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15 maggio 2020 –

Ricorrenza storica per la Sicilia.

 

       Ricorre oggi il 74° anniversario della promulgazione dello Statuto della Regione Autonoma di Sicilia. Una ricorrenza che, contrariamente a quanto sarebbe giusto pensare, non si può certo annoverare a cuor leggero, per svariati motivi, fra quelle che andrebbero “festeggiate”.
Ciò non tanto per i divieti imposti dalla sconvolgente pandemia da “corona virus” che la classe politico dirigenziale del Paese - spudoratamente dimentica di tante antecedenti malefatte ed a fronte di una riprovevole disattenzione iniziale - ha genialmente ritenuto di fronteggiare paralizzando i gangli vitali della economia nazionale e relegando a casa, indiscriminatamente, un buon 80% della popolazione, dalle Alpi a Capo Passero. E’ parecchio conosciuto, a tal proposito, un antico aneddoto popolare che per carità di patria e per buona educazione è meglio non citare.
Chiusa questa breve estemporanea digressione, sembra opportuno ricordare che i negativi e deludenti risultati di 74 anni di presunta “autonomia regionale” sono ben noti e sotto gli occhi di tutti. Risultati che hanno ben poco a che spartire con le aspettative che, inizialmente, sembrava potessero scaturire dai poteri statuiti (in buona parte, solo cartaceamente) in favore della Regione Sicilia. Attribuzioni poco e niente rese “autonome” data la perdurante colpevole inesistenza di taluni importanti decreti attuativi riguardanti diverse materie e parecchi settori operativi. L’aspetto più grave è però quello che le fondamentali linee di politica siciliana vengono più o meno sfacciatamente tracciate e gestite dalle spudorate segreterie dei partiti nazionali, manco a dirlo domiciliati in luoghi ove l’eco delle problematiche isolane giunge a stento o in maniera distorta. La Regione, con un maggiore aggravio di infinita burocrazia, ha assunto, di conseguenza, più un carattere strettamente di subordine (più che altro di recepimento amministrativo dei diktat ministeriali e parlamentari) che di autonoma gestione. Un vero binario morto che non porta da nessuna parte.

In campo fiscale, ad esempio, pur essendo chiaramente stabilito, ai sensi degli artt. 36, 37 e 38 dello Statuto, che gran parte dei proventi fiscali riscossi o maturati in Sicilia dovrebbero rimanere di esclusiva pertinenza della Regione, il disposto dei citati articoli è stato largamente aggirato dallo Stato, determinando il mancato incasso annuale di diversi miliardi e un corposo credito nei riguardi del fisco centrale. A fronte del principio tutto italiano che talune leggi esistono solo quando fa comodo, detta norma fu solo parzialmente rispettata sino agli anni ’70.
Niente festeggiamenti, quindi, per il compleanno della chimerica “Autonomia Siciliana” e men che meno aria di vacanza.

A prescindere dalla odierna necessità di evitare “assembramenti commemorativi” e sperando di scansare i consueti sciocchi panegirici dei soliti imbonitori di parte (pur se in “video-conferenza”), non sarebbe specificatamente corretto e coerente brindare a qualcosa di sostanzialmente inefficace (per non dire controproducente) ai fini dello sviluppo economico e civile della Sicilia.
      Per altro verso, come di consueto, sono ben pochi i cocciuti idealisti (malgrado tutto ancora esistenti nell’ ambito della massa di lamentosi ma abulici siciliani) hanno pensato di rinverdire le gravi motivazioni storiche e antropologiche che indussero l’allora instabile potere romano ad elargire una pseudo parvenza di libertà autonomista alla derelitta Sicilia, fra l’altro legandola, in maniera impropria, alla nascente nuova “Costituzione”.

      Molti asseriscono che in tal maniera si cercò di esorcizzare il pericolo del separatismo portato avanti dal “Movimento per l’Indipendenza della Sicilia” (MIS), guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e da altri personaggi di rilievo di un po’ tutte le zone dell’Isola. Un forte movimento popolare che, dopo il fatidico luglio 1943 (sbarco alleato in Sicilia), s’era eretto a paladino dell’affrancamento della Sicilia dallo Stato Italiano. Il MIS, nel 1945, s’avvalse anche di una parvenza di struttura paramilitare, l’ EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) capitanato da Antonio Canepa. Il movimento scese in campo, nel 1946, per l’elezione dell'Assemblea Costituente, ottenendo 4 seggi. Partecipò altresì alle prime elezioni dell’Assemblea regionale siciliana (30 aprile 1947) ottenendo 9 seggi.

