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Paolino – lo scirocco – l’affare e il sensale Cimino


di Pino Ferrante

Un giorno d’agosto degli anni 60’ la libreria – cartoleria era rimasta aperta fino a tarda ora del mattino. Durante quelle ore il titolare Paolino aveva lì trattato e concluso un grosso affare e, invece di rientrare a casa, dopo avere consumato al caffè Marro una granita e un panino, s’era fermato in negozio, nella speranza di un rilassante pisolino. Insieme al giovane commesso, però, restarono immersi fino al collo nell’aria di scirocco come fossero dentro un sacco insieme a un gatto; Paolino, d’età oltre i cinquanta, dal corpo massiccio, con la camicia sbottonata attaccata alla pelle intrisa di sudore, s’era sistemato dietro il banco, stravaccato su una sedia in vimini, che soffriva per quel peso con lamentosi scricchiolii. Il commesso Michele, piccolo e mingherlino, s’era rintanato in un angolo tra lo scaffale e la porta semiaperta, speranzoso di catturare improbabili spifferi d’aria fresca provenienti da tramontana, nonostante quel locale fosse esposto, da mattina a sera, a mezzogiorno.
A quell’ora gli ennesi se ne stavano barricati in casa con le serrande ermeticamente abbassate, nel desiderio di impedire l’ingresso al calore della luce e di trattenere entro le mura quel po’ di frescura formatasi nel corso della notte; uomini e animali, in quei giorni arroventati, avrebbero cacciato il naso fuori solo in caso di terremoto.
Soltanto al povero Tanino, ragazzo di seconda media, rimandato ad ottobre in matematica, toccò il sacrificio di sfidare quella specie di forno all’aperto. Il padre gli aveva ordinato di recarsi in libreria per l’acquisto del volume degli esercizi, indispensabile per le ripetizione, gridandogli con un timbro di voce che penetrava fino alle ossa:- “ Afa o no afa, tu vai subito da Paolino e compri il libro. Mettiti bene in testa che ad ottobre, se non superi gli esami, ti tocca la carriola e la pala, così mi dai una mano nell’impresa invece di spendere altri soldi per uno come te che di scuola ne mangia poca! Fila subito via e al ritorno ti voglio a tavolino a fare i compiti! Non prendere scusa “pu scirocco!”
Tanino, ch’era in mutande, asciugò il sudore con un lenzuolo, mise una maglietta e si avviò, 
ciondolando, verso la cartoleria. Sbirciò dietro la vetrina ch’era un campo di battaglia cosparso di mosche distrutte dal caldo, sperando invano che in negozio non vi fosse anima viva, così da scansare gli ordini perentori del padre.
A malincuore entrò e, con una voce femminea di adolescente che non aveva ancora deciso di transitare nel mondo degli adulti, chiese del libro al titolare. Costui, quasi infastidito per quella presenza, che interrompeva una siesta in procinto di divenire meno sofferta per il gradevole soffio d’aria entrato di soppiatto quando Tanino aveva spalancato la porta, anziché rivolgersi al ragazzo che gli stava così vicino da respirargli addosso, guardò il commesso rintanato lontano all’angolo del locale e lo delegò alla risposta per lui faticosa: - “Michè, dicci a stu picciuttu che u libru un c’è e che cu stu malu timpu i fabbrichi su chiusi. Si ni parla a settembre.” 
In effetti Paolino aveva da pensare ad altre cose assai serie che gli ribollivano in testa e aggravavano il disagio per quell’afa umidiccia e invadente che lo faceva ansimare.. Rimuginava sull’acquisto di due appartamenti ubicati nel centro storico di Enna, concordato qualche ora prima con il sensale Cimino, al quale aveva dato in caparra un grosso assegno da consegnare al venditore residente a Catania. Costui, piccolo di statura e nero come la pece, era stato tanto bravo nel dipingere a tinte forti i pregi degli immobili da convincere uno come Paolino, non facile per tempra e per carattere ad imbarcarsi in affari, specialmente se impegnativi, come quello concordato che lo costringeva a salire la “scala” della banca e a indebitarsi per un importo assai rilevante. Sta di fatto che, batti e ribatti, Cimino l’aveva spuntata e, al momento di allontanarsi col preliminare e l’assegno in tasca, gli aveva detto:-“ Paulì, l’affare che hai concluso l’avrei voluto fare io. Ma i soldi io non li stampo né me li prestano, perché “pietre al sole” in garanzia non ne ho da offrire a quegli strozzini della banca. Stai tranquillo, sono certo che non te ne pentirai, anzi ti faccio gli auguri. Ci vediamo puntuali dal notaio per l’atto tra quindici giorni. Da domani, appena consegnerò a Catania la caparra e le carte al venditore, ti potrai considerare ricco meglio di un barone.” Si era accomiatato con una stretta di mano e, uscendo dalla cartoleria, aveva il viso illuminato per il pensiero della ricca provvigione. In quel periodo di crisi ( ma in Italia quando non ci sono crisi ?) gli affari erano scarsi, ma un cane da caccia di razza pregiata come lui non poteva rimanere inattivo e a bocca asciutta. Comunque, nel timore di un ripensamento, per cautela si rese irreperibile fino al giorno successivo, recandosi nel primo pomeriggio nella campagna di un suo cliente senza indicarne a chicchessia l’ubicazione.
