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Strumenti RES - Rivista online della Fondazione RES
Anno V - n° 5 - Novembre 2013

 

Criminalità e rischiosità dei crediti:
un’analisi per le banche di credito Cooperativo

di Massimo Arnone, Ferdinando Ofria

 

CRIMINALITA’

 

Il paper si sofferma sulle relazioni che esistono fra la criminalità e la qualità dell’offerta di credito da parte delle banche locali con particolare riferimento al credito cooperativo.

1. Introduzione

Questo paper si propone di approfondire la relazione tra la presenza di situazioni di illegalità quali ad esempio il tasso di omicidi e di criminalità organizzata3 che si manifestano con diverse intensità nelle loro ricadute sull’economia territoriale delle regioni italiane e la qualità del credito concesso dalle banche locali ed in particolar modo dalle banche di credito cooperativo.
Il lavoro è diviso in tre parti. La prima propone una rassegna della letteratura sul tema degli effetti della crisi globale sul rapporto banca-imprese con particolare riferimento al
relationship lending e alla soft information. In altre parole con questa sezione si intende rispondere a tale quesito: il relationship lending è ancora un modello gestionale del rapporto con la clientela che alimenta la capacità competitiva delle banche locali alla luce della crisi internazionale oppure tali banche devono necessariamente ripensare le loro modalità operative? La seconda parte realizza un’analisi comparativa tra Mezzogiorno e Centro-Nord guardando alla dinamica dei divari regionali di omicidi e della criminalità prima e dopo lo scoppio della crisi internazionale. L’ultima parte, infine, riporta i risultati di una nostra recente ricerca sul tema (Ofria e Arnone, 2013) ove si evincono gli effetti
negativi della criminalità sulle performance delle banche di credito cooperativo.

2. Relationship lending, soft information, e la crisi: una rassegna

Il periodo posto sotto osservazione, 2006-2011, racchiude tutte e due le fasi della crisi internazionale ossia quella di natura esclusivamente finanziaria (dal 2006 al 2008) e quella strutturale con pesanti ricadute sull’economia reale (dal 2009 in poi)4. La crisi, infatti, può essere considerato come il terzo fattore che ha contribuito a ridisegnare l’intensità e la durata del rapporto banca locale-territorio. A partire dagli anni novanta sono state soprattutto le fusioni bancarie a modificare la morfologia del credito bancario, in termini di un maggiore rischio di razionamento del credito a danno delle PMI (Bonaccorsi di Patti e Gobbi 2001, Focarelli et al. 2002, Sapienza 2002).
Una prima traiettoria di cambiamento dell’offerta di credito riguarda la trasformazione dei modelli organizzativi e distributivi del processo creditizio. A tal proposito Albareto
et al (2008), mediante uno studio empirico sul comportamento delle banche italiane per il periodo 2003-2006, hanno rilevato: 1) un aumento della distanza tra sede centrale e filiali; 2) un maggiore decentramento decisionale; 3) una minore permanenza media dei responsabili di filiale, rendendo così più difficile comportamenti opportunistici (moral hazard) da parte di questi ultimi, a scapito della clientela locale. Per il periodo 2006-2013, Del Prete et al (2013) rilevano che: 1) si è interrotto il processo di decentramento decisionale; 2) vi è stato maggiore rischio di comportamenti opportunistici da parte dei responsabili di filiale nei confronti della clientela locale; 3) le piccole banche hanno presentato un livello di decentramento decisionale maggiore rispetto alle grandi; 4) le banche del Centro, e soprattutto del Mezzogiorno, hanno registrato un decentramento decisionale superiore rispetto a quelle localizzate nel Nord; 5) vi è stata minore mobilità per le piccole banche specialmente se inserite in gruppi e BCC e se localizzate nel Nordest (al contrario per le banche localizzate nel Mezzogiorno). Inoltre, Del Prete (op. cit.) sottolinea che, a seguito della crisi globale, le banche di maggiori dimensioni hanno attribuito maggiore importanza alle informazioni qualitative, al fine di monitorare meglio rischio di credito della clientela. In merito al contenuto delle informazioni soft e delle informazioni hard, Berger et al. (2005) definiscono le prime come informazioni di tipo qualitativo, difficilmente quantificabili, in contrapposizione alle seconde di tipo quantitativo, che possono essere facilmente codificate in numeri (dati di bilancio, rapporto con il sistema creditizio e con la banca affidante). Questi autori hanno verificato, inoltre, che le banche più grandi: 1) presentano maggiori difficoltà nella gestione e produzione di soft information; 2) non riescono a rispondere alle esigenze finanziarie delle imprese affidate, durante le fasi negative del ciclo economico, al contrario delle banche più piccole. Tutto questo, rafforza la convinzione che l’approccio gestionale del relationship banking, tipico delle banche piccole (e quindi anche delle BCC), risulti ancora un fattore cardine per la loro capacità competitiva. In sintesi, sul tema è possibile distinguere i seguenti cinque filoni teorici:

