

Verre nacque nel 115 a.C. Era figlio del senatore Gaio Verre. Nell'84, all'età di 31 anni, divenne questore. Gli venne affidato l'incarico di collaborare con il console Gneo Papirio Carbone in Gallia Cisalpina. A Roma era in corso una guerra civile. Il generale Silla, sostenitore della parte aristocratica, si scontrava con i seguaci del generale Mario, esponente della parte popolare. 
Verre comprese che le cose stavano volgendo a favore di Silla. Abbandonò Carbo-ne, filo-popolare, e scomparve con la cassa dell'esercito (600.000 sesterzi) che in quanto questore doveva amministrare. Quando nell'81 venne aperta una inchiesta, Verre sostenne di aver lasciato la cassa a Rimini, presso il quartier generale dell'e-sercito, e che la sua scomparsa era dovuta ai disordini della guerra civile e al sac-cheggio dei soldati. 
Verre si schierò con Silla che lo mandò a Benevento. Silla ricompensò Verre donan-dogli i beni sequestrati ai proscritti, ossia ai suoi avversari politici. 
Nell'80 Verre venne nominato legatus dal governatore della Cilicia, Gneo Cornelio Dolabella. Quando il questore Gaio Malleolo venne ucciso, Dolabella lo sostituì con Verre che divenne pro-questore. Dolabella nominò Verre tutore del figlio di Malleolo. Al ritorno a Roma, restò poco da consegnare ai parenti dell'ucciso. Il patrimonio di Malleolo era praticamente scomparso. 
Nel 78 Dolabella venne processato per il suo governo in Cilicia. Accusatore fu Mar-co Emilio Scauro. Verre si presentò come teste d'accusa. Dolabella fu condannato. Verre, che era stato il braccio destro di Dolabella, venne assolto. Tuttavia preferì scomparire da Roma per qualche tempo. 
Nel 75 Verre si presentò alle elezioni per praetor urbanus. Venne eletto, forse con qualche broglio elettorale. Nel 74 esercitò la pretura. Pare che le sentenze venissero trattate come al mercato. Nel 73 gli venne assegnato mediante sorteggio il governa-torato della Sicilia. Nel gennaio del 70 Verre rientrò a Roma. Aveva 45 anni. Poteva aspirare al consolato. 


I siciliani accusano Verre. 
Nel gennaio del 70 a.C. le città siciliane, ad eccezione di Messina e di Siracusa, presentarono l'accusa di concussione (de repetundis) contro Verre. Il loro o-biettivo era la restituzione delle somme illegalmente percepite dal governatore. I siciliani si costituirono parte civile. 

L’avvocato dell’accusa 
Per sostenere l'accusa i siciliani si rivol-sero a Cicerone, da loro ben conosciuto e stimato in quanto era stato questore in Sicilia nel 75. 
Tuttavia,secondo la procedura penale la decisione della scelta dell'accusatore spettava al tribunale. Verre si adoperò perché fosse nominato un suo uomo; si svolse quindi un primo processo, la divi-natio, in cui il tribunale doveva indovina-re chi sarebbe stato il miglior accusato-re. Cicerone riuscì a convincere il tribu-nale e la manovra di Verre per avere un accusatore di paglia fallì. 
Cicerone venne scelto dai Siciliani, an-che perché proveniva dalla classe dei cavalieri. Era diventato senatore, ma non aveva particolari legami con le grandi famiglie senatorie. Era conside-rato un homo novus. Inoltre non era di Roma, ma di Arpino. Infine Cicerone era un avvocato di ottima fama e conosceva tutte le astuzie della procedura giuridica. Cicerone aveva 36 anni. Intendeva can-didarsi per la carica di aedilis alle elezio-ni di luglio. Gli edili avevano la respon-
sabilità dei lavori pubblici, delle manife-stazioni sportive, della polizia urbana, dei mercati, ecc. 

