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   L’UOMO del … MONTE HA DETTO SI.

Ora che Monti ha detto si e ha deciso di “salire in politica”, il dopo 24 febbraio 2013 cosa riserva all’Italia ? 
A parte l’orribile dicitura “salire in politica” (non sarebbe stato più intelligente dire “entrare in politica”?) introdotta dal superlativo e chiarissimo professore bocconiano (chissà se con riserva dei diritti d’autore) nel già astruso gergo politichese, neppure qualche rediviva cassandra potrebbe predire il destino cui va incontro questa derelitta Italia, divisa in una miriade di sempre nuovi compartimenti stagni (si dice che oltre 20 liste prenderanno parte alle prossime elezioni), oberata da debiti ancestrali, soverchiata dalla selvaggia ingordigia dei pochi che determinano la vita grama dei molti. 
Tuttavia un qualcosa d’eclatante è accaduto: nell’ambito dell’oscuro ambiente politico-partitico-arrivistico e del maleodorante garbuglio dei mas-media s’è forse pensato che l’immediato utilizzo in proprio dell’espressione “salire in politica” avesse potuto assumere il significato di un dovuto (o servile?) plauso al suo inventore, oltre che una “onorevole” sciccheria. Persino il Presidente della Repubblica l’ha adottata. Il fatto ha richiamato alla memoria le pleonastiche frasi ad effetto coniate da retorici personaggi d’altri tempi e che un po’ tutti, alla stregua di tanti ossequienti servitori, s’affannavano a ripetere e ricalcare ad ogni piè sospinto.
Dopo l’oscuro e confusionario periodo dell’attuale gestione tecnico-professionale (?) della Nazione, fra l’altro subentrato al nefasto e immorale malgoverno berlusconiano, si sperava che le elezioni anticipate avrebbero fatto intravedere all’orizzonte una confortante schiarita. Sta di fatto, invece, che sull’ambiguo scenario del mondo politico italiano s’è abbattuta una ulteriore e ben più fitta coltre di infida nebbia. In parole povere s’è accresciuto il già latente rischio d’andare a finire, peggio che prima, fuori strada.
I mefistofelici personaggi che da un cinquantennio a questa parte si sono succeduti al timone del malconcio bastimento “Italia” (anche l’ultimo in ordine cronologico) hanno disinvoltamente preso delle rotte sbagliate - stile Schettino - e l’hanno portato ad incagliarsi fra i pericolosi scogli dello “spread” che, per i non addetti ai lavori va spiegato, in madre lingua, come l’altalenante divario d’interessi che l’Italia paga a fronte del rinnovo dei titoli del proprio debito pubblico, in atto per circa 85 miliardi annui. E’ sopravvenuta una grandinata di nuovi balzelli capestro (lacrime e sangue a gogò) fatta d’indiscriminato furto fiscale in danno dei contribuenti onesti, cui va aggiunto il sistematico truffaldino aumento di tariffe e balzelli locali che, manco a dirlo, nessuno controlla. Senza dire della conseguente crisi produttiva (PIL), dell’inarrestabile crescita della disoccupazione, della cancrenosa recessione, della dilagante miseria in gran parte dovuta al sempre più basso potere d’acquisto (circa 22 punti in meno dal 2000 a questa parte) dei salari e delle pensioni. Tutte cose che il governo in carica non ha saputo (o voluto) arginare e che fanno permanere sulla scena il ghignante fantasma del “default”, terrificante acronimo del possibile (non scongiurato) collasso dell’economia italiana. Tutte cose che, dritto dritto, potrebbero portare l’Italia (o per meglio dire la parte incolpevole di essa che subisce ogni malefatta del mondo politico istituzionale) a precipitare proprio in quel precipizio da cui l’illustre capo del Governo asserisce d’essere riuscito ad allontanare la Nazione. “Abbiamo salvato l’Italia”, ha ripetutamente affermato il prof. Monti trascurando di dire, però, in danno di chi e a favore di chi.  Pur senza emettere dure sentenze circa la millantata bravura dei “tecnici” chiamati al governo del Paese, non appare possibile accettare, alla luce dei fatti targati “governo Monti”, la chiara presa in giro del “salva Italia” (?), della strombazzata equità fiscale e sociale, della promessa riduzione dell’insostenibile pressione fiscale gravante sui ceti medio bassi, dell’abbattimento dei costi diretti e indiretti della politica, del misterioso toccasana chiamato “spending review”, dell’annunciato rilancio produttivo. 
