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L’ossessione della rivincita | Rivoluzione Liberale


di Enzo Palumbo
pubblicato il 23 mag 2011

Un antico detto siciliano suona, tradotto in italiano, più o meno così: ”Io non piango mio figlio che perde, ma piango mio figlio che si vuole rifare”.
Con ciò, il padre mostra di essersi ormai rassegnato all’idea che il figlio un po’ scapestrato subisca qualche perdita di gioco, ma si preoccupa soprattutto se, una volta registrata la perdita, il ragazzo prova a rifarsi, finendo così per rovinarsi del tutto.
In termini meno ludici e più aulici, si tratta dello stesso concetto che sembra sia stato espresso prima da Seneca il Vecchio (errare humanum est, perseverare autem diabolicum) e poi certamente da Sant’Agostino (humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere), intendendosi con ciò affermare che, in circostanze identiche o simili, il primo errore può anche essere compreso e perdonato, ma il secondo risulta assolutamente ingiustificabile.
E’ quello che mi è venuto in mente osservando l’ostinazione con cui il Presidente del Consiglio continua a riproporre il suo personale referendum nella campagna elettorale in corso, che, via via che procede, va perdendo ogni pur pallida traccia di competizione amministrativa attraverso cui decidere le sorti di una comunità cittadina, e va invece acquistando la natura di un pronunciamento sulla persona del Capo del Governo.
Gli elettori milanesi, e non essi soli, hanno già chiaramente detto col loro voto che non gradiscono i toni esagitati, le offese gratuite, le accuse ingiustificate, gli scontri televisivi all’ultimo urlo, i salti acrobatici nel passato remoto, le minacce di sfracelli prossimi venturi.
E questo chiaro pronunciamento, applicato con equanime penalizzazione sia al leader sia ai suoi seguaci ed alleati, sarebbe bastato a chiunque per capire l’antifona e restarsene defilato, in modo da restituire al normale confronto sulla gestione delle città quello che è purtroppo diventato una sorta di barbara ordalia, destinata a dimostrare i presunti poteri taumaturgici di una sola persona e la sua presunta infallibile presa sull’opinione pubblica.
Ed invece, il blitz di venerdì sera, con cui, “manu principis”, cinque delle sette reti televisive sono state occupate per dare sfogo all’ennesimo giuoco al rialzo sembra proprio stare lì a dimostrare che la saggezza degli antichi (siciliani, romani o africani che siano stati) non alberga nella mente dei contemporanei, tutte le volte in cui per superbia si pretenda di persistere nell’errore, come opportunamente ricordava quel santo e dotto uomo che era il vescovo di Ippona.
Il carico da undici ce l’hanno poi messo le promesse mirabolanti di questi giorni, fatte per vellicare i meno nobili istinti di cui gli elettori sarebbero presuntivamente dotati, ad ennesima dimostrazione di quanto sia fasullo il programmismo d’accatto che oggi presiede al sistema elettorale.
Per un verso, la dislocazione periferica di alcuni ministeri urta sia con oggettive ragioni organizzative sia col chiaro disposto dell’art. 114 u.c. della Costituzione, per il quale “Roma è la capitale della Repubblica”, come hanno avuto modo di ricordare sia il Sindaco di Roma sia il Presidente della Regione Lazio.
Quanto poi alla sanatoria delle contravvenzioni stradali, siamo proprio alle comiche finali.
Basterà ricordare che, in occasione della sanatoria in materia autorizzata nel 2009 proprio dal Governo Berlusconi (D.L. 78-2009 e L. 102-2009), l’Amministrazione Moratti, per bocca del suo assessore al bilancio, dichiarò testualmente:”Questo è un provvedimento che non ci piace, perché tende a premiare chi ha fatto il furbo e penalizza tutti quei cittadini onesti che invece pagano regolarmente le sanzioni”; e non fu da meno il vice-sindaco di Milano:”Non vogliamo favorire i furbi, altrimenti sarebbe come invogliare tutti i cittadini a non pagare”.
Che è poi ciò che ancora oggi pensa la stragrande maggioranza dei cittadini di Milano!

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