Tattica dilatoria 
Il collegio di difesa di Verre era costitui-to da membri del Senato di Roma. 
Il presidente del tribunale Manio Acilio Glabrione era un uomo incorruttibile. Ortensio, patrono del collegio di difesa, decise allora di tentare il rinvio del pro-cesso all'anno successivo quando il presidente del tribunale avrebbe potuto essere più favorevole. Iniziò quindi una tattica dilatoria ed una serie di azioni volte a controllare le prossime elezioni. 

Rinvio del processo 
Il 20 gennaio Cicerone indicò al presi-dente del tribunale in 110 giorni il tem-po occorrente per l'istruzione del pro-cesso, basandosi sul fatto che questo tempo lo avrebbe portato in prossimità delle elezioni di luglio. Il 21 gennaio Verre, tramite alcuni suoi amici, orga-nizzò un'altra azione de repetundis con-tro un vecchio governatore della Mace-donia. In questo caso l'accusatore ri-chiese solo 108 giorni per prepararsi. 
L'iscrizione a ruolo dei processi doveva essere fatta in base al tempo richiesto dall'accusa per l'istruzione. Pertanto il processo a Verre passò in coda rispetto al processo al governatore della Mace-donia, ed ebbe inizio il 20 aprile e termi-nò nella prima metà di luglio. 


Istruzione del processo 
L'accusatore, nella procedura giu-diziaria romana, poteva effettuare ispezioni, sequestrare documenti, interrogare persone, ecc. 
Cicerone, prima ancora che Verre arrivasse a Roma, si fece portare i libri dei conti di Verre e di suo pa-dre ed esaminò la contabilità delle società di publicani di Roma. Ebbe la sorpresa di scopri-re che le registra-zioni con-tabili re-lative a Verre erano scomparse. Tuttavia riuscì a recuperarne alcune che erano rimaste in archivi privati dei publicani. Pose sotto sequestro scritture e beni di Verre. Alla metà di febbraio Cicerone partì per la Sicilia. Impiegò circa 15 giorni per arrivare. Rimase in Sicilia per tutto il mese di marzo. 

Un processo difficile 
Cicerone si aspettava di avere il supporto di Lucio Cecilio Metello, il nuovo governatore. Questi invece 
si dimostrò ostile. In realtà a Lucio era-no giunte notizie da Roma in relazione ad un accordo che la sua famiglia ave-va raggiunto con Verre. Questi si impe-gnava a finanziare la prossima campa-gna elettorale dei Metelli in cambio della loro protezione nel processo. 
Cicerone dovette fare le indagini prati-camente da solo. Aveva pochi collabo-ratori tra cui il cugino Lucio. 
All'inizio di apri-le ripartì per Roma, questa volta fece il percorso in na-ve, accorciando notevolmente il tempo di per-correnza. 
Il 20 aprile si presentò in tribunale, se-condo quanto stabilito. Anche se il pro-cesso era stato rinviato l'accusatore era tenuto a presentarsi al tribunale nella data convenuta. La mancata pre-senza dell'accusatore avrebbe annulla-to, secondo la procedura romana, il processo. Cicerone fa cenno, ma in maniera abbastanza oscura, a difficol-tà incontrate durante il ritorno. Non è chiaro se alluda a tentativi di bloccarlo sulla strada per Roma. 

Scelta dei giurati 
Tra il 14 e il 26 luglio si scelsero i giurati per il processo a Verre. Ci-cerone ricusò alcuni dei candidati e Ortensio fece lo stesso. Alla fine fu nominata una giuria che Cicero-ne giudicò composta da uomini in-tegri. 

