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Aspetti controversi dell’invasione della Sicilia

- 10 luglio 1943 -

Sintesi della conferenza tenuta dal Presidente dell’Associazione, Augusto Lucchese, l’11 luglio 2008.

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L’idea di invadere la Sicilia era emersa a Londra già nell’estate del 1942, quando i responsabili dell’apparato politico e militare inglese ritennero di fissare due importanti obiettivi strategici nel Mediterraneo: Sicilia e Sardegna, alle quali furono assegnati rispettivamente i nomi in codice di “Husky” e “Brimstone”. L’invasione tutta britannica delle due più grandi Isole italiane, tuttavia, fu immediatamente contrastata a livello di Alto Comando Interalleato.

La Conferenza di Casablanca (in codice “Operazione Symbol”), fu organizzata, il 14 gennaio del 1943, proprio per prendere una decisione sulla delicata questione insorta. 

In tale sede, alla fine, fu stabilito di dare la precedenza alla invasione della Sicilia che, distando appena 130 km. dalla costa della Tunisia e molto meno da Malta, rappresentava il punto più agevole per sferrare il primo attacco alla “Fortezza Europa”. L’attacco, in ogni caso, sarebbe stato portato da forze congiunte americane e inglesi.

Non fu però facile concordare tale decisione poiché inglesi ed americani sostenevano opposte concezioni strategiche. Gli americani, fiduciosi delle loro immense risorse, erano per un attacco frontale alla Germania con l’invasione della Francia attraverso il Canale della Manica; gli inglesi, viceversa, sicuramente consapevoli delle loro minori risorse, ma consci di essere più forti sul mare, preferivano puntare su un attacco in Mediterraneo, essenzialmente volto contro l’Italia per cercare di portarla fuori dal conflitto, scardinando così l’alleanza con la Germania. 

L’accordo venne raggiunto solo dopo forti contrasti e fu in realtà un compromesso tra le due concezioni. A prevalere, almeno parzialmente, fu il punto di vista inglese (che, tuttavia, rispetto alla limitazione dell’attacco alla sola Sicilia, non rispettava totalmente le personali convinzioni di Churchill, probabilmente influenzate dai potenti ambienti massonici londinesi, molto vicini alla Corona) e gli americani finirono per appoggiare la richiesta di continuare le vittoriose operazioni militari in Mediterraneo, in cambio dell’impegno inglese per un attacco sul Canale della Manica l’anno successivo. 

Il Generale Dwight D. Eisenhower (americano) fu insediato a capo dell’operazione Husky, mentre il generale Sir Harold Alexander (inglese) fu designato quale comandante di tutte le forze di terra.

A fine gennaio venne creata ad Algeri la “Task Force 141”, la cui denominazione derivò dal numero della stanza dell’albergo ove fu tenuto il primo incontro. Il Generale Sir Bernard Montgomery assunse il comando dell’Ottava Armata inglese ed il Tenente Generale George Patton quello Settima Armata americana; Il piano prevedeva inizialmente che gli inglesi dovessero attaccare tra Siracusa e Gela, per poi puntare su Catania, mentre gli americani avrebbero dovuto sbarcare a Sciacca per impadronirsi rapidamente della Sicilia occidentale e in particolare di Palermo, importantissimo porto. Montgomery espresse subito forti preoccupazioni su detto piano stante che riteneva più appropriato che gli americani sbarcassero in forze più ad oriente, sulla costa di Gela e rinunciassero, inizialmente, a Palermo; il comandante dell’Ottava Armata si aspettava una forte resistenza delle forze dell’Asse nel suo settore e perciò chiedeva a gran voce un più forte concentramento iniziale delle forze nel suo settore, cui gli americani avrebbero dovuto assicurare la difesa del fianco sinistro. 

Le osservazioni di Montgomery scatenarono la reazione di Patton, addirittura inviperito poiché la proposta di Montgomery avrebbe relegato le truppe americane ad un ruolo di minore importanza, mentre agli inglesi sarebbero toccati compiti e obiettivi migliori. 

Per superare le divergenze, Eisenhower convocò ad Algeri un incontro per il 2 maggio. Montgomery, tuttavia, riuscì a far valere le sue ragioni mirate a cancellare l’operazione su Palermo e a dirottare lo sforzo americano sulla zona di Licata-Gela-Scoglitti. Il 3 maggio, l’impostazione di Montgomery venne adottata come piano definitivo.