Il primo, ritiene che la stretta vicinanza della banca al cliente faciliti l’acquisizione di informazioni soft, consentendo dei benefici per la banca come ad esempio minori costi di trasferimento per l’acquisizione di informazioni necessarie alle fasi di screening e monitoring, maggiore disponibilità di informazioni relative al contesto ambientale dell’impresa richiedente fondi (De Young et al. 2003).

Il secondo, non considera la distanza tra banca e impresa come un fattore rilevante per l’acquisizione della soft information. Sono altri fattori a condizionare l’intensità della relazione creditizia: il bank’s credit score, la presenza di consulenti specializzati e la diffusione delle tecnologie ICT, che rendono più facile la trasformazione della soft information in hard information (Bongini et al. 2009).

Il terzo, ritiene che la durata della relazione creditizia riduca, in modo piuttosto significativo, l’opacità informativa, consentendo vantaggi quali un flusso informativo più stabile, un minore costo della raccolta ed anche possibili svantaggi quali ad esempio il rischio di cattura da parte di imprese di dubbia affidabilità (Rajan 1992). Secondo alcuni autori non esiste una correlazione tra durata del rapporto creditizio e il pricing applicato al prenditore fondi (Degryse e Van Cayseele 2000).

Il quarto, analizza la relazione diretta tra l’intensità del rapporto banca-impresa e la riduzione delle asimmetrie informative. Si considerano le seguenti misure di intensità: numero totale delle banche finanziatrici Ongena e Smith, 2000), numero di servizi finanziari acquistati o ampiezza della relazione (Degryse e Van Cayseele. 2000), quota percentuale di credito bancario rispetto al totale utilizzato dall’impresa (Machauer e Weber, 2000).

Il quinto, infine, si sofferma sull’utilizzo della soft information nei modelli di credit scoring o

rating (Albareto et. al. 2008, Modina et al. 2012, Arnone et al. 2013): tutti questi contributi sono accomunati nelle conclusioni: “il rating integrato di informazioni qualitative offre una misurazione più preciso iso del rischio di default dell’impresa cliente”.

 3. Un’analisi comparata dei divari regionali di criminalità

Questa sezione confronta le regioni del Centro-Nord con quelle e del Sud Italia, in riferimento alla diffusione di situazioni di illegalità quali gli omicidi e la criminalità diffusa e violenta, Tab. 1. Per specificare in modo più chiaro il significato di queste tre situazioni si fa un breve richiamo delle definizioni date dal Ministero dell’Interno: 1) (OM) Omicidi volontari: consumati denunciati dalle Forze di polizia all'Autorità giudiziaria su 100.000 abitanti; 2) CR1) Indice di criminalità diffusa: con l’espressione “criminalità diffusa” si intende fare riferimento, secondo il sistema informativo del Ministero dell'interno, ai furti di ogni tipo e le rapine in abitazioni. In altre parole furti e rapine meno gravi per mille abitanti. Sempre sotto questa espressione si possono racchiudere furti e rapine meno gravi sul totale dei delitti (percentuale); 3) CV) Indice di criminalità violenta. Crimini violenti come gli “attentati” per 10.000 abitanti, Fonte: Istat e Ministero dell'Interno ci si attende per questa variabile un effetto positivo sulla variabile dipendente5.