Elezioni 
Il 27 luglio ci furono le elezioni. 
Dalle elezioni uscirono i seguenti vincitori: 
- Consoli: Ortensio, l'avvocato di Verre, e Quinto Cecilio Metello, fratello di Lucio, governatore della Sicilia dopo Verre. 
- Pretore per i processi de repe-tundis e quindi futuro presidente del tribunale: Marco Cecilio Metel-lo, un altro fratello di Lucio. Marco era membro della giuria nel pro-cesso contro Verre. 
- Aedilis: Cicerone. 
Gli eletti sarebbero entrati in cari-ca a gennaio. 
Se Ortensio fosse riuscito a ral-lentare o rinviare il processo di qualche mese, l'assoluzione per Verre sarebbe stata garantita. 

Il processo - Actio prima 
Il 5 agosto del 70 a.C. ebbe inizio il processo a Verre. 
L'accusatore aveva a disposizione molti giorni per esporre i fatti e al-trettanti erano a disposizione della difesa. 
Cicerone spiazzò completamente la difesa perché anziché esporre l'accusa chiamò immediatamente a deporre i testimoni, con la sua ri-nunzia guadagnò molto tempo e impedì alla difesa di chiedere una proroga per l'approfondimento del-le indagini preliminari. Per 8 giorni i testimoni si avvicendarono davanti al tribunale. Le testimonianze risul-tarono schiaccianti. 
Verre si diede ammalato e rinunciò ad assistere alle sedute. Ortensio decise di tacere e di rinviare il suo intervento alla actio secunda. 
A metà agosto l'actio prima era giunta al termine. Il processo ven-ne rinviato al 20 settembre per l'ac-tio secunda. 

Esilio volontario di Verre 
La speranza di Verre di un rinvio all'anno seguente svanì. 
Alla metà di settembre, prima della ripresa del processo, Verre lasciò Roma e si imbarcò per Marsiglia in volontario esilio. Rimarrà a Marsi-glia per 26 anni tra le sue statue e i suoi gioielli, trafugati prima della condanna. 
Condanna 
Alla ripresa del processo non ci fu bisogno di procedere con l'actio se-cunda, la fuga di Verre era una e-splicita ammissione di colpevolezza. 
Ortensio riuscì a contenere il risarci-mento in tre milioni di sesterzi, una cifra modesta rispetto a quanto era stato estorto da Verre. Tanto per a-vere un raffronto basti ricordare che Cicerone durante il suo anno di go-vernatorato della Cilicia guadagnò legalmente più di due milioni di se-sterzi. 
Cicerone non volle insistere nel per-seguire Verre. 
I siciliani furono molto grati verso Cicerone al quale inviarono del gra-no. Cicerone lo distribuì alla plebe romana. 
La statua di Cerere non fu mai resti-tuita al popolo ennese. 

Epilogo 

Caio Verre venne ucciso nel 43 a.C. per ordine di Marco Antonio che lo in-serì nelle liste di proscrizione. Verre non svolgeva alcuna attività politica. La sua colpa fu l'aver rifiutato di con-segnare a Marco Antonio dei preziosi vasi di Corinto, che avevano attirato l'attenzione del triumviro. 
Marco Tullio Cicerone venne ucciso anch'egli nel 43 a.C., il 7 dicembre, per ordine di Marco Antonio che lo a-veva inserito nelle liste di proscrizio-ne. Cicerone svolse fino alla fine atti-vità politica. La sua colpa fu l'aver combattuto per la repubblica romana. 
Ottaviano, il futuro imperatore Augu-sto, sconfiggerà Marco Antonio e prenderà come collega Marco, figlio di Cicerone. 

XLVIII. È credenza antica, giudici, la quale si fondamenta sopra i libri e le memorie dei Greci le più remote, che tutta l’isola di Sicilia è sacra a Cerere e Libera; e tanto vi aggiu-stan fede le nazioni universe, tanto i Siciliani l’hanno accertatamente per ferma, che pare non nasca uomo che non l’abbia insita nel cuore e nell’animo. Si tiene aver tratto quelle dee di quivi intorno i loro natali, trovate da es-se in quei terreni le prime biade, e Libera, detta altresì Proserpina, rapita in una foresta degli Ennesi; il quale sito per essere al cen-tro dell’isola è detto “Ombelico della Sicilia”. Anco più che volendo Cerere cercare la figlia, è voce che accese le sue fiaccole nelle fiam-me che erompono dalla vetta dell’Etna, e con quelle davanti andasse cercando tutta quanta la terra. 