Paolino trascorse le ore pomeridiane in ambasce; andava avanti e indietro dalle case acquistate, le guardava dalle fondamenta fino alla terrazze col naso in su e rientrava in negozio contento e soddisfatto, esibendo ai clienti la sicumera del leone. Poi tornava a meditare ponendosi una serie infinita di dubbi: come avrebbe fatto a pagare il mutuo in banca, le tasse, le forniture. Pensava addirittura al terremoto e, divenuto una pecora, gli cascava il mondo addosso. Ritiratosi a casa, sperò in sonno ristoratore e rassicurante. Ma fu peggio. Si rigirò di continuo nel letto e non vide l’ora che la notte passasse. Alla fine decise di revocare l’affare. Alle cinque, disfatto, si alzò, si vestì alla meglio e si recò di corsa in casa del sensale. L’africano, come in paese lo chiamavano, si era già avviato per raggiungere la stazione e salire sul primo treno per Catania. Si precipitò allora in cartoleria, alzò la saracinesca, si infilò dietro il bancone, prese l’elenco telefonico, cercò ansimante il numero del capo stazione, infine inserì il dito tremante nell’anello di selezione. Alla fine riuscì nell’operazione. Sentì lo squillo di chiamata e pallido in volto attese che qualcuno rispondesse, mentre i minuti, inesorabili, passavano. Alla fine una voce assonnata gli rispose:- “ Pronto, chi parla? Qui è la stazione di Enna. Cosa desidera?” 
Paolino mise insieme un po’ di parole di circostanza e chiese all’interlocutore di rintracciare tra i viaggiatori un certo signor Cimino. Il capo stazione, infastidito, di rimando rispose:- “ Il telefono qui mi serve per far circolare i treni e non per cercare la gente.. Anche a volerlo favorire, qui c’è una folla da campo sportivo. Comunque ripeta il nome della persona “sillabando”. Paolino non lo lasciò finire e gridò:-“ Si chiama C i m i n o.” Poi ci ripensò e aggiunse: - “ E’ facile riconoscerlo. E’ piccolo e nero come …..un negro.” 
Il “ricercato”, nel frattempo, mentre sorbiva il caffè nel bar della stazione, aveva notato il trambusto nella stanza del capo e, con l’istinto di una volpe, s’era mangiata la foglia. Si nascose quindi tra i numerosi viaggiatori ma fu scoperto per sua sfortuna da un amico lì presente che gli disse:- “Vedi che ti cercano. C’è una telefonata per te. Vai dal capo stazione ma corri veloce perché il treno è in arrivo.”
Sconsolato, Cimino raggiunse la sala e, saputo della chiamata, impugnò la cornetta:- “ A cosa è dovuta tanta premura, ci sono novità?” Paolino allora gridò:-“Cimì, te ne puoi tornare. L’affare non si fa più. Torna subito a casa!” Cimino, profittando del provvidenziale rumore stridulo di un treno merci in movimento, fece lo gnorri, fingendo di non sentire:- “ Qui non si sente niente. Mi hai detto che a casa piove? Non importa. Quando torno provvedo. Ora debbo scappare perché il treno è arrivato e sta per ripartire. Debbo correre. Ti saluto!” 
Paolino sconvolto, rimanendo attaccato al telefono come a una corda sospesa su un precipizio, ripeté con tutto il fiato che aveva in gola:- “ Non fare il furbo, Cimì, un fari u surdu. L’affare è scunchiusu. Torna subito!”
Tanto gridò che, come fosse successa una disgrazia, attorno a lui si riunirono dentro la cartoleria gli spazzini in servizio nei pressi e il lattaio, testimoni della momentanea tragicommedia accaduta a Paolino.
Per raccontarla tutta, la storia finì bene per Paolino. Cimino, infatti, giunse a Catania e, prima delle 8, riuscì a consegnare al venditore preliminare e caparra. Per non perderla Paolino, ancora titubante, dopo quindici giorni si presentò come previsto dal notaio e, con mano tremante, firmò l’atto di acquisto dei due appartamenti, il cui valore aumentò del doppio nel giro di pochi anni. 
Il suo amico e compare Giannino, dopo qualche tempo, ritenne di dire a Paolino:- “ dovresti portare i fiori ogni giorno sulla tomba di Cimino. Con lui e con la sua momentanea sordità hai fatto l’affare del secolo. Ti ricordo un proverbio, adottato a tuo beneficio dall’amico sensale che, per questo, merita il paradiso: u veru surdu è chiddu che non vuole sentire! 

 

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