Stalin, peraltro, seguitava a chiedere fortemente agli Alleati l’apertura di un secondo fronte europeo, con lo scopo di alleggerire la pressione tedesca sul fronte russo. Era evidente, però, che esistevano sostanziali divergenze sul come e sul dove effettuare il tentativo. Churchill, sosteneva la necessità dell’attacco in Mediterraneo (non solo in Sicilia, però) per eliminare al più presto l'Italia dal conflitto e per costringere Hitler a distrarre ingenti forze da altri settori. 
Il primo ministro inglese riuscì, almeno parzialmente, a far prevalere le proprie idee anche perché gli americani erano giunti a Casablanca senza avere ancora risolto le divergenze esistenti in seno ai loro vertici militari.

Per il generale George Marshall, l'attacco all'Europa nazista doveva avere come obiettivo primario le coste francesi (era quello che pensava anche Stalin); l'ammiraglio Ernest J. King, dal suo punto di vista, considerava prioritario il settore del Pacifico e, quindi, le operazioni navali contro il Giappone, il generale Hap Harnold, comandante delle forze aeree USA, pensava invece che bombardando senza sosta la Germania, il conflitto avrebbe potuto trovare una soluzione mediante la potenza distruttrice delle incursioni. Trovando disuniti gli interlocutori, Churchill riuscì a forzare la mano rispetto alla presunta bontà delle sue vedute, sia per sfruttare al meglio la supremazia acquisita in Africa Settentrionale che in funzione della mai sopita aspirazione inglese ad ampliare il proprio dominio nel Mediterraneo, ritenendo, forse, che la Sicilia potesse assolvere meglio e con maggiore potenzialità la funzione sino ad allora svolta da Malta. A pag.40 – del vol. 1° parte V- della sua già citata “Storia della 2° Guerra Mondiale”, parlando delle esposte tesi americane, Churchill afferma testualmente: “non potevo in alcun modo condividerle” e a pag. 68 chiarisce che il suo intendimento non era solo quello di far uscire l’Italia dal conflitto bensì anche quello di “impedire l’occupazione tedesca dal Brennero in giù”. Egli sosteneva, tuttavia, di non sentirsi affatto “tenuto ad offrire ai vinti (Italia, ndr) le condizioni che certi manifestini della propaganda americana hanno avuto l’aria di far pensare”. 

I fatti lo smentiranno, in materia di “occupazione tedesca dell’Italia”, poiché, appena dopo il 25 luglio, i tedeschi, con il beneplacito degli imbelli e sprovveduti Badoglio e Ambrosio, riuscirono a portare in Italia ben 16 divisioni (tutte estremamente mobili e di cui parecchie corazzate) riuscendo anche a creare una fitta rete di centri di trasmissioni attraverso cui controllare, di fatto, i movimenti italiani. 

I tedeschi, seguendo la loro logica di diffidenza verso il vacillante alleato, si erano fermamente opposti al rientro in Italia delle grandi Unità dislocate in Francia e nei Balcani (rientro chiesto, con scarsa determinazione, da Ambrosio) e facevano pressioni, altresì, affinché il grosso delle forze concentrate nel Centro Nord e particolarmente attorno a Roma, fossero avviate a difendere il Sud in pericolo.

Il 23 gennaio 1943, nella riunione dei Capi di Stato Maggiore congiunti americani e britannici furono decisi i particolari dell'attacco alla Sicilia. La data dello sbarco, inizialmente prevista "per agosto", fu definitivamente fissata per l'alba del 10 luglio. 

Da parte italiana e tedesca i servizi di informazione non erano stati in grado di comprendere con esattezza in quale luogo, tra i molti possibili nel Mediterraneo, sarebbe avvenuto il previsto attacco. In particolare, le informazioni sull'imminente invasione della Sicilia furono parecchio incerte e confuse. Mancò anche l’apporto della ricognizione aerea che sino al pomeriggio del 9 non era stata in grado di avvistare la pur consistente formazione di circa 3000 navi in avvicinamento. Ufficiali e soldati, dislocati nelle zone di operazioni, non riuscirono ad avere notizie precise circa la reale dimensione dell'attacco anglo americano e tutti erano dell’avviso che le avverse condizioni del mare (forza 7) erano in quel momento di ostacolo a qualsivoglia tentativo di sbarco.