I risultati, in gran parte rovinosi, sono sotto gli occhi di tutti.
E’ da dire, tuttavia, che nella misura in cui il male maggiore è venuto dal passato (più o meno prossimo), non è proprio Berlusconi, pur se avvezzo alla più spudorata sfacciataggine, la persona idonea a svolgere la funzione di censore dell’attuale compagine governativa. Tutt’altro. Oggi come oggi, per sua personale dignità e per tutelare quella degli italiani che a più riprese lo hanno votato (in buona fede o più semplicemente perché attratti da una pia illusione), avrebbe fatto meglio a dileguarsi definitivamente dalla scena politica, magari assieme alle nutrite schiere di vecchie - si fa per dire - e nuove odalische. Suole dirsi “a nemico che fugge ponti d’oro” ed appare chiaro che, nel suo caso, sarebbe stata una dimostrazione di buon senso il ritirarsi a vita privata fra le sfarzose strutture di palazzo Grazioli, delle rinomate ville di Arcore o della Certosa o in qualcuna delle tante altre sparse per il Mondo. E’ risaputo che non trattasi di villette a misura di benestante, “seconda casa” o “da fine settimana” che fossero, bensì di principesche dimore il cui solo costo di manutenzione consentirebbe di vivere agiatamente a non so quante decine di famiglie. L’elenco è lungo ed è da rimarcare che esse sono entrate a fare parte del patrimonio berlusconiano in virtù di un esponenziale quanto misterioso accrescimento (dall’avvento della liberalizzazione dell’etere e dall’era craxiana in poi) delle sue risorse finanziarie. Ove il paperone di Arcore, nella sua doppia veste d’imprenditore dalle grandi velleità (non sempre trasparenti) e di pseudo tribuno politico dalle iperbole riformatrici, dovesse coscienziosamente decidere in tal senso, non è difficile presumere che potrebbe contare su molti fedeli compagni e compagne di merende con cui trascorrere il tempo organizzando la consueta vita di corte (per non dire altro) o, in mancanza, giocando a “tressette … col morto”. Va da se che la fantomatica figura “del morto” potrebbe essere simbolicamente impersonata da quella parte del popolo italiano ingannato, taglieggiato e deriso dalla numerosa congerie di arrivisti, politici e non, di chiara matrice approfittatrice che con inveterata arroganza, con diffusa tendenza a delinquere e con insaziabile ingordigia, hanno defraudato la Nazione di preziose e consistenti risorse e hanno acuito le cause dell’odierno recessivo quadro economico e sociale.
Riprendendo il discorso di “Monti che ha detto si”, non sembra fuor di luogo tratteggiare brevemente alcune considerazioni:
· la sua “chiamata” a palazzo Ghigi era avvenuta in un accentuato e irreversibile clima d’emergenza che s’era determinato a seguito della nota defaillance politica del citato nababbo di Arcore e che imponeva una svolta; s’era ritenuto, oltretutto, d’essersi liberati di quel tale personaggio a vocazione sultanesca che ha deliziato l’Italia e il Mondo con le sue conclamate performance da “viveur” (che a definirle di semplice natura “burlesque” è come sottovalutare l’intelligenza del prossimo) e con le sue variegate e pesanti disavventure giudiziarie;