I Riti di Cerere a Enna 
“Tutti i sacerdoti e tutti magistrati andavano in processione con gran-dissimo ordine; ed inoltre fanciulli e fanciulle tutti vestiti di bianco e con ghirlande in testa andavano dietro l’immagine di Cerere” (Fazzello) 

Enna, dove si conta accadessero le cose di che io racconto, è un sito alto ed eminente con intor-no uno spiano ed acque perenni; ma è attorniata di borri e di rupi che difendono di potervi da nes-suna parte salire. Vi è li vicino un lago, e molte selve, e lieti fiori in tutti i tempi dell’anno, co-sì il luogo stesso ci dà la certezza, come da piccoli abbiamo imparato, che qui quella ver-gine fosse rapita. Certo li vicino c’è una spelon-ca, volta a tramontana, di grande profondità, dal-la quale raccontano uscisse il padre Dite seduto sul carro, e, afferrata la vergine, rapidamente nei pressi di Siracusa sprofondasse sotto terra, do-ve si formò il lago, presso cui, ancora oggi, i Si-racusani ogni anno festeggiano nei giorni dell’anniversario, con grande adunanza di uomi-ni e donne. 

Demetra, "Madre terra" o for-se "Madre dispensatrice", nella mitologia greca è la dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della gioven-tù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre. Negli Inni omerici vie-ne invocata come la "portatrice di stagioni", indizio di come ella fosse adorata già da molto tempo prima che si affermasse il culto de-gli Olimpi, dato che l'inno o-merico a Demetra è stato da-tato a circa il VII secolo a.C. 
Le figure di Demetra e di sua figlia Persefone erano cen-trali nelle celebrazioni dei Mi-steri eleusini, anch'essi riti di epoca arcaica e antecedente al culto dei dodici dei dell'Olimpo. 
Nella mitologia Romana Ce-rere è la figura equivalente a Demetra. 

Dal libro “Istoria della letteratura siciliana”: Presso la Fonte del Ciane a Siracusa, si fe-steggiava solennemen-te il rito nel giorno anni-versario quando Dite sprofondò sotto terra con Proserpina .

XLIX. Per tali antiche credenze, tan-to più che delle dee si trovano in quei luoghi le antiche tracce ed il si-to della loro nascita, tutti i Siciliani, sia in privato che pubblicamente, a-dorano devotamente la dea Cerere, e molti e frequenti prodigi ne rivela-no l’influenza ed il potere, ed essi nelle situazioni più difficili ed ango-scianti sempre sentirono sovvenire la pronta sua mano; talchè di quell’isola pare che essa non solo si diletti ma anche la custodisca e la abiti. 
Non solo i Siciliani, ma anche le al-tre genti e nazioni osservano il culto più devoto ed animato alla dea Ce-rere, e. presso gli Ateniesi le sue sagre attirano tanta gente, ma tanto più è nozione comune che nel loro paese apprese a coltivare le biade quanto più non verrà avvantaggiata la riverenza a lei di coloro presso i quali è nata e trovò di coltivare il fru-mento? 

