CHE SUCCEDE AL MONTE
DEI PASCHI DI SIENA?
Nulla di nuovo sotto il sole. Trattasi di circostanze e fatti ben noti da tempo. Solo che ora, scoperchiata la pentola, un po’ tutti esternano più o meno pertinenti giudizi e commenti mentre i maggiorenti della solita politica all’italiana s’accusano a vicenda e hanno preso a versare, pressoché inutilmente, un fiume di lacrime … (di coccodrillo).
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Tanto tuonò che piovve. Premettendo che ci troviamo a vivere in uno strano bel Paese , non c’è da meravigliarsi più di tanto se solo dopo ben 5 anni dal verificarsi del notorio antefatto, l’avventata pregressa gestione dell’Istituto Bancario - che vanta d’essere coevo di Cristoforo Colombo - è chiassosamente giunta a conoscenza dell’opinione pubblica.
Parecchi improvvisati censori o tribuni dell’ultima ora, subito scesi in campo lancia in resta, hanno furbescamente sorvolato, però, sul fatto che la stampa - specie quella di settore - e qualche canale televisivo (“Report”) s’erano già abbondantemente occupati, con dovizia di particolari e in tempi non sospetti, del pericoloso fuoco che covava sotto la cenere. Tuttavia, le tergiversatrici, burocratiche e magniloquenti autorità istituzionali e di settore non si sono prese la briga d’intervenire a tempo opportuno. Quanto accaduto in questi giorni è l’ulteriore conferma che in Italia non esiste la cultura della prevenzione ma esiste solo, di contro, la perversa messinscena dell’intervento a posteriori o a fatto compiuto, quando tutto è divenuto più complicato e talvolta irreversibile o insanabile. L’Italia, malgrado l’inarrestabile avvento dell’era del Web, è sempre più il regno della burocrazia (il “Paradiso terrestre” delle scartoffie), la palestra del formalismo e dell’apparenza, il palcoscenico dell’ambiguità. Il tutto accompagnato da un linguaggio ufficiale spesso incomprensibile e talvolta
basato su molte menzogne e poche verità. Senza dire, infine, del diluvio delle ciance (“tavole” pressoché quotidiane e in tutte le salse, stile lavaggio del cervello, talk-show d’ogni natura ed estrazione, interviste pilotate ad uso elettori allocchi, abbuffate di dichiarazioni politiche non sempre par-condicio, ecc.ecc) che ammorbano l’informazione e turbano la coscienza del comune cittadino.
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Riprendendo l’argomento del Monte dei Paschi, l’aspetto eclatante del ventilato “scandalo” è rappresentato, in ogni caso, dal fatto che solo nell’anno di grazia 2013 la notizia ha travalicato gli argini dell’omertà istituzionale e s’è abbattuta, come un tornado, sui meravigliati e indignati cittadini. Non va trascurata, a tal proposito, la considerazione che l’uomo della strada, pur se ormai aduso alle variegate notizie concernenti le innumeri malversazioni bipartisan che sempre più frequentemente coinvolgono l’apparato piramidale dei partiti e degli enti istituzionali, ha avvertito maggiormente l’impatto di quest’ultimo sconcertante episodio di cattiva amministrazione pubblica.
N’è venuto fuori, fra l’altro, un frastornante can can mediatico intriso di più o meno dannosi risvolti di lacunosa informazione. Senza dire, peraltro, dei tanti avvoltoi del mondo giornalistico, mediatico e partitico che sono calati in picchiata sul presunto “corpo del reato”, non tanto per assolvere eticamente la funzione di anticorpi quanto per riempire a convenienza le colonne della carta stampata, i palinsesti dei telegiornali o gli sproloqui dei vari imbonitori politici. L’inqualificabile strumentalizzazione dell’accaduto - specie in relazione alla competizione elettorale in corso - ha creato, di conseguenza, non poche distorsioni interpretative che, ovviamente, sono sfociate nella confusione informativa più assoluta.