· era più che sperabile, quindi, che l’immediato accorrere di tanti insigni “professori” e “specialisti” al capezzale dell’Italia (inferma talmente a rischio da ritenere che fosse prossima a passare a miglior vita), lasciasse campo alla speranza che fossero presto adottate terapie efficaci e risolutive;
· le cose sono andate alquanto diversamente e sta di fatto che per ottenere il placet parlamentare ai multiformi decreti sfornati dal suo governo (spesso affrettatamente elaborati e quindi parzialmente o totalmente inconsistenti), ha dovuto ingoiare indigesti “emendamenti” (col risultato di stravolgerne le finalità), smentire provvedimenti già annunciati (vedi riduzione IRPEF) e ha dovuto ricorrere, in appena 13 mesi, a circa una quarantina di “voti di fiducia”; un primato da “guinness” del quale non può certamente andare fiero;
· inoltre, per rimanere al posto di comando assegnatogli (in ottemperanza alle draconiane direttive impartite da Bruxelles e avallate, si dice, dal “colle”), ha più volte prestato il fianco ai ricatti, alle intimidazioni e alle pretese settoriali reiteratamente posti in essere dagli esponenti della sua composita e insicura maggioranza;
· la crociata contro l’evasione (al netto dei macroscopici costi operativi dei servizi istituzionali a ciò preposti) non ha prodotto i debellanti effetti sperati; s’è solo raccattata una qualche decina di miliardi raschiando il fondo della pentola e colpendo, più che altro, un modesto settore imprenditoriale e commerciale; quasi indisturbati, viceversa, sono stati lasciati i grossi potentati e le categorie professionali privilegiate (medici, avvocati ecc. lobbisticamente ben rappresentati in Parlamento e nelle Istituzioni); una palese dimostrazione di quale sia, per Monti & c., il significato del termine “equità”; il Governo, fra l’altro, s’è dovuto rimangiare la sacrosanta disposizione (già inserita nella legge di stabilità) che prevedeva la possibilità di “detrarre” (almeno parzialmente) ricevute e scontrini fiscali; è stato un chiaro e lampante esempio di “voto di scambio”, per non dire di peggio;
· non è il caso di soffermarsi sulla torbida problematica degli Enti Locali, stante la lapalissiana incoerenza del Governo in campo fiscale e tariffario, a parte il fatto che l’autorità centrale s’è dimostrata del tutto incapace nell’obbligare Regioni, Province e Comuni a non seguitare nello sperpero, per motivi elettoralistici o speculativi ed affaristici di bassa lega, dei proventi delle sempre più gravose tassazioni imposte alle comunità cittadine; più che operare indiscriminati tagli orizzontali in danno dei sevizi essenziali, sarebbe occorso bloccare quei meccanismi deliberativi e quegli specifici capitoli di spesa attraverso cui gli amministratori locali mandano in profondo rosso i bilanci; 
· per ultimo, non per importanza ma solo per elencazione, come giudicare il lassismo istituzionale (e per taluni versi anche governativo) che ha portato a non pretendere dal Parlamento, nei modi e nei tempi adeguati, l’emanazione di una legge elettorale atta a consentire agli elettori di scegliere liberamente i propri rappresentanti territoriali?
Nel complesso, quindi, a cosa si riduce, tirando le somme, la svolta del governo tecnico di Monti? A ben poco per non dire a nulla. Lo specchietto per le allodole del ripristinato prestigio internazionale dell’Italia e del vantato parziale riacquisto della fiducia dei mercati finanziari, è solo un palese diversivo tendente a far digerire i nuovi pesanti sacrifici imposti solo ad un certa parte degli italiani, proprio a quella parte già precedentemente e abbondantemente taglieggiata dal fisco diretto e indiretto. Vedi, ad esempio, la truffaldina norma - brevetto Fornero-Monti - del blocco delle indicizzazioni delle pensioni; non s’è tenuto conto, spudoratamente, dell’evidente incostituzionalità della stessa a fronte del fatto che va a colpire solo a quelle “superiori” ad un certo ammontare, senza scalettare, almeno in modo percentuale ed equo, l’ingiusta disposizione. Alla luce dei fatti, sorge spontanea la riflessione che il prof. Monti farebbe bene a tornarsene da dove è venuto prima che la parte sana e lavoratrice del popolo italiano, in forza dei sempre nuovi balzelli sfornati dal suo Governo e a furia di stringere la cinghia, veda sparire dalla propria sempre più povera mensa familiare anche gli scarsi “bocconi” su cui ancora è possibile contare.  