La favola raccolta dagli storici Diodoro e Filisto e da Boccaccio, dice Cerere figlia di Saturno, moglie di Sicano, madre di Proserpina, e tanto la favola che la sto-ria, compendiate dalla eloquenza di Ci-cerone, attribuirono a tale personificazio-ne la scoperta del frumento, l'invenzione di coltivare i campi, l’autorità delle prime leggi; sicchè sotto questa figura s'intese esprimere tutto lo svolgimento dei grandi e veri fattori dell’umano incivilimento; e mentre Diodoro confortato da Omero ed Aristotile, si sostiene che la Sicilia fu la prima a vedere Cerere e che nei campi di Enna fu rapita sua figlia, e Tito Livio soggiunge che la Sicilia era sacra a que-ste dive, Cicerone afferma che il loro cul-to in Enna era il più venerato il più anti-co, e che più tardi dalla Sicilia passò all’Attica, per cui Lattanzio è pronto a ri-petere che “l’antichità della Cerere enne-se è tale che tutte le storie dicono di aver la medesima dea trovate primieramente le biade nel suolo dell’Enna, e la sua vergine figliola essere stata rapita nel medesimo luogo” 

Paolo Vetri, Storia di Enna


Per questo i nostri padri, in un tempo dif-ficile per la nostra Repubblica, quando fu assassinato Tiberio Gracco, e si manifestarono grandi pericoli, i Con-soli Pubblio Mucio e Lucio Calpurnio vollero consultare i libri Sibillini per comprendere cosa fare, ed ivi si trovò che:” facea bisogno si apaciasse l’antichissima Cerere”. Allora, anche se nella nostra città si trovasse un tem-pio di Cerere arcibello e gremito di sfog-giatissimi adorni, pure si volle che sacer-doti del popolo Romano, di quelli che at-tenevano al collegio dei dieci, movesse-ro ad Enna; perché si grande era il cre-dito e l’antichità di quel culto, che an-dando quivi era quasi come andassero non già al tempio di Cerere, ma anzi a Cerere stessa. 
L’ultima coniazione di monete ad Enna, avvenne dopo che fu dichiarata Munici-pio, intorno al 36 a.C. Essa comprende una serie di quattro monete di cui una rappresentata nel calco a lato. 
A sinistra la testa di Cerere, velata e coronata di spighe, davanti al collo una fiaccola accesa, e le iscrizioni: M.Cestio - L. Munatius. A destra la qua-driga in corsa, guidata da Plutone, che cinge col braccio Proserpina, da lui ra-pita, nella mano destra lo scettro, e l’iscrizione Mun.Hennae (Municipio En-na). 
La moneta aveva corso legale in tutta la Repubblica di Roma, ed il valore di un Asse. I nomi dei duumviri Cestio e Munato riportano all’ultimo trentennio del I sec. a.C. (coll. E. Cammarata) 


Nel volume “Del tesoro britannico, parte I°” di Ni-cholas Hatm, pubblicato in Londra nel 1720, viene descritta la moneta ennese detta “Cestia” apparte-nuta a Lord Duca di Devonshire: ”Testa di Cerere velata, con epigrafi riportanti M. Cestius - L.Munatius, sul retro la medesima Dea in un carro tirato da quattro cavalli, con epigrafe Mun-Hennae. La moneta è di bronzo, grossa di buon lavoro e ben conservata, pesa 192 grani.”. L’autore prosegue con la descrizione di Enna e del mito di Cerere e riporta, da Cice-rone, il pellegrinaggio ad Enna dei sacerdoti romani a seguito dell’uccisione di Ti-berio Gracco. 
Per l’autore è proprio a seguito di questo avvenimento che Enna fu elevata a Municipio “che era il più grande onore che i Romani concedessero ai forestieri”. 

