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“NAZARENO”
BRACCIO DI FERRO BERLUSCONI – RENZI.
GRANDI MANOVRE DI POTERE o SCELLERATI PATTI OCCULTI?



Sembrerebbe che il famosissimo e tanto contrastato “Patto del Nazareno” sia andato a farsi benedire prima del previsto e sia passato, forse, a miglior vita. Realtà o solo tattica?
Ricordando Angelo Musco si potrebbe benissimo dire: “gatta ci cova”.
E’ ragionevole pensare, in ogni caso, che il citato “patto di non aggressione”, “patto d’acciaio” o “patto di collaborazione”, come dir si voglia, stipulato or sono 12 mesi addietro tra i due odierni litiganti, Berlusconi e Renzi, avesse già in partenza il fiato corto.
In chimica e in fisica è impossibile amalgamare o fondere due “elementi” quando gli stessi, già di per se, risultano amorfi o di struttura molecolare diversa.
In politica, parimenti, è impensabile che due soggetti aventi diversa formazione mentale, diversa tendenza caratteriale e, principalmente, diverse finalità pratiche, possano perseguire un unico intendimento, pur se camuffato sotto l’egida del “bene della Nazione”.
Dopo le antecedenti consuete e costanti diatribe sull’evolversi della nuova legge elettorale e sulle “riforme” (pattuite quasi privatamente e sicuramente in forma antidemocratica), e dopo il supponente continuo scambio di velenose accuse e controaccuse, l’ultima guerra punica fra Berlusconi e Renzi è giunta alla battaglia finale. La goccia (o il temporale) che ha fatto tracimare il vaso è stata, almeno apparentemente, la pur discutibile tattica adottata da Renzi e dal PD per promuovere e realizzare l’elezione dell’On. Prof. Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica.
Chissà se in proposito si commette un peccato (veniale o più) ad ipotizzare che tale scelta fosse stata preventivamente concordata con l’uscente Presidente Giorgio Napolitano, considerato che, in pratica, è stata dallo stesso apertamente sponsorizzata. Non si può negare, tuttavia, che s’è trattato della migliore scelta che al momento si potesse proporre al Parlamento, all’uopo convocato in seduta plenaria. E’ bene non dimenticare, in merito, quanto e come l’attuale classe politica e istituzionale, nel suo complesso, appaia in atto alquanto mediocre, per non dire scadente. Quei pochi personaggi che indubbiamente si discostano dalla media, non sembra posseggano le doti soggettive e la formazione “super partes” indispensabili per ricoprire tale alto incarico. Trattasi, infatti, di personaggi più o meno “schierati” e, quindi, tendenzialmente non equanimi. La solenne poltrona del Quirinale, oltretutto, non è per niente equiparabile alle variegate sorellastre dei più o meno importanti Organi istituzionali (Palazzo Ghigi compreso), di Ministeri di rilievo e tanto meno di Regioni o Comuni.
Il Presidente della Repubblica, non tanto per pura dichiarazione personale di chi lo diviene, bensì per un preciso dettame costituzionale, non può e non deve essere legato all’attività poco trasparente dei partiti ma deve rappresentare, oltre che l’espressione dell’unità nazionale, la figura del sereno e imparziale giudice. Ad esso, oltretutto, è demandato il diuturno e gravoso compito di vegliare sulla inderogabile applicazione e sul dovuto rispetto della “carta costituzionale”.
Non basta, quindi, calarsi nelle vesti di “arbitro” posto a dirigere “partite” cui prendono parte “giocatori” più o meno leali e corretti, una razza ormai pressoché sconosciuta nel mondo politico. Il Presidente della Repubblica deve essere indenne da condizionamenti ideologici, settoriali o di “potere” per elevarsi al di sopra delle parti e per bloccare e stroncare ogni sorta di abusi, di strumentalizzazioni, di deviazioni, senza tentennamenti o compromessi. Non è ammissibile, in proposito, dare adito a critiche o solo a rimbrotti.
Berlusconi, avendo intrinsecamente una ben diversa visione delle cose e della gestione del “potere”, sperava di insediare al Colle qualche vetero personaggio di suo gradimento (più o meno “affidabile” e più o meno malleabile) con cui potere successivamente dialogare secondo la regola tutta italiana del “do ut des” o del “do ut facias” che dir si voglia. Per inciso, nella rosa di nomi “papabili” indicata da lui e dal suo “personale” partito, spiccava un ultra discusso esponente della politica dell’epoca della cosiddetta 1° Repubblica che, solo a sentirlo menzionare, ha suscitato una trasversale ondata di contestazioni. Trattavasi dell’esimio on. Giuliano Amato, inteso “giulivo”, uno degli artefici più o meno noti dell’attuale poco edificante quadro politico nonché dell’odierna precaria situazione in cui versa l’Italia. (1)
