di Emilio
Barucci - Concetta Brescia Morra
Il progetto di Banca del Sud porta con sé il rischio di
riprodurre molti errori del passato, ma anche del presente, e
non risolvere i problemi che stanno alla base delle inefficienze
del sistema creditizio del Mezzogiorno.
La
crisi finanziaria dei mutui subprime ha molti padri; tra questi
sicuramente il mercato e la regolazione portano le
responsabilità maggiori. Negli Stati Uniti qualche
responsabilità ce l’ha anche il governo che aveva messo in piedi
le agenzie governative Fannie Mae & Freddy Mac: mostri che
agivano come soggetti privati – quotati in borsa e non
controllati dal governo – ma che godevano di fatto della
garanzia dello Stato e perseguivano macro-obiettivi pubblici
quali favorire l’accesso al mercato immobiliare. In particolare,
le due agenzie agivano a monte del sistema bancario acquistando
i titoli frutto delle cartolarizzazioni dei mutui, contribuendo
a creare il mercato artificiale delle cartolarizzazioni dei
mutui subprime che è all’origine di questa crisi.
La strada di una società privata che sfrutta la garanzia –
questa volta esplicita – dello Stato è stata seguita anche dal
governo italiano con la Banca del Mezzogiorno. Il provvedimento
approvato dal Consiglio dei Ministri mira a creare un nuovo
istituto bancario nel meridione di iniziativa pubblica ma con
una maggioranza di capitali privati. Per garantire la natura
‘‘privata’’ dell’iniziativa, lo Stato dovrebbe uscire
completamente dalla compagine azionaria entro cinque anni.
I contorni sono ancora poco chiari: si tratterebbe di una banca
di secondo livello. La rete operativa dovrebbe essere
rappresentata dalle banche locali (in prevalenza banche di
credito cooperativo) e dalle Poste Italiane. Operando a monte
dell’attività bancaria, l’istituto di credito dovrebbe
facilitare la raccolta delle banche per l’attività creditizia
finalizzata a realtà imprenditoriali del mezzogiorno. Gli
strumenti individuati per raggiungere l’obiettivo sono
fondamentalmente due: emissioni obbligazionarie, soggette a un
regime fiscale di favore (e, in alcuni casi, con una garanzia
dello Stato), con cui effettuare raccolta del risparmio da
destinarsi al finanziamento delle piccole e medie imprese nel
mezzogiorno; acquisizione di mutui a medio termine da imprese
situate sempre al Sud.
L’intervento non segna il ritorno dello Stato banchiere – come
nell’esperienza pre-anni ’90 – in quanto lo Stato non mette in
campo capitali. Si tratta piuttosto dell’ennesimo tentativo di
condizionare l’agire del mercato e del privato attraverso
incentivi e provvedimenti amministrativi. L’argomento è che vi
sia un’emergenza – quella del credito nel mezzogiorno – che il
privato non è in grado di affrontare – e si decide di rispondere
fornendo credito più a buon mercato rispetto a quanto fanno gli
intermediari attualmente presenti nel sistema ed intervenendo
sull’agire del privato che potrà contare su vantaggi fiscali e
sulla garanzia dello Stato.
Vediamo con attenzione le motivazioni e le forme di intervento.
Secondo la relazione del Ministro dell’Economia, l’iniziativa
pubblica dovrebbe servire a mitigare due problemi: la mancanza
di istituti bancari aventi la sede principale nel mezzogiorno, a
causa dei processi di aggregazione degli ultimi anni; il costo
del credito nel mezzogiorno strutturalmente più alto rispetto a
quello che si riscontra al Nord. I due aspetti sarebbero legati
tra loro: la mancanza di intermediari basati nel mezzogiorno
avrebbe portato all’utilizzo della raccolta effettuata al Sud
per aumentare i finanziamenti a imprese del Nord, mentre la
distanza fra i vertici decisionali dell’azienda bancaria e
l’impresa finanziata avrebbe reso più complicato e costoso
l’accesso al credito per le imprese localizzate al Sud. È
difficile stabilire la veridicità di queste valutazioni. I dati
sull’offerta del credito nel mezzogiorno non le confermano.
Certe posizioni sembrano piuttosto dettate da un teorema non
dimostrato: vi è un problema di sviluppo del mezzogiorno e tale
problema è dovuto alla mancanza di offerta di credito. Non si fa
riferimento piuttosto al fatto che la rischiosità del credito
nel mezzogiorno è più elevata, anche a causa di fattori
ambientali, come la presenza della criminalità organizzata.
Questi fattori contribuiscono sicuramente a spiegare il più
elevato costo del credito senza richiedere un intervento dal
lato dell’offerta. Passando alle forme di intervento osserviamo
che si agisce sul mercato creando una segmentazione dello stesso
e vincolando l’azione di alcuni operatori di mercato. La
segmentazione del mercato coinvolge diversi aspetti:
- gli strumenti per la raccolta emessi dalla Banca del
Mezzogiorno godono di un regime fiscale di favore (5%);
- gli strumenti possono essere sottoscritti solo da persone
fisiche con un limite di 100 mila euro per godere del vantaggio
fiscale e con il vincolo di detenere gli stessi per dodici mesi;
- questi titoli possono godere della garanzia dello Stato.
L’agire del privato è vincolato in due direzioni:
- la Banca del Mezzogiorno deve investire i fondi raccolti con
agevolazione fiscale in finanziamenti a PMI del mezzogiorno e
può anche acquisire mutui a medio termine da piccole imprese
situate sempre al Sud;
- le Poste possono acquistare titoli non emessi dallo Stato, ma
assistiti dalla sua garanzia, nella misura del 5% dei fondi
provenienti dalla raccolta effettuata per attività di bancoposta.
Gli effetti di queste misure possono essere sulla carta assai
significativi. Nell’ipotesi che la Banca sia una cosa seria, e
non una mera operazione di facciata, i rischi sono almeno due:
uno spiazzamento degli intermediari privati che sono chiamati a
rincorrere la Banca del Mezzogiorno fuori dai confini della
gestione efficiente dell’attività di intermediazione; questa
nuova banca rischia inoltre di finanziare attività economiche
dalla bassa qualità con problemi per la finanza pubblica visto
che lo Stato con ogni probabilità fornirà una garanzia. A questi
si aggiunge il privilegio fiscale dei titoli che davvero ricorda
altri tempi.
Proprio l’intervento dello Stato, attraverso l’incentivo fiscale
sulla raccolta e via garanzia pubblica – concessa a cuor leggero
e con una delega al privato – rappresenta il pericolo maggiore.
Il rischio non è di una crisi mondiale come nel caso delle due
agenzie governative statunitensi, quanto di rinverdire, se pur
in forme operative diverse, l’esperienza del credito agevolato
degli anni settanta del secolo scorso che ha portato ad una
cattiva allocazione del credito, riducendo gli incentivi a
svolgere in maniera corretta la valutazione del merito
creditizio delle iniziative economiche.
RES - n° 4 - Novembre 2009
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