Non approfitterò oltre del vostro ascoltare, perché temo non vi sembri il mio discorrere troppo difforme da una azione giudiziale, ed altro dall’usitato costume di arringare. Dico dunque che questa Cerere stessa, co-sì antica, così devota,anzi la principale ad essere onorata nei sacrifici e nelle sagre in ogni popolo e nazione, fu da Caio Verre portata via dal suo tempio e dalla sua se-de. Voi altri che siete stati ad Enna, avete veduto una statua di Cerere di marmo, ed in un altro tempio una di Libera. Sono esse bensì di grande taglia e bellezza, ma non altrettanto antiche. Ve n’era un’altra di 
bronzo, di media grandezza, ope-ra singolare per fattura, con le fiaccole in mano, molto antica, la più antica del tempio. Verre la portò via; ma non però ne fu pago. Di fronte al tempio di Cerere, in luo-go aperto, frequentato dalla gente, sono due statue, l’una di Cerere, l’altra di Trittolemo, molto grandi e si belle. Ad esse quanto veniva pe-ricolo dalla bellezza, tanto dalla grandezza venne salvezza, perché la demolizione ed il trasporto loro era cosa troppo ardua e disagevo-le; ma non fu così della piccola Vittoria che Cerere avea nella mano destra, lavorata con garbo e maestria; che costui la fece svellere e quindi portare con se. 

L. Ebbene, quale sarà l’animo di costui nel ravvisare i propri delitti, mentre io rimemo-randoli mi sento non pure l’animo tutto commosso e turbato, ma ben anche tutta la persona raccapricciare? Già mi torna alla memoria quel tempio, quel luogo, quella devozione; mi si para dinanzi agli occhi quel giorno che io essendo giunto ad Enna trovai pronti a farmi liete acco-glienze i sacerdoti di Cerere con in capo loro mitre e corone; e quella radunata di popolo di cittadini, i quali da mentre che io favellava loro menavano si gran pian-to e gemiti, che pareva tutta la città fos-se scossa dal più triste lutto. Non dole-vano essi la prepotente taglia delle decime, non il saccheggio di ogni loro avere, non gli iniqui giudici, non l’onta sfacciata, non le violenze, non i dilegi subiti, ma ben voleva-no che la divinità di Cerere, la sacralità an-tica, la devozione del tempio, tutto si e-spiasse con il supplizio di questo scellera-tissimo ladro senza pudore e senza rite-gno. Era così aspro questo loro crepacuore, da far apparire che Verre fosse andato ad En-na a guisa d’altro Orco ed avesse portato-ne via non già Proserpina, ma rapita Cere-re stessa. 


Con ciò la stessa città di Enna non una città appare, ma piuttosto un tempio di Cerere, e gli 
ennesi tanto cre-dono che ella dimori tra loro, che es-si hanno vista non di essere cittadini quella terra, ma tutti sacerdoti, tutti coabitatori e ministri di Cerere. 


La Rocca di Cerere vista dal Castello 


E tu avevi fronte così incallita di rubare in Enna il simulacro di Cerere? Tu t’attendasti in Enna levar la statua della Vittoria dalla mano di quella e rubar una dea ad un’altra dea? Eppur non osaro-no mai disonorare veruna di si fatte co-se, ne toccarne alcuna quegli stessi che sono più inchini al misfatto che non alla devozione; e tanto ciò è vero , che al tempo dei Consoli Publio Popilio e Pu-blio Rupilio si rifugiarono presso quel sito servi e fuggitivi, barbari e nemici, ma quelli non furono tanto servi dei loro padroni quanto tu delle tue libidini; non essi tanto fuggitivi dai loro signori, quanto tu dal diritto e dalle leggi;
non essi tanto barbari di linguaggio e di na-zione, quanto tu carattere e costumi ; né tanto essi furono nemici agli uomini , quanto sei tu agli dei immortali. Ora qual favore e grazia può restar da atten-dere da chi ha sopravvinto a fine forza i servi nell’ignominia, i fuggitivi nella te-merarietà, i barbari nella scelleratezza, nella crudeltà i nemici ? 

Teodoro, Numinio e Nicasio-ne, i tre cittadini ennesi in-caricati di testimoniare con-tro Verre. 
Tito Livio nomina i tre come Principi, il Littara riferisce che nel 1500 la famiglia dei Nicasi era ancora presente ad Enna. 
Un altro cittadino ennese è citato da Cicerone, nelle Orazioni, un commerciante di nome Cristolaus, vendito-re di porpora, anch’egli ves-sato da Verre. 


