
Razzismo,
immigrazione clandestina,
xenofobia,
nazionalismo.
In questi ultimi tempi, televisione e stampa hanno dato e
seguitano a dare parecchio risalto alla cronaca ed alle convulse
diatribe politiche e di parte riguardanti il grave e dilagante
fenomeno dell’immigrazione e, quindi, del “razzismo”
e della “xenofobia” esasperata.
Ma cosa si nasconde dietro i citati odiosi termini
virgolettati che, oltretutto, riportano alla memoria il ricordo
di esecrabili delitti di massa consumati con spietata ferocia
nel corso dei secoli, in vari momenti storici?
Per non andare lontano, ad esempio, la terrificante 2°
guerra mondiale portò all’olocausto di milioni di ebrei,
all’eccidio di centinaia di migliaia di prigionieri di guerra
(emblematico quello dei soldati polacchi perpetrato dai russi
nelle “fosse di Katin”), alla deportazione di un numero
imprecisato
di
militari e civili nei “campi di lavoro” tedeschi e russi. Senza
dire del deliberato quanto delittuoso massacro di milioni di
civili mediante il pianificato ricorso ai criminali
bombardamenti aerei.
Molto tempo prima, agli inizi dell’800, Enrichetta Beecher
Stowe aveva commosso l’opinione pubblica mondiale descrivendo,
nel suo famoso romanzo “La Capanna dello Zio Tom”, la vita dei
martoriati “negri d’America” la cui emarginazione s’è protratta
sino a pochi decenni fa. Furono sradicati con violenza dalle
proprie terre d’origine da ignobili mercanti di esseri umani e
impiegati come schiavi da altrettanto ignobili componenti della
cosiddetta società civile. Confederazione degli Stati Uniti,
Brasile, Argentina e alcuni stati dei Caraibi, in primo piano.
Ancora oggi, negli Stati Uniti e in altri Paesi
“razzismo” e “xenofobia” sono di casa e
provocano ricorrenti e gravi scontri sociali, specie quando ci
mette lo zampino l’aspetto immorale di taluni ambienti
istituzionali. Parecchie Nazioni del Mondo occidentale
(Regno Unito, Francia, Belgio, Olanda, Germania, Portogallo,
Spagna ecc. e, sotto parecchi aspetti, anche l’Italia), nella
misura in cui ostentano, magari solo per spirito di “grandeur”,
un elevato livello di “civiltà”, dimostrano di avere la memoria
corta.
Hanno dimenticato che erano proprio loro le ingorde
fautrici del secolare colonialismo conquistatore, sfruttatore e
schiavistico che ha impedito il normale e razionale sviluppo dei
cosiddetti Paesi del terzo Mondo. Erano loro che ricorrevano
alla forza, ai genocidi, alla violenza, per sottomettere intere
popolazioni ed etnie, che impoverivano le economie locali
asportando senza scrupoli materie prime, preziose risorse,
tesori e ricchezze. Erano loro che asservivano enormi masse di
uomini. Erano loro che fomentavano rivolte, scontri tribali,
conflitti locali. Erano loro che favorivano il commercio di
armi, esplosivi e strumenti di morte - d’ogni tipo e qualità -
al fine d’incrementare i nauseabondi profitti dell’industria
degli armamenti.
I Paesi di che trattasi, particolarmente taluni esponenti
di rappresentativi e influenti ceti dominanti, dovrebbero oggi
vergognarsi per il loro passato colonialistico, per le secolari
malefatte, per i crimini perpetrati contro l’umanità.
Gran parte del mondo occidentale odierno, narcisistico ed
economicamente sclerotizzato, oltre che parecchio xenofobo per
vocazione, non ha alcun titolo morale per assurgere al ruolo di
difensore di un usurpato benessere economico, di discutibili
confini nazionalistici, di norme internazionali prima calpestate
senza ritegno, di poteri supernazionali magari fondati sul
diritto di “veto” alle altrui istanze o rivendicazioni.
