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(Argomento correlato con talune riflessioni su   "I MIGRANTI" ,  redatte parecchi anni addietro e pubblicate anche su questo Sito.)   .... leggi tutto

 

  

RAZZISMO,

un riaffiorante allarme globale.

 

Televisione e stampa, in quest’ultimo periodo, hanno dato parecchio risalto alla cronaca ed alle serrate discussioni riguardanti il grave e dilagante fenomeno dell’immigrazione e, quindi, del “razzismo”.

   Ma cosa si nasconde dietro l’odioso termine “razzismo” che, oltretutto, riporta alla memoria il ricordo di esecrabili delitti di massa consumati con spietata ferocia in vari momenti storici? 

   La terrificante 2° guerra mondiale, innescata da violenti rigurgiti egemonici e da demenziali convinzioni ideologiche, portò, ad esempio, all’olocausto di milioni di ebrei, all’eccidio di centinaia di migliaia di prigionieri di guerra (emblematico lo spaventoso massacro dei soldati polacchi perpetrato dai russi nelle “fosse di Katin”), alla deportazione di un numero imprecisato di militari e civili nei “campi di lavoro” tedeschi e russi. 

   Molto tempo prima, agli inizi dell’800, Enrichetta Beecher Stowe aveva commosso l’opinione pubblica mondiale descrivendo, nel suo famoso romanzo “La Capanna dello Zio Tom”, la vita dei martoriati “negri d’America” (sradicati con violenza dalle proprie terre d’origine da ignobili mercanti di schiavi e impiegati come schiavi da altrettanto ignobili componenti della cosiddetta società civile), la cui generalizzata emarginazione s’è protratta sino a pochi decenni fa. Tuttavia, negli Stati Uniti e in taluni altri Paesi il razzismo è ancora di casa e provoca ricorrenti e gravi scontri sociali, specie quando ci mette lo zampino l’aspetto incivile di taluni sistemi polizieschi.

    Il mondo occidentale odierno, narcisistico ed economicamente sclerotizzato, oltre che xenofobo quasi per vocazione, non ha inventato nulla di nuovo in materia di razzismo.  Varie forme di “intolleranza” seguitano a manifestarsi in molti stratificati ambienti delle cosiddette Nazioni civili. L’endemico fenomeno è particolarmente diffuso nei luoghi ove uomini esalati e prepotenti, intrisi di distorte ideologie politiche o di fanatismi religiosi, cercano di far prevalere il conservatorismo, talune settarie convinzioni, deleteri autoritarismi.

    Sia chiara, però, una cosa: il “razzismo” non è solo l’amaro frutto di pregiudizi riguardanti la diversità del colore della pelle, la diversa estrazione nazionale o culturale, il diverso credo religioso o politico.

    E’ anche una “forma mentis” che si estrinseca nel manifestare insofferenza verso chi è considerato, magari per puro calcolo egoistico, “non utile” alle finalità personali o di gruppo, alle proprie convinzioni, al proprio tornaconto. Quest’ultima considerazione sposta il discorso sulla primordiale tendenza dell’uomo a lasciarsi sopraffare da una forma di patologica dipendenza da pregiudizi o da insulsi comportamenti discriminatori. A prescindere poi dall’asservimento culturale a “dogmi” religiosi e politici, oltre che a talune “regole” ambientali e tradizionali che divengono spesso un vero e proprio costume di vita. Parecchia gente è convinta – ovviamente a torto - di essere “superiori per destinazione” sol perché appartengono a classi benestanti, ad ambienti professionali più o meno affermati, a caste politiche e militari di rilievo o, infine, a pur decrepiti ceti nobiliari. “Lei non sa chi sono io” è il credo e il motto di costoro.

    Come definire, se non proprio come una forma di autentico “razzismo”, una tale deviata mentalità?  

     Trattasi, oltretutto, di atteggiamenti che hanno trovato e seguitano a trovare facile albergo nell’animo dell’uomo quando costui, nel corso della propria scalata sociale, non è riuscito a liberarsi da ataviche meschine regole di ipocrisia sociale o da taluni diffusi tabù.

     Si casca facilmente nel razzismo quando si ritiene di potere imporre talune distinzioni, quando si ricorre a limitazioni di parte, quando si assumono comportamenti discriminanti. Si può essere razzisti persino nella scelta del proprio “habitat” e sicuramente lo si è quando s’è portati ad emarginare chi non è funzionale alla propria ambizione o si tende ad isolare chi, per vicissitudini più o meno tristi dell’esistenza, trovasi in difficoltà materiali, fisiche o psicologiche. Il razzismo, quindi, non è solo una preclusione verso l’immigrato più o meno “sottosviluppato” ma è essenzialmente il frutto di un retrogrado bagaglio culturale e morale.