Molti asseriscono (chissà se vero) che Monti non ha titolo per atteggiarsi a salvatore dell'Italia (un novello “uomo della provvidenza”?) e che, in effetti, è solo uno scudiero ligio al dovere d’ubbidire ai poteri forti dell'Europa, delle multinazionali di Wall Street, dei potentati economici arabi ed orientali e, notizia dell’ultima ora (pur se non nuova), anche del Vaticano, il solito “deus ex machina” di tante situazioni maturate e succedutesi in ogni tempo. Può darsi che lui sia il primo a essere consapevole di ciò ed ecco perché ancora nicchia sul come presentarsi al voto degli italiani. 
La decisione di poter fare da padrino ad un fantomatico nuovo assembramento di centro lascia parecchio perplessi specie perché la nomenclatura di spicco dello stesso è parecchio stagionata e non è indenne dai vizi della politica all’italiana; la meditata offerta del suo “carismatico” nome al contrassegno elettorale di un tale insicuro e improvvisato amalgama di contrastanti principi e idee è chiaramente accompagnata dalla posa di alcuni paletti che dovrebbero non fargli correre eccessivi rischi, specie quello di essere costretto, da eventuali negativi fatti elettorali, a .... “scendere” bruscamente dalla politica. Potrebbe farsi male nel cadere dagli altari del potere alla polvere della sconfitta. 
Scorrendo l’ “agenda Monti”, ci si accorge che al di là dei soliti luoghi comuni di promesse che si proiettano nel tempo e di qualche specifica implicazione in più, non contiene alcuna risolutiva novità di base rispetto alle ben note emergenze di una Nazione straziata e stremata da un cinquantennio di malgoverno. Va da se, quindi, che appare quantomeno irrisorio presentarla come una sorta di “Vangelo … secondo Monti”. 
Il variegato e raccogliticcio entourage dell’illustre professore - personalmente incandidabile poiché già senatore a vita di fresca nomina - basa la credibilità delle enunciazioni programmatiche del costituendo “centro” sul facile raffronto con l’opaco e deleterio ventennio di predominio berlusconiano, nell’ambito del quale, risaputamente, è maturata la lunga lista delle malefatte di parecchi asserviti gregari che hanno gestito il potere da anti italiani e con sistemi da pre-rivoluzione francese. 
Checché ne dica qualche esimio personaggio d’alto lignaggio (“il Paese ce la può fare” e “ non è giusto piangersi addosso”) non rimane che commiserare questa Italia che, non avendo più fiducia nella classe politica dominante, non sa più a quale santo votarsi. S’è ridotta a sperare, ad esempio, nelle caustiche invettive (pur se in parte fondate su veritiere constatazioni) di un novello grillo parlante (di collodiana memoria) o in personaggi della pseudo “società civile” (che, in verità, tanto civile non è) e della retrograda burocrazia statale (fra cui magistrati di rango e “Grilli” vari riciclati) sino ad ora vissuti di laute rendite e prebende, talvolta alquanto parassitarie, e che ora si ergono a difensori del popolo oppresso e vessato dalle tasse e dai balzelli più strani. 
Questa, signori professori e carrieristi, non è politica. 
E’ solo .... una palude melmosa e infida.

31 dicembre 2012                                                                          
LUAU 


 

 

 

 

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