Tab. 1: Divario di illegalità: variabile di illegalità a livello regionale/variabile

 Tipi di Illegalità Divari Regionali Omicidi naz r OM div OM OM ( ) = Criminalità diffusa naz r CD div CD CD ( ) = Criminalità violenta naz r CV div CV CV ( ) = Leggenda OMr: Omicidi volontari su base regionale, OMnaz: Omicidi volontari su base nazionale, CDr:Criminalità diffusa su base regionale, CDnaz: Criminalità diffusa su base nazionale, CVr:Criminalità violenta su base regionale, CVnaz:Criminalità violenta su base nazionale

La Fig. 1 fornisce una rappresentazione dell'evoluzione dei divari di criminalità violenta tra le regioni del Nord e Centro Italia, individuando nello scoppio della crisi globale un break strutturale, un fattore di discontinuità nella dinamica di tali variabile macroeconomica. Prima dello scoppio della crisi è possibile osservare una maggiore disomogeneità nella diffusione di situazioni di criminalità violenta tra queste regioni, che comunque vedono una loro maggiore permanenza nelle regioni del Nord Italia. Tra le regioni del Nord Italia in primis il Piemonte è stato connotato da valori più alti dei divari di criminalità violenta, durante tutti questi anni e subito a seguire l'Emilia Romagna e la Lombardia. Il Friuli-Venezia Giulia, durante questi anni, si connota per una stabile contrazione del fenomeno criminalità violenta a differenza del Trentino Alto-Adige. Tra le regioni del Centro Italia è la regione Lazio quella che ha visto una più robusta presenza di casi di criminalità violente e subito a seguire la Toscana.

 Figura 1: Dinamiche della criminalità violenta tra le regioni del Centro-Nord Nostra Elaborazione su dati Ministero dell’Interno

Andando a commentare le dinamiche della criminalità violenta nelle regioni del Centro e Nord Italia, negli anni della crisi internazionale (ossia dopo il 2007) è possibile riscontrare una riduzione delle differenze territoriali di criminalità violenta e quindi un maggiore avvicinamento ai valori delle medie regionali annuali. Il Piemonte continua a rimanere la regione ad più tasso di criminalità violenta, nonostante si siano ridotte le differenze territoriali rispetto alle altre regioni del Centro- Nord Italia.La Lombardia e l’Emilia Romagna, dopo aver avuto una dinamica piuttosto altalenante negli anni precedenti alla crisi globale, mostrano una trend più stabile a partire dal 2006. In altre parole, è come se lo scoppio della crisi non abbia avuto significative ricadute sulla manifestazione di situazioni di criminalità violenta per tale regioni. Ragionamento contrario per una regione come la Liguria che presenta una crescita stabile soprattutto negli anni in cui la crisi si manifesta con maggiore intensità divenendo una crisi anche strutturale. Il Friuli Venezia Giulia, invece, presenta una certa stabilità della dinamica del tasso di criminalità violenta, dopo lo scoppio della crisi. Tra le regioni del centro Italia, la Toscana e, in particolare, l’Umbria sono accomunate da una crescita stabile nonostante la crisi.

Figura 2: Dinamiche della criminalità violenta tra le regioni del Sud. Nostra Elaborazione su dati Ministero dell’Interno

Con riferimento alle regioni del Sud Italia (Fig.2) abbiamo potuto osservare l’esistenza delle seguenti differenze territoriali. È la Campania la regione che presente un tasso di criminalità violenta più alto rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno d’Italia e a seguire la Sicilia. La crisi non ha frenato la contrazione della criminalità iniziata negli anni immediatamente precedenti allo scoppio. Nonostante questa diminuzione, tale regione ha una distribuzione dei valori di criminalità con un’elevata dispersione rispetto ai valori medi regionali annuali. Con riferimento alle altre regioni, emerge un certo allineamento rispetto ai valori medi regionali annuali sia prima che dopo la crisi. È il Molise la regione a minore tasso di criminalità violenta durante tutti questi anni.