E’ un dato di fatto, tuttavia, che la cronistoria dei fatti non può prescindere da un esauriente riferimento alle cause - vicine e lontane - della situazione oggi delineatasi nella Banca Monte dei Paschi, alle presumibili responsabilità dei precedenti organi dirigenziali dell’Istituto di che trattasi, alle interessate e talvolta condizionanti interferenze politiche, ai legami più o meno misteriosi con gruppi di potere nazionali ed esteri e con "uomini in nero infiltrati negli affari".
Le cause, chiaramente, hanno diversa origine e natura ma prima fra tutte s’evidenzia quella dell’abbandono, specie ad opera delle più recenti compagini amministrative dello storico Istituto, di una politica creditizia basata sulla tradizionale interconnessione fra banca e sistema socio-produttivo nel rispetto dei conclamati canoni della tecnica bancaria e nello spirito della fondamentale legge 12 marzo 1936 n°375 riguardante “disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia”.
Occorre chiarire, per inciso, che dagli anni ’80 in poi, purtroppo, la politica (quella scaduta nel mercimonio, nel senso deteriore del termine) e il mondo affaristico e cannibalesco dell’alta finanza hanno operato parecchio per inquinare, attraverso continue normative modificative, l’originaria legislazione bancaria, sino a giungere alla fatidica svolta del 1990. Quest’ultimo fu l’anno in cui vide la luce la legge n. 218, la cosiddetta “legge Amato-Carli” che disponeva la trasformazione degli enti bancari in società per azioni e creava, parallelamente, le “fondazioni” cui venivano attribuiti farraginosi compiti di gestione dei relativi pacchetti azionari e di indirizzo della politica aziendale.
Tale improvvida riforma, che tanto danno ha risaputamente arrecato al sistema bancario (a parte l’abnorme lievitazione dei costi derivanti dalla creazione di doppi organi amministrativi, di nuove complicate strutture burocratiche e di relativi nuovi organici di dirigenti, funzionari e impiegati), sembra fosse stata ispirata dall’allora Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, in base a degli studi avviati già nel 1980. Lo stesso Giuliano Amato, al momento di illustrare la legge approvata, definì le fondazioni un “mostro giuridico”.
Una seconda ma non meno influente causa va ricercata nel delinearsi della cosiddetta “unità economica europea” (introduzione della moneta unica e del libero mercato) che indusse le principali Banche italiane, ormai in via di privatizzazione (sia quelle controllate dal tesoro attraverso l’IMI che altre sino a quel momento classificate “d’interesse nazionale”, fra cui, per l’appunto l’antico Monte dei Paschi di Siena), a cercare di fronteggiare la temuta concorrenza straniera ingrandendo le proprie dimensioni strutturali-operative e aumentando il proprio patrimonio e il proprio capitale sociale. La strada da percorrere fu individuata, con il determinante assenso della Banca d’Italia, nelle trattative d’acquisto di piccole aziende di credito locali, nell’accorpamento di istituti claudicanti o in fase di decozione (usufruendo di notevoli vantaggi fiscali e ponendo in quarantena - attraverso dispendiose e lunghe gestioni commissariali o di liquidazione giudiziaria - gran parte delle sofferenze riscontrate), nella fusione con altre valide strutture creditizie.
Anche il Monte dei Paschi, dopo avere inizialmente manifestato una qualche resistenza al nuovo corso dettato dalla legge Amato-Carli (per un buon lasso di tempo si tentò anche la via dell’aperta opposizione alla trasformazione in S.p.A), s’avventurò nel seguire la cordata mediante l’acquisizione di diverse aziende di credito di modeste dimensioni (fra cui la Banca di Messina), della Banca del Salento (poi denominata “Banca 121” che portò in dote i suoi discussi - qualcuno dice truffaldini - prodotti finanziari denominati "My Way" e "For You") e in ultimo della Antonveneta. Da li iniziarono le sue disavventure.