     Per quanto concerne l’istituzione nel territorio siciliano della festività del 15 maggio, non si può non sottolineare l’assurdità delle contraddizioni sorte fra Autorità regionali e nazionali. La citata festività, infatti, fu affatto recepita da parecchi organismi istituzionali direttamente dipendenti da Roma pur se, in ambito strettamente territoriale, s’era riuscito ad attribuire ad essa un minimo di significato ideale e storico. Una festa a metà che, dopo qualche anno, fu logicamente abolita, pur mantenendo talune formalistiche manifestazioni di facciata che, spesso e volentieri, fungono tuttora da cassa di risonanza per le ciance di grotteschi e incalliti demagoghi nostrani, d’ogni colore e provenienza.

      Fatta questa breve premessa, non è male riportare alla memoria taluni aspetti delle vicende socio politiche collegate alla formalizzazione dello Statuto della Regione Siciliana, per l’appunto datato 15 maggio 1946 e addirittura promulgato da Umberto II, pochi giorni prima che il Referendum del 2 giugno lo esiliasse in quel di Cascais.
Fautori dell’Autonomia furono anche alcuni politici siciliani, far cui spiccavano Salvatore Aldisio (allora Alto Commissario per la Sicilia), Giuseppe Alessi (poi primo Presidente della Regione), l’on. Giovanni Guarino Amella e l’esimio Prof. Enrico La Loggia.

       Lo Statuto “speciale” trasse origine da una sorta di “accordo” intercorso fra il ricostituito Stato centrale Italiano e la “Consulta regionale siciliana” che formalmente inglobava i rappresentanti di parecchie categorie di operatori economici e di lavoratori, oltre che dei redivivi partiti politici. La promulgazione dello Statuto siciliano è addirittura anteriore alla approvazione della Costituzione della Repubblica italiana (22 dicembre 1947). La Sicilia, quindi, è stata la prima Regione in assoluto ad acquisire, almeno sulla carta, uno “statuto speciale”.

      Occorre ricordare che, lasciato alle spalle il sistema di governo dittatoriale del fascismo e il sistema istituzionale monarchico, legato alla discussa Casa Savoia, s’era determinata la speranza che, con l’avvento della Repubblica, il quadro della Nazione cambiasse in meglio.
Molte cose, invece, lasciano pensare che, di fatto, un medioevale andazzo di cose, forse insito nel DNA della composita Nazione Italia, sia duro a morire.

      Parecchi settori Istituzionali - specie in periferia - seguitano a navigare a vista e operano disorganicamente nell’ambito del discutibile sistema delle mille “repubbliche” regionali e comunali. Ognuno per se e Dio per tutti. Chi paga, alla fine, è sempre il solito “Pantalone”.
In tempi non tanto lontani, per evidenziare o sottolineare che qualcosa in famiglia o nella vita pubblica non funzionasse a dovere, s’usava dire… “e chi iè … ‘na ripubblica?”

      La Sicilia, in particolare, non s’allontana poi tanto dal senso di tale aforisma.
Nel bene e nel male la conoscenza della storia di casa nostra dovrebbe riguardare un po’ tutti, anche il mondo frivolo, distaccato e tornacontista della “elite” intellettuale, manageriale e benestante che rappresenta una buona parte dei circa cinque milioni di abitanti dell’Isola. Ciò, invece, avviene parecchio marginalmente ed è pressoché ininfluente.

      Meditando sulla contingente realtà, sorge spontanea una osservazione: quanti sono coloro che nel chiuso recinto dei vari e ristretti ambienti locali (anche se da essi traggono origine taluni “altolocati papaveri”, con tanto di importanti poteri regionali e nazionali) possono affermare d’essere adeguatamente consapevoli dell’origine storica dei pur disattesi contenuti dello “Statuto Siciliano”e assertori della necessità di attuarli?

      Riferendosi proprio alla citata origine storica non sembra superfluo ricordare che s’era, come già accennato, nell’epoca in cui ardeva in Sicilia il vivace fuoco del separatismo e che ad esso s’accompagnava il ricomparire della spregiudicata “mafia” (frutto dell’interessato patrocinio USA e AMGOT), cui faceva da contraltare il dilagante banditismo.