La reazione a tutto ciò è fortemente in atto in vaste e
disastrate zone del Pianeta, sconvolte e insanguinate da guerre
locali ed etniche, dal terrorismo criminale e fanatico, dalla
cupidigia di efferati e sanguinari tiranni. La marea montante
delle migrazioni di massa, più o meno spontanee o più o meno
affaristicamente incentivate, è divenuta una sorta di endemica
emergenza da cui è obbiettivamente difficile venire fuori
indenni, pur adottando drastici provvedimenti limitativi o di
controllo.
Nessuno, tuttavia, se non in malafede o per semplice
ipocrisia di stampo ideologico o demagogico, può rifiutare o
contestare una seria politica di contenimento delle conseguenze
sociali, economiche e di sicurezza che l’indisciplinato e
incontenibile flusso migratorio palesemente determina a carico
della variegata struttura sociale della Nazione. Senza con ciò
dimenticare che, probabilmente, ci vorranno secoli prima che il
fenomeno della migrazione di massa possa essere adeguatamente
metabolizzato.
Sia chiara, però, una cosa: “razzismo” e
“xenofobia” non sono solo l’amaro frutto di
pregiudizi riguardanti la diversità del colore della pelle, la
diversa estrazione nazionale o culturale, il diverso credo
religioso o politico.
E’ anche una “forma mentis” che si nutre d’insofferenza
verso chi è considerato - per puro rigurgito egoistico - “non
compatibile” con finalità personali o di gruppo, con le proprie
vedute, con il proprio tornaconto.
Quest’ultima considerazione sposta il discorso sulla
primordiale tendenza dell’uomo a lasciarsi sopraffare da una
forma di patologica dipendenza da pregiudizi o da comportamenti
discriminatori. A prescindere, poi, dall’asservimento culturale
a “dogmi” religiosi o politici, oltre che a talune obsolete
“regole” ambientali e tradizionali che assurgono, spesso, al
ruolo di un vero e proprio costume di vita.
Parecchia gente è convinta - ovviamente a torto - di essere
“superiori per destinazione”, sol perché appartengono a classi
benestanti, ad ambienti professionali più o meno affermati, a
caste politiche e militari di rilievo o, infine, a pur decrepiti
ceti nobiliari. “Lei non sa chi sono io” è il credo e il
motto di costoro.
Si casca facilmente nel “razzismo” e nella
“xenofobia” quando si ritiene di potere imporre
talune distinzioni, quando si ricorre a limitazioni di parte,
quando si assumono comportamenti discriminanti.
Si può essere di parte persino nella scelta del proprio
“habitat” e sicuramente lo si è quando s’è portati ad emarginare
chi non è funzionale alla propria ambizione o si tende ad
isolare chi, per vicissitudini più o meno tristi dell’esistenza,
trovasi in difficoltà materiali, fisiche o psicologiche.
Pur ritenendo indispensabile e necessario il controllo
formale e sostanziale delle frontiere, al fine di contrastare
gli arrivi clandestini e spesso anonimi di tanta gente e
limitare, quindi, i connessi potenziali rischi, il
“razzismo” e la “xenofobia” non esprimono
solo forme di avversione verso l’immigrato più o meno
“sottosviluppato” ma, essenzialmente, sono il frutto di un
retrogrado bagaglio culturale e morale.
Oggi, in un’epoca dominata dalla
frenetica corsa al consumismo, in gran parte frutto dello
sviluppo tecnico e scientifico, in un’epoca in cui le frontiere
si scavalcano con la velocità dei “jet” supersonici, sembra
inverosimile che si possano gestire i rapporti sociali con
metodi ed animo discriminatori. E’ parimenti assurdo che si
possa continuare a sostenere qualsivoglia aberrante ideologia
razzista o xenofoba e che non si sappia contenere la spinta
verso l’esasperato egoismo individualistico.
A prescindere dai gravi e onerosi problemi scaturenti
dalla immigrazione selvaggia o dalla massiccia quanto
incontrollata presenza di clandestini, sono ancora in molti,
purtroppo, coloro che non riescono a sfuggire, con umiltà e
serenità, alla tentazione di imporre il proprio “io”. Costoro,
non hanno compreso che oggi nessuno è più disposto ad accettare
manifestazioni d’intolleranza classista, tentativi di
sopraffazione, fanatismi o pregiudizi, retrive forme di
perbenismo e di ostentazione, magari legate a proventi
malavitosi o a sciagurati fenomeni di corruttela.