Nel momento cruciale il generale Guzzoni aveva chiesto l'intervento delle forze aeree, ma esso non conseguì alcun risultato degno di rilievo. L’intervento della Flotta non fu neppure preso in considerazione, per timore di “perdere” le grosse Unità. La decantata difesa costiera, nel complesso, si rivelò subito molto debole e la controprova di ciò sta nel fatto che la piazzaforte di Augusta, in teoria molto potente, si arrese, in pratica, quasi senza combattere. Il suo comandante, contrammiraglio Leonardi, alle prime avvisaglie di sbarco, ordinò la distruzione di tutte le batterie e il sabotaggio di ogni mezzo e ogni attrezzatura per evitare che cadessero in mani nemiche. 
La cronistoria delle operazioni militari è in genere ben nota (ne abbiamo parlato più volte) e, quindi, non è opportuno soffermarsi più di tanto, tranne qualche breve cenno riepilogativo. (vedi cronologia)

Con la sua consueta irruenza, il generale Patton si impose da protagonista e di propria iniziativa prese Palermo, contravvenendo agli ordini ricevuti e ponendo Eisenhower di fronte al fatto compiuto. L'altra grande città siciliana, Catania, fu invece conquistata a caro prezzo dagli inglesi del Gen. Montgomery. La corsa su Messina fu vinta, sebbene per poche ore, da Patton e sarebbe lungo e forse tedioso raccontarne i particolari.

L’invasione della Sicilia non fu comunque una passeggiata e la lunga serie di errori e di divergenze strategiche e tattiche degli Alleati contribuirono a farla definire una "vittoria amara".

Malgrado tutto, gli italiani e i tedeschi riuscirono a trarre in salvo, oltre lo Stretto, gran parte delle proprie forze (in special modo i mezzi corazzati della Herman Goering). Ciò rappresentò parimenti un successo dell’Asse e un grave insuccesso per gli Alleati che, pur disponendo dell’assoluta superiorità aerea, non riuscirono ad impedire il traghettamento. In particolare i tedeschi si avvalsero di una perfetta macchina logistica e furono protetti da una difesa antiaerea di prim’ordine che gli stessi inglesi giudicarono addirittura più agguerrita di quella che aveva difeso, circa due anni prima, Londra. L’operazione “Lerghang” fu un autentica vittoria tattica che, in relazione all’intenso e spasmodico sforzo logistico messo in atto, porterà a definirla «la piccola Dunkerque italiana.»

Non mancarono episodi di atrocità da parte degli Alleati, tanto più ingiustificabili in una situazione militare che si stava evolvendo assolutamente a loro favore. 
Nelle campagne attorno all'aeroporto di Biscari il capitano americano Compton ordinò la fucilazione di 36 prigionieri italiani, catturati dopo la conquista del campo d'aviazione. Sulla scia del suo superiore, il sergente West uccise personalmente a colpi di mitra Thompson altrettanti prigionieri italiani. Sia Compton che West finirono davanti alla corte marziale; il secondo, condannato all'ergastolo ma liberato dopo pochi mesi, morì in Normandia. Quanto al capitano, venne prosciolto da ogni accusa. 


Capo 3 – La Mafia siciliana al servizio degli americani.


In previsione dell’invasione della Sicilia, i servizi segreti americani non trovarono alcunché di disdicevole nel ricorrere ai servigi della mafia siciliana. Chiesero la mediazione di Salvatore Lucania (detto “Lucky Luciano”) che stava scontando una condanna a 15 anni. Del resto, si erano già spregiudicatamente avvalsi dell’organizzazione mafiosa dei fratelli Camardos e Frank Costello attraverso cui erano riusciti a debellare la rete di spie naziste che operavano negli USA segnalando ai sommergili tedeschi la partenza e la rotta delle navi cariche di rifornimenti militari all’Inghilterra 

Nel 1942 parecchi mafiosi siculo americani erano stati clandestinamente trasportati in Sicilia ed avevano instaurata una rete di contatti con gli americani che, mediante le loro segnalazioni, poterono arruolare parecchi militari d'origine siciliana. 

