FISCO ITALIANO - "S.O.S.”
Ironizzare sulla politica fiscale italiana è divenuto quasi un "gioco di società"!
Se ne parla ovunque, adoperando talvolta terminologie improprie e facendo abbondantemente riferimento ai soliti luoghi comuni.
L’insostenibile pressione fiscale, frutto delle ricorrenti misure impositive adottate dai vari Governi e dalle Amministrazioni locali, il susseguirsi di previsioni poco rassicuranti, le smentite o le ritrattazioni, la delusione per la mancata attuazione delle promesse elettorali, hanno fatto sì che il “fisco” divenisse per milioni di cittadini un vero incubo, un sottile veleno che deprime il tono della vita personale oltre che dell’economia e della produzione. Uno spauracchio che scoraggia ogni sana iniziativa privata e imprenditoriale e che, di contro, incentiva “il sommerso” ed “il lavoro nero”.
Un salutare rimedio potrebbe essere quello di rimandare sui banchi di scuola quei "professori" che, pervenuti ai vertici istituzionali per meriti essenzialmente politici, dimostrano di ignorare le più elementari nozioni di "Economia Politica" e “Scienza delle Finanze”. L’infausto corporativismo (ereditato dal vituperato “ventennio” ma sostanzialmente mantenuto in vita poiché utile alle contingenze elettorali), miscelato con talune impostazioni classiste (riflusso di teorie conservatrici, progressiste o riformiste che dir si voglia), induce alcuni "leader" a credere, scioccamente, che anche la scienza economica, sol perché denominata "politica", possa essere impunemente asservita alle loro demagogiche finalità. Non si comprende, infatti, come si possa giustificare il fatto che, per assecondare interessi settoriali, sindacali o partitici, si sia giunto a distorcere, se non ignorare del tutto, basilari "regole" quali la necessità di “bilanciare le imposte dirette e quelle indirette", evitando “la saturazione del prelievo fiscale" e tenendo conto, specie nel settore dei tributi indiretti, della "differenziata capacità contributiva dei diversi ceti sociali". Gli aumenti delle tariffe dei servizi o dei prezzi al consumo, aumenti spesso ingiustificati o speculativi, dovrebbero essere “corretti” mediante il “rimborso” ai titolari di redditi fissi (dipendenti e pensionati) della maggiore incidenza monetaria e fiscale, visto che questi ultimi non sono in grado di detrarre alcunché e non possono far altro che assistere allo scippo delle loro striminzite risorse. Il Ministero delle Attività Produttive (che per molti versi richiama alla memoria il defunto “Ministero delle Corporazioni”) non può impunemente asserire (se non in malafede) che i prezzi non possono essere controllati stante che sono soggetti alle regole del “libero mercato”. Esistono norme e correttivi che potrebbero essere validamente utilizzati per frenare taluni abusi ingiustificati e speculativi. Va ricordato a tal proposito che nel dopoguerra, quando i prezzi al consumo presero a correre a briglia sciolta, si corse ai ripari imponendo precisi controlli, praticando “prezzi politici” per i generi di prima necessità e inserendo in busta paga l’indennità di “caro pane” e di “contingenza”. Solo che quelli erano i tempi di Einaudi e non di Tremonti o di Padoa Schioppa ! L’invalso odierno sistema “liberista”, eccessivamente permissivo, è, in ultima analisi, uno strumento che serve a proteggere (o agevolare) le multiformi “sacche speculative”, le “elusioni fiscali”, gli “interessi lobbistici”. Appare vessatorio, inoltre, il fatto che, attraverso l’accentuazione del carico fiscale indiretto (IVA sui consumi, accise sui carburanti, addizionali erariali ENEL, ecc.), si colpisca le classi ricche e abbienti in egual misura di quelle altre, molto più diffuse, che fondamentalmente vivono di stipendio, di pensione o di misere attività artigianali e agricole.
E’ quantomeno vergognoso che la copertura di “spese fuori controllo” o di “oneri straordinari” (vedi, ad esempio, le “missioni militari all’estero”) debba passare attraverso l’applicazione di vere e proprie “gabelle” che ricordano l’infausta “tassa sul macinato”. E’ chiaro, pertanto, che la reiterata promessa (…di marinaio ??) di ridurre le aliquote IRPEF, diviene essenzialmente uno strumento elettoralistico e demagogico nella misura in cui si pensa di applicarla (se e quando non si sa) “a tutti i redditi dichiarati” senza tenere in conto la veridicità e l’origine degli stessi. Sarebbe un ulteriore regalo a chi almeno parzialmente sfugge (attraverso una miriade di sotterfugi o di furberie) alla regolare tassazione dei redditi d’azienda o di lavoro autonomo. Molti di tali contribuenti si avvantaggerebbero ulteriormente della loro posizione di contribuenti normativamente agevolati (un fatto certamente immorale e forse anche anticostituzionale) ed incrementerebbero i loro profitti in danno della massa dei cittadini che sono necessitati di ricorrere alle loro prestazioni. Sarebbe essenziale, in un regime di efficienza governativa, che le aliquote fiscali fossero diminuite subito e concretamente per i titolari di redditi accertati alla fonte e, viceversa, fossero “congelate” (per un principio di equità fiscale oltre che di tutela costituzionale) per tutte le altre tipologie di redditi, salvo a renderle fruibili dopo l’accertamento degli stessi in contraddittorio con gli Uffici Finanziari preposti, i cui funzionari dovrebbero essere soggetti ad una forte responsabilità civile e penale. Una cosa è certa: ove le aliquote non dovessero diminuire in maniera razionale, difficilmente, salvo un miracolo, si potrà sperare in una ripresa dei consumi familiari, nel rilancio della curva positiva del P.I.L. (prodotto interno lordo), in una effettiva e non apparente contrazione del tasso di disoccupazione, in una crescita del risparmio.