E’ da ricordare che, alla fine del turbolento periodo innescato dalla citata legge Amato-Carli, la mappa del sistema bancario italiano risultò totalmente modificata e al centro dello stesso apparvero gli attuali grandi colossi del credito. Sta di fatto, però, che mentre alcuni istituti esteri comunitari ebbero buon gioco nel tentare e talvolta nel portare a compimento la scalata a qualche banca italiana di rilievo (vedi, ad esempio, la BNL), nessuna operazione del genere fu neppure ipotizzata dai “gruppi” italiani. Come fisiologica conseguenza, la pregressa fisionomia della “Banca” subì, in genere, una
radicale trasformazione a scapito dei tradizionali servizi di base, dell’approccio territoriale diretto con le aziende di medie e piccole dimensioni, della cura dei rapporti con la clientela di stampo squisitamente locale e popolare. Tutto ciò fu un errore? Senza scendere nei particolari (sarebbe prolisso enumerarli e tratteggiarli), viene da dire che sotto molti aspetti lo è stato. Alla luce degli attuali criteri operativi adottati dal sistema bancario, specie se riferiti alla difficoltà d’accesso al credito da parte dei comparti produttivi, l’antica diffusa funzione bancaria di polmone dell’economia locale non esiste quasi più e, quindi, risultano stravolti e non più applicati i canoni fondamentali che, in ossequio alle norme di cui al “Testo Unico della Legge Bancaria”, dovrebbero regolare i parametri fra raccolta del risparmio, impieghi produttivi, frazionamento del rischio, riserve obbligatorie, il tutto sotto la stretta “vigilanza” della Banca d’Italia. Qualcuno ha giustamente affermato che oggi “non c’è più la Banca tradizionale ma esistono solo delle “aziende commerciali” che, fra tante altre cose, si occupano anche di vendere servizi bancari e creditizi”.
Considerato che sulla gestione del Monte Paschi ha predominato da sempre l’influenza politica attraverso il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio che, con il 51% di partecipazione, hanno fatto il bello e il cattivo tempo nell’ambito della “Fondazione” e che, quindi, hanno tenuto a guinzaglio l’Istituto bancario influendo pesantemente sulla nomina dei CdA dello stesso, una terza e forse più determinante causa del malandato stato in cui in atto versa l’Istituto va individuata nella disinvolta e imprevidente gestione della omonima “Fondazione”. Per decenni la sua governance, i cui maggiori esponenti, a detta del settimanale tedesco “Der Spiegel” “sapevano più di Palio che di finanza”, s’è occupata, in prevalenza, della lauta distribuzione alla città e al territorio dei dividendi del pacchetto azionario MPS dalla stessa detenuto. Magnanimi contributi, costose sponsorizzazioni e altri notevoli apporti ad iniziative promosse dall’etablissement pubblico e politico, hanno fatto proliferare le poste in uscita dei bilanci della Fondazione. Non sembra che sia stato operato alcun concreto accantonamento di sostegno al patrimonio e da li la difficoltà di far fronte, senza indebitarsi di grosso, ai necessari aumenti di capitale della Banca. Il tutto perché nelle comode e utili poltrone del CdA non sedevano “banchieri” di razza (consapevoli dell’importanza delle loro funzioni) ma politici arruffoni che, in proprio o per delega, hanno governato Siena. Torna alla mente la favoletta della cicala e della formica.