I ricostituiti clan mafiosi intrapresero anche attività di spionaggio fornendo notizie sulle infrastrutture dell'isola e sulla dislocazione e consistenza delle truppe dell'Asse in Sicilia. 

Ciò influì parecchio sulla decisione di accettare la scelta inglese di attaccare la Sicilia, anziché la Sardegna o la Corsica, dalle quali, ovviamente, sarebbe stato più agevole, poi, effettuare sbarchi in Toscana, Liguria o Provenza. La tranquillità nelle retrovie delle truppe che sarebbero sbarcate costituiva la preoccupazione principale dei comandi alleati e, a tal fine, l’appoggio della mafia era estremamente utile. 

Fu quest'ultima, del resto, ad ospitare, nel 1942, il pseudo colonnello Charles Poletti futuro governatore militare della Sicilia e, dall'aprile 1943, il colonnello britannico Hancok oltre a un buon numero d'infiltrati italo-americani. 

Dalla relazione conclusiva della Commissione antimafia presentata alle Camere il 4 febbraio 1976 si evince che “qualche tempo prima dello sbarco anglo americano in Sicilia numerosi elementi dell'esercito americano furono inviati nell'isola, per prendere contatti con persone determinate e per suscitare nella popolazione sentimenti favorevoli agli alleati. 

L'episodio più rilevante è sicuramente quello che riguarda la parte avuta nella preparazione dello sbarco da Lucky Luciano, uno dei capi riconosciuti della malavita americana di origine siciliana. Lucky Luciano era in realtà, Salvatore Lucania, nato a Lercara Friddi (Pa) nel 1897, emigrato da bambino a New York dove divenne il capo di «Cosa Nostra»; condannato a 30 anni nel 1936, fu graziato nel 1946 (ed estradato in Italia) per l'aiuto dato agli USA nell'eliminazione delle spie tedesche operanti a New York e nello sbarco in Sicilia del 1943. Per facilitarne l’opera furono creati, come segno di riconoscimento, i famosi fazzoletti gialli stampigliati con la nera sigla «L». Il gangster siculo americano, accettata l'idea di collaborare, prese contatto con i maggiori capimafia di origine siciliana e questi, a loro volta, misero a punto i piani operativi per predisporre l’accoglienza degli agenti americani che sarebbero sbarcati clandestinamente in Sicilia onde preparare la popolazione ad accogliere nel modo migliore le truppe USA. 

Resta il fatto che, dopo lo sbarco, gli americani di Patton poterono raggiungere Palermo in soli sette giorni. 

Michele Pantaleone ha scritto in proposito che “...è storicamente provato che prima e durante le operazioni militari relative allo sbarco in Sicilia, la mafia, d'accordo con il gangsterismo americano, s'adoperò per tenere sgombra la via da un mare all'altro...”. 

Nella confusione dell'invasione, la mafia intravide l'opportunità di riorganizzare il suo vecchio potere, raccogliendo i frutti della collaborazione con gli alleati. Molti dei suoi uomini di punta ottennero importanti cariche pubbliche, quali ad esempio, il celeberrimo don Calogero Vizzini che fu nominato sindaco di Villalba e che, nella cerimonia d'insediamento, fu salutato al grido di “Viva la mafia!”. 

Altro caso clamoroso fu quello di Vito Genovese che, pur ancora ricercato dalla polizia degli Stati Uniti per una serie di delitti e di omicidi, divenne “ufficiale di collegamento” di una unità americana e poté utilizzare tale particolare posizione e la sua vasta parentela per aiutare a restaurare l'autorità della mafia locale...”. 

Quale “braccio destro” del governatore Poletti, si avvalse di una organizzazione che rubava autocarri militari e li riempiva di farina e zucchero (pure sottratti agli alleati) che alimentavano il mercato nero nelle città vicine. 

Altri mafiosi divennero interpreti o “uomini di fiducia”. L'atteggiamento del Governo militare fu ispirato a criteri utilitaristici e in breve la mafia poté riorganizzarsi e riacquistare l'antica indiscussa influenza. Essa aveva sempre cercato l'alleanza con il potere (anche con quello fascista, agl'inizi) ma per la prima volta le fu conferito il crisma di legalità e di ufficialità. 