Non può essere ignorata, infine, l’inderogabile occorrenza di tenere a freno “la spesa pubblica improduttiva" degli Enti Locali, così come non può essere disattesa la vitale occorrenza di "tutelare il potere di acquisto della moneta e dei salari”.
Tornando al discorso iniziale è bene manifestare alcune considerazioni d’ordine generale che sono evidenti a tutti, anche all'uomo della strada.
Diciamo innanzi tutto che un Governo di "competenti" (non di “politici tuttofare” o di "personaggi dismessi”, in genere transumati, questi ultimi, dai vertici della pubblica amministrazione ai più verdi pascoli della politica) ha il dovere di porre sotto controllo i consistenti e numerosi oneri ingiustificati (leggi sciupii) che le varie Amministrazioni centrali e periferiche (ivi compresi Comuni, Amministrazioni Provinciali e Regioni) spregiudicatamente pongono in essere elargendo vistosi “contributi” e consentendo l’uso improprio di costosi apparati e mezzi di servizio. Come si può giustificare, ad esempio, uno Stato che, imperterrito, seguita a sperperare ingenti risorse pubbliche per sovvenzionare una pletora di "Enti inutili" che da tempo (esattamente dagli anni cinquanta) avrebbero dovuto essere soppressi ? Come può l’Erario pubblico erogare allegramente lauti stipendi, gettoni di presenza e prebende varie (si dice di un onere che mediamente oscilla da 15/ mila a 30 mila euro mensili “pro capite”) per foraggiare e rendere comoda la vita di circa 1000 parlamentari ? Come si può giustificare il notevole onere sostenuto per retribuire l’esercito dei componenti i vari “consigli” regionali, provinciali e comunali, dei tantissimi dirigenti ministeriali d’alto bordo, delle stranumerose cariche militari di vertice, dei molti magistrati di rango, che in molti casi godono di un privilegiato trattamento economico? A quanto sembra questa nostra riconquistata democrazia viene a costare troppo e, in ogni caso, incide per un tasso di spesa pubblica parecchio superiore alle reali possibilità del Paese.
Sarebbe doveroso, in definitiva, che il "Super Ministro dell'Economia" dedicasse un po’ più di tempo al problema del contenimento degli sperperi (in maniera sostanziale e non mediante effimeri tentativi che non producono alcuna inversione di tendenza) e fornisse ai cittadini un chiaro ed esauriente "rendiconto" delle "spese correnti" di Ministeri ed Enti, senza nasconderle fra le pieghe dei pur essenziali stanziamenti per lo Stato sociale, per gli interventi di pubblica utilità, per l'Istruzione, per la giustizia, ecc., che, pur se depurati e razionalizzati, non rappresentano certo "sciupii" od "oneri impropri". Nell'epoca della strombazzata "trasparenza", invece, taluni settori della pubblica spesa rimangono avvolti (volutamente) da una fitta ed impenetrabile coltre fumogena.
E' assurdo, peraltro, che gli “organi di controllo” continuino opportunisticamente a chiudere gli occhi sui "bilanci colabrodo" di Ministeri, Regioni, Comuni e Province, permettendo che la spesa pubblica navighi incontrollatamente al di sopra di ogni reale possibilità. Lo Stato, in definitiva, dovrebbe avvertire il dovere morale di informare i contribuenti sul come sono spesi i proventi dei "sacrifici" chiesti attraverso la farraginosa macchina fiscale o attraverso le "manovrine" o “manovrone” stagionali. Perché ci si accorge solo a cose fatte dei vari “buchi” di bilancio e non si riesce ad evitare che sistematicamente si ripetano ?
Riteniamo, senza presunzione, di immaginare a priori quale potrebbe essere la riposta "ufficiale", ma ci permettiamo obiettare che non si può ritenere “soddisfacente” un dialogo basato sul consueto linguaggio “politichese” che vorrebbe essere esplicativo e convincente ma che spesso diviene la copertura di probabili turlupinature.
Di questo passo, continuando a torchiare sfacciatamente i contribuenti più deboli e raschiando i fondi della pentola, rimarrà ben poco da spremere e niente da grattare. Si corre il rischio di prosciugare la fonte stessa delle risorse o che la pentola si deteriori sino ad essere costretti a buttarla via.
Ma l'offesa più pesante per i contribuenti, almeno per quelli ligi al dovere, si manifesta nel momento in cui si cerca di far credere che il tutto avviene "nell’interesse della Nazione e nel rispetto della Costituzione".
Ogni menzogna impallidisce al cospetto di tale invereconda affermazione !
A. Lucchese
|