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La “gheddafizzazione” del Premier di Pippo Rao
pubblicato il 8 novembre 2011 su Rivoluzione Liberale
(Rubrica "L'Opinione Top")


Quando i ribelli libici avevano già occupato Sirte, dov’era asserragliato coi suoi fedelissimi lealisti, Gheddafi continuava ad incitare a proseguire la guerra affermando di averne il controllo e che le notizie del contrario, diffuse dagli organi d’informazione internazionali, erano “false e tendenziose”. Tutti sappiamo com’è andata a finire. Gheddafi è morto ucciso come, forse, voleva sperando di essere ricordato come un eroe almeno per il coraggio con cui aveva combattuto sino alla fine rifiutando ogni proposta di mettersi da parte per evitare al suo popolo ulteriori perdite di vite umane e distruzioni al suo Paese.
C’è adesso una “gheddafizzazione”di Berlusconi? 
Mutatis mutandis, Berlusconi, malgrado gli appelli che provengono, ormai, anche dall’area dei suoi lealisti, dichiara di voler continuare la “battaglia” non intendendo rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio, giacché, afferma, ha in Parlamento i numeri dalla sua parte nonostante le notizie “false e tendenziose” diffuse dai mezzi d’informazione. “In nome di Dio,dell’Italia, dell’Europa,vattene!” è l’invito che in un editoriale rivolge a Berlusconi il Financial Times. La mancanza di credibilità ha originato un movimento di sfiducia nazionale ed internazionale che da carsico è apparso, ora, in superficie sempre più tumultuoso. Ma anche lui, come Gheddafi, respinge proposte e suggerimenti che, ormai da qualche tempo, gli vengono indirizzati affinché si metta da parte.Forse perché considera una morte politica onorevole aver resistito sul campo sino alla fine indipendentemente dai danni materiali e d’immagine procurati all’Italia. Ci sono momenti in cui si può godere – per una serie di motivi non sempre confessabili – della fiducia, anche risicata, del Parlamento (sino a quando?) e sotto il profilo costituzionale è quello che conta, ma quando la sfiducia nei confronti di un capo di governo assume proporzioni sempre più ampie nel Paese e nel mondo non resta che prenderne atto nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale alla quale si appartiene. Con la caduta di Berlusconi, se ci dovesse essere, si chiuderebbe una fase della politica italiana non certo esaltante con qualche luce e molte ombre. Ma su questo torneremo a tempo debito. L’importante, ora, è sapere che con Berlusconi esce sconfitta l’antipolitica, l’impoliticità ed in gran parte anche il pragmatismo applicato alla politica. La verità è che la politica non può essere disancorata né dai filoni culturali che l’hanno originata, né dalle idealità sostituite, peraltro, dagli interessi di parte e personali. 
Il rischio è che la politica-piena di “parvenus” diventi un calderone di qualunquismo che è l’anticamera della dittatura. Ricordiamocene.

Pippo Rao

 

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