Enna Municipio Romano 

Etimologicamente la parola deriva da Munus, cioè tributo, Capio, cioè prendo: le città Municipio erano le città in cui si riscuoteva la decima, le tasse di allora. 
Nell‟antica Roma l’elevazione a “municipio” romano veniva dato ai centri abitati, che oltre alla pro-vata fede avessero un vita sociale riconosciuta elevata, ma anche per il numero di abitanti e per le capaci-tà di adempiere a molteplici funzio-ni economiche, politiche, culturali, religiose, che avessero un territorio esteso che fosse in grado di forni-re una serie di servizi pubblici, do-tate di strade, monumenti, fortifica-te con muri e munite di porte, con abitanti dediti al lavoro e all’agricoltura. 
Enna aveva una grande valenza economica per la produzione del grano, alimento indispensabile per sfamare Roma. 

LI. Voi avete udito Teodoro, Numinio e Ni-casione, legati Ennesi, affermare pubblica-mente che avevano ricevuto dai loro con-cittadini questi incarichi: andare da Verre e chiedergli la restituzione delle statue di Ce-rere e della Vittoria; se l’avessero ottenuta, allora, attenendosi all’antico uso degli Ennesi, avrebbero cessare dal deporre contro di lui (con tutto che egli avesse fatto alla Sicilia troppo gran danno) sapendo che così era sta-bilito dai loro antenati. Che se Verre non aves-se loro restituito le statue, allora essi sarebbe-ro andati a giudizio e informato i giudici delle onte di costui; ma più che altro dovessero querelarsi per il reato di religione vilipesa. Le quali loro querele, o giudici, non vogliate di-sdegnare, per gli dei immortali, non vogliate tenere in vil conto come se mosse non fosse-ro. Si tratta di oltraggi recati a cittadini, si tratta dell’autorità delle leggi, si tratta della reputa-zione e della giustizia dei giudici. Le quali co-se sono tutte di stragrande importanza; ma la più importante è questa che sto per dirvi: tanto essere scrupolosa tutta quella provincia, tanta superstizione per questi avvenimenti si è ap-presa nelle menti dei Siciliani tutti, che qualsi-asi male s’incontri o a privati o comune, solo per quel conto e per la costui scellerataggine si crede essere addivenuto.

Già ascoltaste i Centuripini, gli Agiresi, i Ca-tanesi, gli Erbitesi, gli Ennesi e molti altri, i quali vi ammonirono pubblicamente di quanto le campagne fossero in abbandono, quanto deserti fossero i campi, come i con-tadini fuggissero, come ogni lavoro fosse deserto, incolto cessato di curare. E come tutto ciò sia occorso per le molte e diverse tirannie di costui, tuttavia nella opinione dei Siciliani questa sola causa ha mo-mento grandissimo, cioè dire che soltan-to per l’oltraggio fatto a Cerere tutte le colture ed i frutti di essa Cerere sono in quelle campagne in pericolo. Fate rime-dio o giudici, alla religione di quelli che sono a noi soci, e mantenetela intatta come la vostra; che invero essa non è straniera a voi ne misconosciuta, e se pure lo fosse, se anche non voleste appropriarvene, corre-rebbe non di meno debito di ratificarla col supplizio dell‟insolente che l‟ha svilita. Ma nel fatto di un culto religioso che a tutte le genti è comune, nelle cose sacre che i no-stri antichi mutuarono dai forestieri e fecero loro proprie e riverirono e vollero chiamate come vollero i Greci, nel caso noi volessimo essere non curanti e trasandati, come po-tremmo? 


