|  | |
| * Home | * Scrivi | 
| 
				 
				Nel cuore della mia città, che io amavo e amo nonostante il mio 
				censurarne usi, costumi e pregiudizi, c’è piazza Ingegnere 
				Scelfo ossia, per comune esperienza degli anziani, luogo del 
				rilievo di viaggiatori, in dialetto ennese “rilivu”. Fino agli 
				ottanta dell’ottocento una vettura trainata da due o quattro 
				cavalli si fermava in contrada Misericordia ai piedi della città 
				per consentire ai pochi passeggeri di rifocillarsi alla meglio, 
				al conducente della carrozza di effettuare il cambio degli 
				animali e alle persone destinate a Calascibetta e a 
				Castrogiovanni stanche, impolverate e affamate di raggiungere 
				queste località su muli, asini e carretti. L’imbarco e lo sbarco 
				e le altre operazioni della stazione di cambio erano gestite da 
				un apposito postiglione, retribuito dai comuni. U rilivu, 
				allora, era lì e v’era una casetta attrezzata per la bisogna con 
				cavalli freschi, mangiatoia, abbeveratoio e una minuscola 
				bettola per sfamare i passeggeri diretti verso altre località 
				esistenti lungo il percorso Palermo via montagne – Catania e 
				Messina. Dopo il 1875, quando il treno raggiunse anche il luogo 
				oggi destinato a stazione ferroviaria, un volenteroso 
				imprenditore, su apposito appalto del comune, instituì il 
				servizio di trasporto con una vettura idonea a trasportare non 
				più di sei persone. Il mezzo di locomozione era trainato di 
				solito da un solo cavallo. I passeggeri, come mi riferì mio 
				nonno forse in modo aneddotico, pagavano due tariffe diverse 
				perché due erano i modi di viaggiare. I poveri e i parsimoniosi 
				si sedevano accanto al vetturino allo scoperto e i ricchi 
				dentro. A chi pagava di meno, quando bisognava collaborare con 
				il cavallo in quelle ripide salite, era richiesto di scendere e 
				spingere carrozza, passeggeri danarosi, posta e bagagli. Il 
				luogo di arrivo era l’odierna piazza ingegnere Scelfo, il sagace 
				e avveduto imprenditore che sostituì la vettura a cavalli con 
				autobus della prima metà del secolo scorso. I paesani, anche in 
				presenza dei moderni mezzi di trasporto, quel luogo continuarono 
				a chiamarlo “ urilivu”. Sin dal 1937, quando avevo quattro anni 
				e giravo in terrazza su un triciclo, iniziai a scoprire il mondo 
				dei motori perché da quel luogo avevo il privilegio di seguire 
				gli arrivi e le partenze dei mezzi, il via vai dei passeggeri 
				provenienti dalla provincia, il lavoro dei portabagagli e, 
				soprattutto, il signor Ferrari, venuto dal Nord, nelle sua 
				attività. Egli, fisicamente ben dotato, con autorità dirigeva le 
				riparazioni degli automezzi, previa sua accurata diagnosi. 
				Scrutava nel ventre degli autobus e subito dopo impartiva i suoi 
				ordini ai meccanici. Questi ultimi ubbidivano “militar tacendo”. 
				Nella stessa piazza sostavano diversi taxi con relativi autisti 
				con le loro giacche di pelle. Nelle loro lunghe soste in attesa 
				di clientela si intrattenevano con i commercianti e, purtroppo, 
				con quasi unanime condivisione e senza pudore e vergogna di sè, 
				prendevano in giro quei disgraziati costretti a svolgere i 
				lavori più umili e marginali. Generalmente si trattava di 
				andicappati fisici e mentali. Anch’io ridevo perché alla mia età 
				non avevo ancora percezione del bene e del male. 
 
                 
 | |
|     Ass. 
			Socio-Cult. «ETHOS 
			- VIAGRANDE» 
			  |