    Oggi, in un’epoca dominata dalla frenetica corsa al consumismo, in gran parte dovuta allo sviluppo tecnico e scientifico, oltre che all’invadenza della scienza elettronica, in un’epoca in cui le frontiere si scavalcano con la velocità dei “jet” supersonici, sembra inverosimile che si possa pervicacemente continuare a gestire i rapporti sociali con metodi ed animo discriminatori. E’ parimenti assurdo che si possa continuare a sostenere qualsivoglia aberrante ideologia razzista e che non si sappia contenere la spinta verso inqualificabili istinti discriminatori o di esasperato egoismo individualistico, magari perché succubi di perversi sentimenti o di settarie convinzioni. Sono ancora in molti, purtroppo, coloro che non riescono a rispettare, con umiltà e serenità, le convinzioni e il pensiero dei propri simili, non riescono a sfuggire alla tentazione di imporre il proprio “io”, non riescono a dominare, infine, propositi di superiorità. Costoro, non hanno compreso che oggi nessuno è più disposto ad accettare manifestazioni d’intolleranza classista o settaria, tentativi di sopraffazione o di discriminazione, fanatismi o pregiudizi, retrive forme di falso perbenismo. 

     Ferma restando la constatazione che in materia di contenimento della immigrazione irregolare le Istituzioni non sono state, a tempo debito e sicuramente non lo sono tuttora, all’altezza del compito (la tendenza alla dialettica demagogica e all’incongrua diplomazia non rappresentano certo l’antidoto al dilagante e pericoloso fenomeno), non è dato illudersi che basterebbe adottare drastiche misure (e qui si torna all’aduso concetto di indiscriminato “razzismo”) contro la pur scomoda invadenza dei cosiddetti “extra comunitari”.  

      Per altro verso, non basta lo spirito umanitario dell’accoglienza per gestire quella amorfa massa di uomini “sconosciuti” che giungono dal mare, che attraversano clandestinamente le frontiere geografiche, che fuggono - rischiando la vita - dalla miseria, dalle guerre fratricide, dalle purghe razziali, dalla inumana violenza di governi criminali e di capi fanatici. Non basta pretendere che le autorità di P.S. (nazionali e locali) esercitino il loro “potere isituzionale” per evitare di trovare gran parte di costoro ai semafori, alle fermate degli autobus, nelle stazioni ferroviarie. Quale è l’alternativa atta ad indurre tanti sfortunati esseri umani a non prostituirsi in umili e spesso illegali ripieghi, mendicando miseri compensi, per procurarsi alla meno peggio, a fronte delle loro tristi condizioni esistenziali, i mezzi di sopravvivenza?

     E’, purtroppo, una situazione che tende ad espandersi,  sia per il mancato rigido controllo e contenimento dei flussi migratori di clandestini già nelle zone di partenza che in funzione di una ipocrita e strumentale adozione del concetto di “umanità”, di “accoglienza” e di “asilo politico”.

     E’ peraltro inutile rimuginare la solita solfa che porta alla ipotesi di espulsione degli “abusivi” quando si sa che è difficile e problematico perseguire tale obiettivo.  E’ chiaro, inoltre, che le facili enunciazioni demagogiche delle autorità preposte, l’assistenzialismo improduttivo e dispersivo (dimostratamente fonte dell’emersa speculazione di avvoltoi malavitosi e di politici senza scrupoli) non servono più di tanto a risolvere il problema.  Sono pressoché inutili, infine, le iniziative di sparuti gruppi di volontari, le pompose e farisaiche omelie che piovono dai più strani pulpiti, quando non si riesce a risolvere alle radici il problema delle reali esigenze di questa gente costretta ad affrontare ogni tipo di rischio, spesso senza la pur minima certezza del domani. 

     Pur non volendo addentrarsi in argomentazioni di carattere squisitamente tecnico e legislativo, non si può non affermare che, in ogni caso, nessun intervento repressivo o coercitivo, anche mediante l’introduzione di normative più o meno drastiche, potrà essere efficace o risolutivo se non ci si sforzerà di acquisire, a livello personale, nazionale e internazionale, una più profonda coscienza collettiva. Il principio della solidarietà umana e civile deve puntare, più che all’assistenzialismo fine a se stesso, a risolvere il problema mediante programmati, razionali ed efficaci interventi risanatori delle vastissime zone del Pianeta gravemente taglieggiate nei secoli dall’ingordo colonialismo occidentale - particolarmente quello di marca inglese e francese.  Zone che oggi, frantumate in una miriade di stati e staterelli, spesso asserviti al potere economico di multinazionali senza scrupoli e teatro di sanguinose guerre intestine (anche di stampo religioso) fra diverse etnie dominate da gruppi egemonici e parassitari locali, sono la fonte primaria del flusso migratorio clandestino.

      E’ anche da dire che, purtroppo, la radicata e inveterata grettezza di quasi tutte le cosiddette “nazioni civilizzate” condiziona l’opera dei vari organismi mondiali preposti a fronteggiare il grave problema del sostentamento di centinaia di milioni di esseri umani. Problema connesso con la mancata creazione in loco delle pur minime condizioni di vita dignitosa, con la mancata eliminazione delle cause che impediscono l’integrazione dei popoli, con l’abbattimento di quei sistemi di governo oppressivi che, negando la libertà e impedendo un equilibrato sviluppo sociale ed economico di base, criminosamente disperdono preziose energie e risorse.

      Non può essere passato sotto silenzio, in ogni caso, il fatto incontestabile che la dimostrata incapacità del mondo occidentale a contrastare i fatti prima rassegnati, può inficiare alla fine, forse irreversibilmente, la necessità di fronteggiare gli effetti del deterioramento della situazione globale, deterioramento che favorisce l’affermazione di nuovi e pestilenziali rigurgiti di violenza, di oppressione collettiva, di terrorismo tecnologicamente avanzato. 

 

14 giugno 2013                                                            Luau

 

 

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