Figura 3: Dinamiche della criminalità diffusa tra le regioni del Centro-Nord. Nostra Elaborazione su dati Ministero dell’Interno.

In riferimento alla criminalità diffusa, Fig. 3, le differenze territoriali hanno un  comportamento totalmente diverso rispetto a quello riscontrato per la criminalità violenta. È la regione Lazio ad avere il più alto tasso di criminalità diffusa sia prima che dopo l’origine della crisi internazionale (anche se dopo il 2007 vi è una leggera contrazione). La crisi sembra non aver rallentato la crescita della criminalità diffusa nella regione dell’Emilia Romagna, al contrario per la Liguria. La Lombardia, nonostante la crisi, non si discosta dai valori di criminalità precedenti a tale shock economico e finanziario (come si può vedere i divari di criminalità diffusa ritornano ai valori del 1995). Una minore incidenza della criminalità diffusa continua a contrassegnare, anche dopo lo scoppio della crisi, le regioni dell’Umbria, Trentino Alto Adige, Marche e Friuli Venezia Giulia. Tra le prime tre regioni negli anni immediatamente prima e dopo la crisi globale vi è una notevole affinità nelle dinamiche della criminalità diffusa (come si evince dalla quasi totale sovrapposizione delle linee). In particolare il Trentino Alto Adige e la Valle D’Aosta sono le regioni con un più basso tasso di criminalità diffusa (le linee azzurra e rossa più vicine all’asse orizzontale).

Figura 4: Dinamiche della criminalità diffusa tra le regioni del Sud Nostra Elaborazione su dati Ministero dell’Interno

La Fig. 4 evidenzia che tra le regioni del Mezzogiorno d’Italia, la Sicilia, la Campania, la Puglia e l’Abruzzo mantengono un tasso di criminalità diffusa superiore al valore medio della criminalità diffusa calcolato, annualmente, su tutte le regioni di questa macro area. La crisi globale non ha inficiato la stabilità della dinamica della criminalità in queste tre. La regione Sardegna ha un comportamento diametralmente opposto come dall’andamento della relativa curva che va al di sotto di quella delle medie regionali annuali già negli anni immediatamente precedenti alla crisi e si mantiene stabilmente al di sotto anche dopo il 2007 (al contrario per la regione Abruzzo). Le regioni, infine, della Calabria, del Molise e della Basilicata sono quelle con il più basso tasso di criminalità diffusa in tutto il periodo considerato (in primis la Basilicata).

Figura 5: Dinamiche degli omicidi tra le regioni del Centro-Nord Nostra Elaborazione su dati ISTAT

La Fig. 5 evidenzia una forte omogeneità della diffusione di omicidi volontari tra le regioni del Centro-Nord sia immediatamente prima che dopo la crisi globale. Un più alto tasso di omicidi ha contrassegnato la Valle d’Aosta, soprattutto prima della crisi mentre dopo il 2007, sembrerebbe che si azzerano le differenze territoriali del tasso di omicidi rispetto alle altre regioni. In tutti questi anni la regione con il minor quantitativo di omicidi è il Trentino Alto Adige.