        A Roma, forse per un consapevole senso di timore, si brigava sul come e in che modo spegnere i pericolosi focolai e, con la adesione di insigni personaggi isolani, fu all’uopo approntato il famoso e articolato “documento” denominato “Statuto Speciale della Regione Siciliana”. Dando forse per scontata l’arrendevolezza dell’ignaro quanto ingenuo popolo isolano, si pensò bene, inoltre, di fare in modo che esso, pur se promulgato dall'allora Monarca in carica, divenisse, poco dopo, parte integrante della “Costituzione” della neonata Repubblica. Molti affermano, oggi, che quest’ultima mossa fu una eclatante e ben studiata “trappola” approntata per ingabbiare definitivamente la Sicilia, un autentico cappio al collo, pronto a strozzarla ove necessario.
Quel formale documento, peraltro rimasto privo degli annunciati “decreti attuativi” - forse dimenticati ad arte nei tarlati cassetti del “potere politico” romano - ha fatto si che l’Isola di Trinacria rimanesse inalienabilmente relegata nella sua atavica posizione di vessata “colonia”, stavolta asservita ai potentati dei vari partiti, ai magnati dell’economia e della speculazione. In molti ottennero il “lasciapassare” per spadroneggiare nel suo ambito.

        Ma la maggiore responsabilità attribuibile alla ambiguità del rapporto fra Stato e Regione, sta nell’avere prima inquinato il florido settore bancario regionale (in conseguenza della sfacciata intrusione partitica nella gestione degli Istituti, a seguito della nomina nei consigli di amministrazione di personaggi affatto trasparenti e competenti) e poi, sopraggiunta (anni ’90) la crisi gestionale del comparto, nel non avere saputo tutelare e difendere il patrimonio delle maggiori e storiche Banche siciliane. Una ingente massa di risparmio passò, in gran misura, sotto il controllo di accentratori Gruppi bancari del Nord, finendo col finanziare, più che le esigenze creditizie siciliane, l’economia di quelle zone.

        Appare difficile, adesso, correre ai ripari. Tuttora, molto più che nel passato, l’oneroso quanto inadempiente apparato burocratico e strutturale nato in funzione delle discussa “autonomia”, è di fatto gestito dall’alto dei sette colli, secondo le invereconde regole dell’utilitarismo dei vertici partitici e di taluni centri di potere. S’e determinata, di fatto, una moderna forma di feudalesimo politico e ne è scaturita una chiara forma di malgoverno che, nel tempo, ha innanzi tutto creato quella sorta di “stipendificio” che alimenta un costosissimo apparato, meritevole di una larga varietà di “premi Oscar” in materia di settorialità, di nepotismo, di abusi, senza dire degli eclatanti casi di corruzione e malversazione.

       E’ stato ancora una volta dimostrato che per dominare i popoli asserviti è sempre valida la perversa formula della carota e del bastone.

      Non va dimenticato, tuttavia, che la responsabilità ricade su quei moltissimi siciliani che, pur se da tempi immemorabili si ritengono oppressi e sfruttati da ingordi personaggi e da gruppi di potere politico-speculativo, non hanno saputo scegliere, nel tempo, fra la strada della libertà e quella della perdurante sottomissione.

      Non rimane che dire: “chi ha colpa del suo mal, pianga se stesso”.  Vae victis (guai ai vinti). Il paradosso dell’asino di Buridano, oltretutto, calza perfettamente.


15 maggio 2020                                                                               
Augusto Lucchese

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     E’ fresca di giornata la invereconda notizia che l’Assessorato alla cultura e alla identità siciliana sarà affidato, con tutta probabilità e malgrado le proteste a 360 gradi, nientemeno che ad un “uomo” della ex Lega nord. Personaggio immeritatamente siciliano che a detta del pro-console siciliano del Movimento, sarà indicato, previo accordo col principe di Arcore (leggi Berlusconi) e con una disinvolta “Sorella d’Italia” (leggi Meloni), da un milanese doc - Matteo Salvini - un certo primo attore politico di provincia, oggi universalmente e più o meno meritatamente assurto a capo dei capi del mondo padano ex bossiano. E’ superfluo ogni commento. Il Teatrino di Palazzo d’Orleans espone sempre un nuovo cartellone. Il Presidente della Regione autonoma di Sicilia, per altro verso, sembra non avere il carisma di un capo "autonomo" , rispetto agli intrighi dei politicanti nazionali o dei loro "pro consoli " nostrani, siciliani per sbaglio.

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    Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  
Presidente Augusto Lucchese
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