Tornando al “Patto del Nazareno” e ai suoi protagonisti, sembra strano, per non dire altro, che Forza Italia (leggi Berlusconi) tenti di scaricare su Renzi e sul suo “metodo Quirinale” la colpa dell’eventuale ingloriosa fine dello stesso. La tattica del sultano di Arcore è ormai tanto ripetitiva e prevedibile da non meravigliare o impressionare più di tanto chi dispone di una propria libertà di pensiero ed è in grado di comprendere ciò che sta dietro le belle parole o dietro le ambigue dichiarazioni ufficiali. Convinto com’è di essere un trascinatore, un catalizzatore, un “deus ex machina”, cui si deve cieca obbedienza, vive ormai in una sua personale visione della realtà. Sta di fatto, in ogni caso, che le sue macchinazioni (che si susseguono dal 1992) hanno prodotto, nell’ambito dello scenario sorto dalle macerie del mefitico quadro politico di “mani pulite”, solo discordie, polemiche velenose, mascheramenti della verità, sfascio istituzionale e perdita di credibilità a livello internazionale. Non è difficile condividere il pensiero di chi afferma che il suo soggettivo modo di concepire e di esercitare il potere è in gran parte frutto dell’arroganza del nababbo arricchitosi, inusitatamente, troppo in fretta. Arricchimento facilitato, si dice, dal vento in poppa che, al momento buono della sua ascesa al mondo dorato dei “super paperoni”, è venuto fuori, soffiando fortemente sulle distese vele del suo vascello da corsa, dalle otri donategli (“leggi ad personam”), non si a che titolo, dai novelli “Eolo” dell’Olimpo politico di quei tempi .
Oggi, al cospetto della drammatica situazione socio-economica della Nazione, non è ammissibile che un cotanto discusso personaggio tenti ancora di ricoprire, presuntuosamente e immeritatamente, un posto preminente nel quadro politico nazionale, viepiù arrogandosi la funzione di “capo della opposizione”, ammannendo giudizi impropri, formulando strumentali contestazioni, avanzando proposte trabocchetto. Una domanda, a questo punto, è quasi d’obbligo. Quando si sono determinate le concause della crisi economica in corso, quando s’è manifestato lo sfascio dell’apparato, quando è affiorata la sfiducia internazionale verso una certa Italia marca Arcore, lui, il grand’uomo, dov’era e cosa faceva? Potrebbe sufficientemente chiarirlo la ciurma che per opportunismo politico o per convenienza lo attorniava allora e in parte l’attornia tuttora, oltre ai giudici che più volte hanno tentato di attaccare giudiziariamente la sua roccaforte. Ma quando in minima parte la giustizia è riuscita a far sentire la sua autorevole voce, pur se non in maniera chiara ed esaustiva, che cosa è accaduto? Il reo di palazzo Grazioli sta solo scontando una pena all’acqua di rose, va, viene e si muove come e meglio di un uomo libero, dirige l’azione politica di un importante partito, Forza Italia, riceve il plauso della stessa Giustizia per essersi comportato (magari solo apparentemente) da “condannato modello”, meritevole pertanto di un congruo sconto di pena subito pubblicizzato e reso applicabile. Osservanza delle norme vigenti o solo un accomodante ripiego per giustificare, agli occhi della Nazione, ben altri reconditi intrecci?
Ma la cosa più inverosimile (che forse potrebbe trovare riscontro solo nei paesi del terzo o quarto mondo) s’è palesata nel momento in cui, in corso di scomputo di pena e di operante interdizione dai pubblici uffici, è stato ufficialmente invitato al Quirinale in occasione dell’inserimento del nuovo Presidente della Repubblica. Pur ammettendo che da un punto di vista formale il fatto era da ritenersi passabile, dall’essenziale punto di vista della opportunità, per non dire altro, sarebbe stato molto meglio evitarlo, specie in funzione del fatto che, per pura dignità soggettiva, l’interessato certamente non l’avrebbe rifiutato. L’opinione pubblica non ha mancato di sottolineare che la legge (giuridica e morale) non sembra produrre risultati e conseguenze uguali per tutti.
Con buona pace di chi ancora seguita a sperare in un avvenire migliore, con o senza “patto del Nazareno”, con o senza la favoletta della necessaria e inderogabile “riforma” di talune parti della Costituzione.
La Nazione può riprendersi e migliorare solo in funzione del ripristino della correttezza amministrativa dello Stato, della giustizia sociale, dell’etica morale che dovrebbe stare alla base dell’operato di chi è investito di pubblici poteri o della rappresentanza popolare.
Gli elettori di buona fede, senza condizionamenti o tornacontismi, dovrebbero trarne insegnamento per il momento in cui sono chiamati ad esprimere il proprio voto.