Figura 6: Dinamiche degli omicidi tra le regioni del Sud Nostra Elaborazione su dati ISTAT

Al contrario delle regioni del Centro-Nord nel Mezzogiorno d’Italia, Fig. 6, possiamo osservare una maggiore disomogeneità circa la diffusione di omicidi in questa macro area. Negli anni immediatamente precedenti alla crisi internazionale sono prevalentemente tre le regioni a mantenere un tasso di omicidi inferiore alle medie annuale calcolata su tutta questa macro regione, ossia Basilicata, Molise ed Abruzzo. Questa ultima regione è quella che ha registrato durante questi anni il minor quantitativo di omicidi. A seguito della crisi, il tasso di omicidi è cresciuto in tutte e tre queste regioni, mantenendosi però sempre al di sotto dei valori medi regionali annuali. La Sicilia ha continuato a registrare una stabile flessione degli omicidi iniziata già dal 1995. Tra le regioni con più alto tasso di omicidi (al di sopra del tasso medio regionale annuale) vi sono in primis la Calabria e subito a seguire la Campania e la Sardegna. Soltanto la prima di queste ultime tre regioni si stacca in modo netto dalle altre regioni del Sud Italia, continuando a mantenere un tasso di omicidi nettamente al di sopra delle medie regionali annuali anche dopo lo scoppio della crisi internazionale. Le analisi grafiche comparate delle dinamiche di queste situazioni di illegalità negli anni a cavallo della crisi globale, hanno evidenziato che, per molte regioni del Centro Nord e Sud Italia, la crisi ha rappresentato uno shock non solo finanziario ma soprattutto economico, causando una significativa flessione della competitività delle PMI italiane e una crescita di tali comportamenti illegali.
Alcuni studi recenti (Beccalli e Frantz, 2009) evidenziano che le banche che hanno seguito un approccio prettamente relazionale, risentono meno della crisi. Se pur tuttavia, la crescita di illegalità potrebbe mettere in discussione la validità di tale approccio gestionale. Albareto et al. (2012), infatti, hanno indagato su due caratteristiche delle imprese italiane nel periodo della crisi internazionale, ossia: la fragilità finanziaria e il loro potenziale di crescita. Con riferimento alla prima caratteristica, imprese con bilanci che denotano una certa debolezza finanziaria sono state soggette ad una maggiore stretta creditizia sia prima che dopo la crisi internazionale (al contrario per imprese contrassegnate da elevati valori dei tassi di crescita del fatturato, degli investimenti, del valore aggiunto per addetto e della propensione all’export). Contestualizzando questo risultato al tema di ricerca del nostro paper, tali imprese potrebbero essere potenziali vittime di associazioni criminali. Il razionamento del credito si è manifestato in modo più indiscriminato, risultando meno legato alle prospettive di sviluppo delle imprese. In particolare, relazioni bancarie più strette hanno favorito l’accesso al credito, in particolare per le aziende caratterizzate da migliori prospettive di crescita; questo risultato è coerente con l’ipotesi che le banche che, nell’ambito della rapporto banca-impresa, assumono il ruolo di banca principale gestore della relazione creditizia entrano in possesso di informazioni qualitative molto riservate (“la cosiddetta soft information”) ed hanno maggiori incentivi a utilizzarle.
A conferma di quanto detto dai precedenti autori, proprio nelle regioni del Centro e Nord Italia e del Mezzogiorno, dove abbiamo potuto osservare una maggiore presenza di situazioni di illegalità, soltanto la presenza di un intenso e duraturo rapporto banca locale-impresa consentirà a tali banche di reperire tutta la necessaria soft information che integrata con la hard information (ossia un approccio denominato “relationship lending integrato”) faciliterà un razionamento più attento del credito, con minore interferenze di comportamenti non eticamente corretti. In tal modo le banche di credito cooperativo riusciranno a migliorare la qualità dei crediti concessi presenti nei loro bilanci (e quindi una riduzione delle sofferenze nette, incagli e altri crediti anomali). Infine, un maggiore razionamento del credito comporterà un altro vantaggio per le BCC ossia la diminuzione delle imprese razionate che potrebbero, per soddisfare il loro fabbisogno finanziario, essere catturate da associazioni ed enti criminali. Tutto ciò causerebbe il rischio di un aumento delle possibili interferenze nel rapporto banca-impresa di tali associazioni.

