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Lungo la strada per Siracusa verso Ortigia


Ancora più a sud dei faraglioni di Polifemo, ancora lungo la costa smerlata, laggiù dove la roccia è sbriciolata nel mare, c’è Ortigia: vestigio e famedio della gloria siracusana. Da Catania erano cinquanta minuti di automobile nel traffico spedito lungo il rettifilo iniziale tra i duplici filari di alberi alti che quasi chiudono l’azzurro. Il viaggio era un respiro verde invitante.* Invito o inganno?
Mi ero disorientato, appena dopo Augusta, tra gli impianti di raffinazione del petrolio: il sessanta per cento della produzione nazionale. L’aggregato industriale è realtà che si è sostituita agli aspetti autoctoni fagocitandoli con la voracità del coccodrillo, che ha consapevolezza di dover piangere l’ingordigia ma, piangendo, ingrassarsene. L’illusione della ricchezza sfuggiva dalle mani operaie sulle quali la sorte aveva piantato i calli, crocefiggendoli a esistenza grama, spegnendo orizzonti di speranza. Erano venuti al lavoro dell’industria: il miraggio dell’oro nero. L’illusione aveva rubato loro il reddito della campagna; sudato ma libero, misero ma santificante. L’iniziale abbaglio intorpidì loro le menti, capirono a rilento che l’arroganza capitalistica sfruttava loro, il loro ambiente, i loro prodotti e vennero i licenziamenti. In cambio di poco, molto poco. Ritrovarono inospitale, desolata, inquinata, morta la loro terra, alla quale avevano succhiato vita per secoli, come vitelli. Il mare languiva avvelenato. L’aria ristagnava pesante stringendo i polmoni. 
Io proseguivo. Una foschia concreta riduceva sensibilmente la visibilità del percorso. Intorno era agonia putrescente di una natura avvilita. All'orizzonte offuscato di silos e di condutture ritorte era un groviglio aereo simile a intestini artificiali. Avanzavo e cambiando prospettiva, agli intestini sventrati, sostituivo immagini di cimitero. Le pannocchie lampanti delle ciminiere alte apparivano fuochi fatui, in pieno giorno, di ossari tormentati.
Annasavo un imbroglio di esalazioni: fetore di tombe scoperchiate, mefite di campo di cipolle o miasma di vapori di zolfo e di ammoniaca? Annaspavo. Tutti i miei sensi determinati dall’esterno erano decolorati in un delirio di avventura opprimente ed erano come imbriacati perché effluvi sottili e penetranti venivano a inzupparmi gli abiti e la pelle. Avevano pervaso la mia coscienza. Soffrivo l'alito di questa civiltà col desiderio di un soffio umano da cogliere poi tra le antichità di Ortigia.
Angoscia, ansietà, inquietudine. Procedevo per un luogo impossibile che rifiutavo di accettare. Sarei voluto tornare indietro se non fossi stato trascinato dal fiume dei veicoli in marcia con il piede contratto pronto a pigiare sul freno nel caso che fosse necessario.
Gli automezzi in sequela caotica assillavano con il motore rombante, lampeggio dei fari, richiamo di trombe, anche bitonali. Alcuni imprudenti, invadenti superando sballottavano con le loro scie virtuali, lasciando transitori vuoti e spazi. Ai sorpassati pesava di perdere la posizione di accodamento, pareva quasi d’essere respinti indietro. Come se le distanze si allungassero. Ciascun cippo chilometrico appariva inarrivabile. Considerai le frecce di Zenone tese a riguadagnare infiniti punti dello spazio senza mai giungere alla meta. Tra me bisbigliai - Reductio ad absurdum –, come se le parole latine fossero uscite da un messale.
Dubitai: e se avessi sbagliato strada? 
In un istante fluì ampia una rapida di idee. Le tempie martellavano presentimenti tristi. L’avvilimento cresceva, si aggravava l’angoscia, dubbio e paura, pericoli immaginari, mancava la speranza di uscirne fuori. Lo smarrimento e nessun rifugio alla solitudine erano sensazioni di sventura. La scaramanzia, a volte, si coglie per la strada. Taluni si scambiavano le corna con indice e mignolo a causa dei sorpassi azzardati. Si può sorridere, ma questi indispettiscono. Tuttavia costituiva il solo momento umano di contatto con il prossimo altrimenti estraneo, così com’era acchiocciolato entro i gusci metallici circolanti. Si può rispondere chiudendo e aprendo indice e mignolo con intermittenza: così fanno più effetto, sperimentai. Lì per lì non pensai che le dita così attivate acquistino una potente efficacia simile ai medicamenti omeopatici che devono essere bene agitati prima dell’uso. L’inseguimento che qualche volta consegue serve a scaricare tutte - le tensioni. Può apparire un residuo di agonismo selvaggio, però raramente arriva a colorare di sangue quel nastro di strada, gravido di untuosità. Infine una pista di recupero s’intravedeva. Riprendevo animo. 
Una scritta a stampatello bianco inequivocabilmente puntava a Sud: Siracusa. 
Evviva sarò presto ad Ortigia, l’isola di Archimede e delle quaglie. Conoscere è forza e fu come toccare un traguardo. È, dunque, bello risvegliarsi da un’avventura.


Angelo B. Gentile

 

 

 

 

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