7 febbrario 2015                                                                                   Luau


Note:
On. Prof. Giuliano Amato: ex deputato, ex Sottosegretario, ex Ministro, ex Presidente del Consiglio, ex tutto fare (anche ex Presidente della storica Treccani) e, oggi, Giudice Costituzionale. Trattasi dello stesso che, da buon socialista proletario, non è certo un Francescano povero in canna ma è un “pensionato di lusso” con emolumenti e appannaggi che, in base a leggi e leggine varate nel tempo su misura per i magnati delle “stanze dei bottoni”, si cumulano e superano, non si sa con certezza di quanto, i 30/mila euro mensili.
Non occorre dilungarsi sui suoi variegati “trascorsi politici”. Basta solo ricordare che essi si svilupparono a dismisura sin dai tempi dell’onnipotente Craxi (quando ne divenne uno dei principali collaboratori, anche quale Sottosegretario alla Presidenza) e dell’inesplicabile CAF (Crax-Andreotti-Forlani). Fu quello il periodo del governo Andreotti-Martelli (1889-1991) che forzosamente (attraverso il voto di fiducia) varò la cosiddetta “legge Mammì” (sfacciatamente pro Finivest di Berlusconi) innescando la protesta e le dimissioni di Mattarella, Martinazzoli, Misasi, Mannino e Fracanzani. Senza dire dell’improvvido provvedimento (datato luglio 1992) con il quale, nella qualità di Presidente del Consiglio, l’On. Amato, “indossata la tuta nera di Diabolik” (“il Giornale”.it- 5/5/2006), divenne l’inventore del prelievo forzoso dello 0,6 x mille in danno degli ignari risparmiatori (il prelievo, effettuato nottetempo, non riguardava gli “interessi” bensì il “capitale”). Un autentico latrocinio perpetrato per sopperire ai molti miliardi di disavanzo statale. Disavanzo derivante dall’irrefrenabile gara alla spesa pubblica instauratasi fra i partiti (di maggioranza e non), magari sotto la spinta di imprenditori senza scrupoli. Spesa fatta di sciupii, di investimenti sbagliati, di finanziamenti di opere pubbliche talvolta inutili e poi abbandonate, di spese elettoralistiche di facciata. Con il risultato d’avere creato i presupposti per l’esponenziale crescita del fenomeno della corruzione e dell’illecito arricchimento da parte di quella succosa fetta del mondo imprenditoriale e politico che, direttamente o indirettamente, avevano le mani in pasta.


 

 

 

 

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