Le feste di Cerere.


di Pelasgo Matn Eer - 1846 
Cerere prima fu che con l'aratro 
Ruppe la terra, e ne cavò le biade , 
E insegnò lor dar gli alimenti all'uomo : 
Ella diede le leggi, ed ogni cosa 
E’ di Cerere dono… 
Ovidio. Metamorfosi 

Come fu notte si vide dalla parte opposta del lago gente con fiaccole accese correre, sparpagliarsi, aggrupparsi come di chi va cercando, e si udiano di tratto in tratto delle voci disperate, e poi quelle fiaccole e quella gente s'internarono nella selva vicina da cui ne uscirono e pre-sero la via scoscesa dell'aspro Enna che pareano gareggiare a chi potesse più correre. Da questa rozza liturgia ebbero principio i celebri misteri Eleusini simbolo della fraterna civiltà, che conosce la sua ori-gine dall'agricoltura dall'attività e dal pane. 
Allo spuntar del giorno io con molti Sciptari andammo al tempio di Cerere nella piccola città di Enna . Noi scontrammo per via turbe di donzelle coronate di spighe, e le nobili matrone e le figlie di esse teneao quelle spighe d'oro o di argento. Gli uomini recavano fasci di biade mature sotto il braccio e la falce risplendente al sole; i vecchi delle frutta in cestelli in dono alla Dea. Il tempo della messe è il più felice per gli agricoltori siciliani ; essi si abbandonano ad indicibile allegrezza , sì adesso, come in quel remotissimo tem-po, e solo ne può intendere la ragione chi ha durato le fatiche e le penurie di un anno per ricever-ne il compenso dalla terra in questa stagione. 
Il tempio di Cerere qui,come negli altri luoghi, era fuori la città. I Sacerdoti, e tutti i primati ne usci-rono in processione con grandissimo ordine, con i quali mescolavansi uomini e donne di ogni grado: inoltre i Fanciulli e le fanciulle tutti vestiti di bianco e con ghirlande in testa andavano die-tro all'immagine di Cerere dipinta in età di matrona e in abito non molto adorno, ma che piuttosto teneva al contadinesco. Avea in testa una corona di spighe, nella mano destra una zappa , in un braccio un cestellino pieno di seme. e nella sinistra una falce. Giunone, Dea delle nubi e della pioggia, a dritta; Apollo,che coi suoi raggi matura le biade,a manca. Tutti quei contadini che an-davano in processione dicevano rozze ed anche disoneste parole secondo il costume osco , o osceno, per tenere allegra la Dea già malinconosa per la perdita della figlia ; e ritornati proces-sionalmente nel tempio d'onde erano usciti , offrirono i loro sagrifizii cereali e cantarono 


L’ Inno a Cerere.

 

MIETITORI 
“Già cadono le messi sotto alla tagliente falce: a fasci i manipoli stanno accatastati per i campi. Il gioven-co scorre per l'aja e sotto il suo piede spiccia fuori il Frumento, che il ventilabro scagliandolo al vento spoglia dalle paglie, e cade come pioggia i d'oro.” 
Donne 
“In questa stagione la terra dona tutto il suo tesoro, e noi fanciulle non temiamo il cocente raggio del sole a trasportarlo nelle i nostre case per abbondanza di tutto l'anno. Le campagne resteranno senza covoni, e le giovenche scenderanno muggendo per le libere seccie verso le acque.” 


Bibliografia: 
Q uaranta secoli, racconti su le due Sicilie, Pelasgo Matn Eer - Napoli 1846. 
Orazione contro Caio Verre, M.Tullio Cicerone, Opera omnia, tradotta dall’ab. Marcello Tommasini, Venezia 1852 
Storia di Enna, Paolo Vetri, R. Mazzone ed. 1978. 
Storia di Enna, Vincenzo Littara, ed. Lussografica, trad. V. Vigiano, 2002 
Tesoro britannico , vol. II, Londra 1720. 
Istoria della letteratura siciliana. 
La zecca ennese, E. Cammarata, ennarotary anno 1 n.1 1987. 
www.maat.it, “Il processo a Verre” 


FEDERICO EMMA 

Il Campanile

 

 

 

 

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