Lo sbarco degli Alleati in Sicilia, in definitiva, fu impostato con gli stessi schemi cui erano ricorsi i piemontesi e Garibaldi. E’ risaputo, infatti, che la spedizione garibaldina, oltre ad essere stata protetta in ogni senso dagli inglesi e a parte la "compiacenza" di alcuni generali borbonici assoldati, si era assicurato il favore delle organizzazioni malavitose locali. 

La mafia siciliana, alla fine, ebbe importanti compiti in tutti e due gli avvenimenti storici. 

Influì sugli umori della popolazione, spingendola prima a favorire lo sbarco e, poi, a collaborare con l'occupante e, in entrambe le situazioni, fu fatto balenare lo specchietto per le allodole dell'indipendenza dell'Isola.

I contatti dello spionaggio americano con la mafia siciliana, assicurati da Lucky Luciano, ebbero il patrocinio del presidente massone Roosevelt e del ministro della Marina Knox. Materialmente i contatti furono tenuti da Mayer Lansky, boss indiscusso del gangsterismo U.S.A. che, nel dopoguerra, unitamente al graziato Luky Luciano, controllerà il mercato degli stupefacenti tra Medio Oriente, Sicilia, Cuba e Stati Uniti. 

Il tutto fu abilmente manovrato da Allen Dulles, che durante la guerra diresse le operazioni di spionaggio in Europa e che poi fu il capo della CIA. 

Per lo sbarco in Sicilia Luciano e Lansky mobilitarono importanti capi mafiosi degli U.S.A. quali Adonis, Costello, Anastasia, Profaci ecc. e il risultato, come visto, fu quello che i mafiosi locali si adoperarono per accogliere a braccia aperte le truppe americane. 

Al momento dello sbarco, gli americani conoscevano non solo la dislocazione delle batterie e dei reparti italiani, ma anche i nomi degli ufficiali che li comandavano. 

Da ciò dipese in gran parte il fatto che la popolazione civile, in molti casi, accolse di buon grado gli invasori dei quali quasi il 15% era di origine siciliana. I soldati italiani catturati, se erano imparentati con gli esponenti delle cosche mafiose, venivano liberati e inviati alle loro case. 

Anche gli oltre cinquecento “confinati” di Ustica furono immediatamente liberati e tra essi il governatore Charles Poletti scelse parecchi “collaboratori”. Damiano Lumia (nipote di Calogero Vizzini) diventò interprete del Civil Affairs; Vincenzo di Carlo (boss di Raffadali) divenne responsabile dell'ufficio requisizione grano; Michele Navarra (boss di Corleone) fu incaricato di raccogliere gli automezzi militari abbandonati; Max Mugnani divenne depositario dei magazzini farmaceutici americani della Sicilia, il tutto con la benedizione U.S.A. 

Da tutto ciò scaturì anche il connubio con la riemergente “politica” e fiorì l’idea del “separatismo”. Il colonnello Donovan, capo dell'O.S.S. scrisse in quel periodo : "la Sicilia è il cuore strategico del Mediterraneo, dell'Africa e del Medio Oriente. La nostra stessa sicurezza è legata alla libertà e alla indipendenza della Sicilia". 

In America, oltretutto, cominciava a crescere l'interesse del capitalismo americano, anche attraverso le sollecitazioni del capo del movimento separatista Finocchiaro Aprile. 

Si costituirono dei comitati italo-americani, con a capo Fiorello La Guardia e il giornalista Max Johnson, che, fra l’altro, appoggiavano il Movimento per la “quarantanovesima stella” officiato da Calogero Vizzini e da Vito Genovese. 

Il movimento separatista veniva praticamente alimentato con danaro e aiuti vari dagli americani. 

Lo scrittore siciliano Alfio Caruso, in “Arrivano i nostri” ha descritto minuziosamente il concatenarsi di eventi, che portò allo sbarco degli Alleati in Sicilia. Dice testualmente che “…..forze eterogenee con interessi diversi se non addirittura contrapposti, dalla massoneria alla mafia, dalla monarchia alla chiesa, hanno partecipato a vario titolo a un intrigo internazionale degno della più avvincente “spy story”.” 
Attenendosi con scrupolo storico ai documenti ufficiali e al carteggio fra personalità influenti dell'epoca, Caruso ripercorre quegli avvenimenti, dai prodromi della crisi fino all'armistizio, suggerendo nuove linee interpretative degli avvenimenti. 

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