Cicerone:
VIVERE IN AMICIZIA
"Allora, come coloro che sono nel vincolo
dell’amicizia e superiori nel legame, devono mettersi alla
pari con gli inferiori, così gli inferiori non si dispiacciano
di essere superati da questi in ingegno o in fortuna o in
dignità. La maggior parte di questi si lamenta sempre di
qualcosa o rinfaccia ancora di più, per giunta, se crede di
ottenere ciò che può dire di aver fatto cortesemente, per
amicizia e con qualche lavoro proprio. È odioso, in verità, il
genere umano che rinfaccia i lavori fatti; deve essere ricordata
la cosa nella quale si contribuisce, non chi contribuì a
ricordarla. Perciò, come coloro che sono superiori si devono
sottomettere nel rapporto di amicizia, così allo stesso modo,
gli inferiori se ne devono rinfrancare. Vi sono infatti taluni
che fanno amicizie inopportune, credono di disprezzarsi insieme
a questi stessi; (vi sono quelli che) non la raggiungono del
tutto se non coloro che decidono di essere da disprezzare; (vi
sono) coloro che per questa opinione devono essere alleviati non
solo dalle parole, ma anche dall’opera."
Amicizia
Non è
cosa facile formulare una esauriente definizione del termine
“AMICIZIA”, anche perché, a tener conto dei tanti discorsi che in merito
fa la gente, sembra
che ben pochi riescano a comprenderne l’appropriato significato.
Circolano, evidentemente, molti e svariati abusi. Si dice, ad esempio,
"è un “mio grande amico”, siamo “amici per la pelle”, siamo “amici da
sempre”, ecc. ecc., ma trattasi spesso di puri e semplici modi di dire cui si fa
ricorso, con diffusa leggerezza, nei quotidiani rapporti interpersonali.
Tali abusate espressioni non trovano, quasi sempre, riscontro
nella concretezza dei rapporti e dei comportamenti. Sono ben pochi,
oggi, gli “eletti”
che possono affermare con sicurezza d’avere acquisito la genuina “coscienza
dell’amicizia”, fatta di coerenza, di lealtà, di sensibilità.
Dovremmo, forse, rassegnarci all’idea che la “vera amicizia” è destinata a
divenire retaggio di un’epoca sorpassata? Probabilmente non più
conciliabile con l’attuale era dell’esasperato materialismo?
Auspicando che ciò non accada, occorre riproporre alla coscienza di
ciascuno, l’esigenza di rivalutare i valori morali ed affettivi cui
dovrebbe fare riferimento un genuino rapporto d’amicizia, partendo dal
presupposto che esso non può prescindere dall’inalienabile concetto
della reciproca lealtà. Non può sussistere, infatti, una “amicizia
unilaterale” cui fare ricorso solo quando fa comodo o quando si
manifesta una qualche particolare esigenza o si vuole attivare una valvola di sfogo per tensioni,
crucci o depressioni varie. Ed è anche errato, peraltro, ritenere che,
in funzione di una qualsivoglia forma di amicizia, specie se solo
millantata, si possa giustificare qualsivoglia forma
d’invadenza o d’ingiustificata ingerenza nella vita privata altrui.
Non sempre la mediocrità educativa o caratteriale dei soggetti interessati,
può rappresentare un attenuante a fronte di simili anomali atteggiamenti,
pur se la controparte è ben convinta del fatto che, in ogni caso, l’amicizia,
per la sua intrinseca natura di “sentimento”, può essere portatrice, talvolta, di
pesanti sofferenze e di cocenti delusioni.
Per altro verso, evitando per un momento il ristretto campo
delle esperienze individuali, parecchie riflessioni portano a
non trascurare l’aspetto sociale dell’amicizia.
Nella scala dei valori etici e nell’ambito dell’odierno sistema di vita
(dagli stolti gabellato per “progresso”) essa appare parecchio
penalizzata.
La società tecnologica, consumistica ed edonistica, sembra
non essere più in grado di assicurare le condizioni idonee a far
“germogliare” importanti e duraturi sentimenti, quale l’AMICIZIA - come
detto, che dovrebbero essere posti alla base del vivere quodidiano.
L'amicizia, in particolare, è ben paragonabile ad un seme che si sviluppa
agevolmente nel
fertile “humus” dei buoni rapporti, della lealtà e della sincerità, ma che è destinato
a perdere ogni vitalità fra le aride zolle dell’egoismo,
dell’opportunismo e dell’ipocrisia.
L’amicizia, impareggiabile e benefica fonte di sostegno morale, di aiuto
e d'integrazione, non dovrebbe essere considerata alla stregua
di un rapporto di convenienza o di un gettone da spendere solo quando se
ne ha bisogno. Non può essere paragonata a quei fiori che, pur se belli
e appariscenti, fioriscono una sola volta all’anno. Dovrebbe essere idealmente accostata,
piuttosto, all’edera che
resiste a tutte le intemperie e che, quasi perennemente, rimane folta e
verde. Potrebbe anche raffrontata al geranio che, pur se può sembrare
appassito, è sempre in grado di rinverdirsi e di generare nuovi stupendi
fiori, dai colori smaglianti. Potrebbe essere paragonata, ancora,
alla rosa che fiorisce instancabilmente e crea variegati e profumati
boccioli, pur se qualche più o meno nascosta e pungente spina può far pentire dal
volersi accostare maldestramente ad essa per godere, più da vicino, della fragranza del
suo profumo.
L’amicizia, quando perde le sue basilari caratteristiche,
di contro, può divenire fonte d’amarezze e di dispiaceri e può facilmente cadere
ostaggio dell’egoismo, della bugia, dell’invidia, sino a generare,
talvolta, potenti “veleni” cui anche i più efficaci antidoti
possono risultare alla fine inadeguati.
Cercando d'approfondire meglio il delicato substrato del sentimento
chiamato amicizia, non sembra azzardato
affermare, magari avvalendosi della saggezza di un certo tipo di
filosofia orientale, che il
carisma spirituale, intellettuale e morale di ciascuno influisce
certamente sulla capacità di
favorire la nascita e la crescita evolutiva dei positivi e ripaganti rapporti
d’amicizia.
E'
parecchio amaro constatare, viceversa, che il diuturno scontro
esistenziale sembra determini, sempre più, il degrado dei rapporti umani
e fanno temere che essi siano destinati a svuotarsi di
significati ideali.
Un vecchio aforisma ricorda che “se vuoi fare del bene, prima impara ad
accettare il male e le delusioni”.
Ma l’Uomo, in genere, è capace di elevarsi ad un sì alto livello di
maturazione interiore?
Forse è giusto, a questo punto, convenire con Platone che “la speranza è
il sogno di chi veglia” e, da inveterati idealisti, non rimane che vegliare
per difendere l’AMICIZIA, se ancora c'è dato credere in lei.
1993
A.
Lucchese
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