Qualcuno, peraltro, s’era inventato la professione di manager dell’alta finanza, magari ricoprendo contemporaneamente svariati incarichi, spesso in conflitto d’interessi, quasi facendo collezione di “presidenze”, di “vice presidenze”, di “consigliere”, di “componente di comitati esecutivi”, di “dirigente d’azienda”. I curriculum da loro presentati e sottoscritti parlano chiaro. Solo che né la Consob,
né la Banca d’Italia (Vigilanza) l’avevano attenzionati più di tanto. Resta da spiegare (ma non tanto - vedi foto-, ove si tenga conto del lassismo della casta politica e della classe dirigenziale nostrane) come sia stato possibile che uno sconosciuto giovane avvocato di Catanzaro, un signore chiamato Giuseppe Mussari, più o meno inesperiente in materia bancaria e finanziaria, sia potuto divenire, nell’arco di pochi anni, il personaggio dominante della simbiosi esistente fra Enti politici locali, aziende economiche di rilievo, compagnie assicurative, da una parte, e lo storico Monte dei Paschi di Siena, dall’altra. Senza dire che egli, pur avendo alle spalle un nutrito strascico di avventurismi, di decisioni sbagliate, di luci e ombre (più ombre che luci), cui non manca neppure un pesantuccio rinvio a giudizio per la storia dell’aeroporto di Siena (in relazione al quale sembra sia tuttora in sospeso un procedimento disciplinare avviato dall’ordine degli avvocati di Siena), sia stato designato a ricoprire la delicata e impegnativa carica di Presidente dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana), il più alto organismo rappresentativo del sistema bancario nazionale, cioè di tutte le Banche italiane.
Misteri del Paese di bengodi.
5 febbraio 2013 Luau
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Notizie STAMPA E TV
SULL’ARGOMENTO.
"Report" colpisce ancora: la trasmissione di Rai3, condotta da
Milena Gabanelli, continua a confermarsi tra i migliori esempi
di giornalismo d'inchiesta oggi disponibili sul mercato
televisivo. I suoi reportages, al di là degli effettivi
risultati che poi potranno raggiungere, hanno sempre il merito
di sollevare discussioni e riportare "in campo" questioni che la
maggioranza dei media (più sensibili alle notizie "mordi e
fuggi") archivia talvolta con troppa facilità.
Nella puntata di domenica 23 novembre, il servizio principale ha
riguardato il Monte dei Paschi di Siena. Anzi, meglio, partendo
dalla banca, ha riguardato gli ultimi 10 anni della vita
politico-economica della città di Siena, evidenziando intrecci e
parallelismi fra diversi poteri di svariata origine, locali e
non, fino alle pesanti ripercussioni sulla comunità, che tra
l'altro hanno portato al fallimento delle società sportive di
calcio (dopo svariati anni in serie A) e basket (dopo decenni di
vittorie in Italia ed in Europa).
La carne al fuoco era tanta: il servizio, prendendo spunto dai
dubbi della moglie di un dirigente "suicida", ha coperto tutta
una serie di tematiche (in primis quella degli oltre 7.000
esodati negli ultimi anni), apportando svariati elementi di
novità nel riferire sui comportamenti e sulla complessiva
valutazione del "caso" da parte di tanti protagonisti e delle
stesse istituzioni di controllo, Consob e Bankit in particolare.
Però, anche correndo il rischio di complicare ulteriormente un
"quadro" già particolarmente complesso, forse sarebbe stata
buona cosa approfondire qualche altro aspetto. Ad esempio, per
una prossima trasmissione, oltre a sperare di avere ulteriori
notizie sui miliardi spariti su conti dello IOR o in altri
paradisi fiscali, si potrebbero cercare risposte ad alcune
domande:
• prima dell'acquisto di Antonveneta (che la trasmissione
collega esplicitamente ad attività in cui suggerisce abbia
giocato anche il Vaticano, con l'allora IOR), nel 2001 il Monte
aveva portato a termine un altro grande "affare" con l'acquisto
della pugliese Banca 121: se per Antonveneta è intervenuto
qualcuno da oltretevere, chi e con quali obiettivi intervenne
per Banca 121 (soffiata ad un'altra banca italiana, all'epoca si
disse rilanciando sul prezzo all'ultimo momento)?;
• possibile che, dentro la banca, solo Mussari, Vigni e
Baldassarri (unici coinvolti nell'inchiesta penale) sapessero
quello che stava accadendo e che solo loro abbiano tratto
beneficio dalla vicenda?;
• nel periodo in esame, quale ruolo hanno giocato i partiti
politici locali (col PD "egemone" da una vita...) e quali
rapporti "economici" la banca ha intrattenuto con quelle
roccheforti della politica nazionale?
Tratto da:
Blasting News.
Only
Independent News
del
25/11/2014
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