Ferma restando la constatazione che, in materia di
contenimento della immigrazione irregolare, le Istituzioni non
sono state all’altezza del compito (la tendenza alla dialettica
demagogica o l’incongruo permissivismo, non rappresentano certo
l’antidoto al dilagante e pericoloso fenomeno), non è dato
illudersi che basterebbe adottare drastiche misure (e qui si
torna al concetto dell’indiscriminato “razzismo”) contro la pur
scomoda e diffusa invadenza dei cosiddetti “extra comunitari”.
Per altro verso, lo spirito umanitario dell’accoglienza
diviene, prevalentemente, una manifestazione di ipocrisia
sociale, pur se mascherata da principi di natura etica o
religiosa. Non è così che si dovrebbe gestire l’impatto con
l’amorfa massa di uomini “sconosciuti” che giungono dal mare,
che clandestinamente attraversano le frontiere geografiche, che
fuggono - rischiando la vita - dalla miseria, dalle guerre
fratricide, dalle purghe razziali, dalla inumana violenza di
governi criminali e di capi fanatici. Non basta chiudere gli
occhi sul fatto che numerosi dei citati “extra comunitari”
stazionino ai semafori, alle fermate degli autobus, nelle
stazioni ferroviarie. E’ una situazione che tende al
peggioramento, sia per il mancato rigido contenimento dei
flussi migratori di clandestini già nelle zone di partenza, che
in funzione di una farisaica e strumentale adozione del concetto
di “umanità”, di “accoglienza” e di “asilo politico”.
E’ peraltro inutile rimuginare la solita solfa circa
l’ipotesi di espulsione degli “abusivi”, quando si sa che è
difficile e problematico perseguire in tempi brevi tale
obiettivo. E’ chiaro, inoltre, che le enunciazioni demagogiche
delle autorità preposte, l’assistenzialismo improduttivo e
dispersivo (fertile terreno di caccia da parte di cosche e
gruppi malavitosi) non servono più di tanto a risolvere il
problema. Sono pressoché marginali, infine, le iniziative di
sparuti gruppi di volontari. Al riguardo sono solo sciocche e
ingannevoli molte delle pompose e farisaiche omelie che giungono
dai più strani pulpiti.
Il principio della solidarietà umana e civile deve
puntare, più che all’assistenzialismo fine a se stesso, a
risolvere il problema mediante programmati, razionali ed
efficaci interventi risanatori delle vastissime zone del Pianeta
nei secoli gravemente taglieggiate dall’ingordo colonialismo
occidentale - particolarmente da quello di marca inglese e
francese. Zone che, frantumate alla fine in una miriade di
stati e staterelli, sono spesso asserviti, oggi, al potere
economico di multinazionali senza scrupoli, oltre che teatro di
sanguinose guerre intestine fra composite etnie dominate da
gruppi egemonici locali. Tutti sanno che proprio tali stati e
staterelli sono in gran parte la fonte del flusso migratorio
clandestino.
E’ anche da dire che la radicata e inveterata grettezza di
quasi tutte le cosiddette “nazioni civilizzate” condiziona,
purtroppo, l’opera dei vari organismi mondiali che dovrebbero
fronteggiare il grave problema del sostentamento di centinaia di
milioni di esseri umani.
Non può essere taciuto, in ogni caso, il fatto
incontestabile che la dimostrata incapacità del mondo
occidentale a contrastare fatti deleteri e fenomeni patogeni,
porta anche a trascurare, colpevolmente e forse
irreversibilmente, l’inderogabile necessità di mitigare gli
effetti del progressivo e forse inarrestabile deterioramento
dell’eco sistema planetario. Condizioni di vita sempre più
difficili, desertificazione di vaste aree, rarefazione di
materie prime - anche alimentari -, carestie, fame e sete, sono
tutti aspetti di un mondo futuro che, dietro l’angolo, attendono
la popolazione mondiale, peraltro in fase di esponenziale
accrescimento.
14 giugno 2013 - 20 luglio
2018
Luau

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