4. Conclusioni

In questa parte conclusiva del paper si riportano i risultati ottenuti in Ofria e Arnone (2013). Tale lavoro stima la relazione tra la rischiosità dei crediti concessi dalle banche di credito cooperativo, operative al Centro-Nord e al Sud Italia, e la presenza di situazioni di illegalità. La rischiosità dei crediti è stata misurata mediante l’indice di bilancio “sofferenze su impieghi economici” costruito sulla base dei dati forniti da FEDERCASSE. Le situazioni illegali sono state quantificate utilizzando come varabili proxy i divari degli omicidi e della criminalità violenta e diffusa descritti in precedenza.
Da questa analisi è emerso che nel Mezzogiorno gli indicatori di criminalità contribuiscono ad influenzare il comportamento delle banche. Volendo dare un’interpretazione economica all’esistenza di una correlazione significativa tra la relazione criminalità e qualità dei crediti bancari limitatamente alle banche di credito cooperativo localizzate nel Sud Italia probabilmente per le seguenti ragioni:

1) il banchiere nelle aree del Mezzogiorno ha maggiori probabilità, nel selezionare a chi erogare il credito, di essere condizionato sia pure indirettamente da contesti illegali nell’aneddotica si racconta come il direttore della banca al momento di insediarsi in un certo territorio a forte presenza criminale riceve nell’ordine prima la visita del sindaco di quel paese, poi probabilmente la visita del maresciallo, ma è la terza visita che conta, la visita cioè di chi esercita un potere sul territorio, immediatamente a sua disposizione per poter dare tutte le informazioni necessarie (Centorrino e Ofria, 2001);

2) un ulteriore effetto della variabile criminale deriva dall’azione della magistratura attraverso la pratica dei sequestri patrimoniali ai capomafia. Noi sappiamo bene, però, che la gran parte di questi sequestri poi non riesce ad essere tradotta in confische, ma sicuramente si traduce in sofferenze bancarie;

3) un’altra spiegazione potrebbe essere trovata nel fatto che le aziende di credito del Sud, in un contesto ambientale “non sano”, trovano più conveniente selezionare il credito in prevalenza mediante l’aumento dei tassi attivi, piuttosto che sopportare costi notevoli per ottenere informazioni sulla credibilità della clientela e quindi attuare il “razionare qualitativo del credito” (Tarantola, 2012). L’aumento dei tassi, come è noto in letteratura economica, genera un fenomeno vizioso dal nome di “selezione avversa”. Si ha quest’ultimo quando, essendoci tassi attivi alti, a domandare credito sono prevalentemente sia coloro che progettano iniziative altamente rischiose, sia coloro che nulla hanno da perdere, dal punto di vista etico, in caso di fallimento (Ofria e Venturi, 2000);

4) un’ultima spiegazione della maggiore incidenza della criminalità nelle regioni del Mezzogiorno potrebbe essere trovata nell’evidenza che in tali regioni sono maggiormente presenti situazioni di tensioni sociali, povertà delle famiglie e imprese e più alto rischio di insolvenza di queste ultime (Bonaccorsi di Patti, 2009).

5. Bibliografia
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NOTE:

1 Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Economia e Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Finanziarie. malucasicilia190@gmail.com
2 Università degli Studi di Messina, Dipartimento di (SEAM), ofriaf@unime.it Questo contributo è una sintesi del paper presentato alla XXXIV Conferenza scientifica annuale dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali (AISRe) nell’ambito della sessione Innovazione, finanza e sviluppo locale.
3 Per una rassegna della letteratura sulla relazione criminalità e credito bancario si veda: Centorrino e Ofria,
2001, Zazzaro, 2006, Giordano e Lopes, 2007, Bonaccorsi di Patti, 2009, Beretta e Del Prete, 2013.
4 Per uno studio sull’andamento di lungo periodo dell’economia del Centro-Nord e del Mezzogiorno, si veda: Ofria (2009).
5 Sulla problematica della convergenza tra Centro-Nord e Mezzogiorno, si vedano: Centorrino et. al. (2010); Centorrino e Ofria (2008, 2012), Ofria (2012).

 

 

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