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 GRECIA 2015
 EUROPA  "UNITA"
   o ASSURDAMENTE    “DISUNITA”?



 

Come di consueto la stampa e la televisione hanno riempito e riempiono le pagine dei quotidiani e il quadro del piccolo schermo con le più svariate notizie riguardanti lo stato di crisi e di miseria in cui è precipitata (forse irreversibilmente?) la Grecia. Sembra superfluo ricordare che tale stato di fatto è da imputare, essenzialmente, agli inetti quanto talvolta autoritari governi succedutisi nel tempo (dall’epoca del Governo dei Colonnelli a quella dei partiti senza obiettivi, facile preda della speculazione e dell’imperante corruzione) che, ovviamente, non sono stati in grado di proporre e realizzare valide riforme volte a migliorare la produttività e ad evitare la pazza corsa all’indebitamento. Adesso, purtroppo, il malato Grecia è in coma e rischia di morire per gravi patologie da default. Ma la cosa più grave è che, mentre i medici stanno a discutere, il morbo potrebbe estendersi ai compagni di corsia dell’ospedale in cui è ricoverato, leggi Unione Europea.
Colonne e colonne di giornali, “preziosi” spazi dei telegiornali TV, “Talk show” confusionari e prezzolati, interviste ai politici di turno, striminziti resoconti delle riunioni ad alto livello europeo, ecc.ecc., si susseguono in maniera soffocante e allarmante. Il tutto con il contorno poco accattivante delle “minacce” di sapore teutonico (pur se in parte giustificabili a fronte delle valutazioni che raffrontano l’attitudine produttiva e organizzativa tedesca con le difficoltà di taluni partner europei, ivi compresa l’Italia), delle dure “dichiarazioni” più o meno diplomatiche dei “responsabili” (?) di Bruxelles, dell’eco sommessa ma preoccupata d’oltre oceano, del silenzio assordante di Downing Street, dei tratti tesi e compunti del viso di Draghi. E non sono mancati, per completare il quadro, gli interventi in sordina di Renzi e del Ministro Padoan tendenti a dissimulare il timore di vedere sfumare nel nulla i 40/miliardi di titoli ellenici in pancia al Tesoro e al sistema creditizio italiani. Una bella sommetta che, se dovesse finire sulle spalle (o in un altro più recondito posto) dei cittadini italiani, sarebbe un ulteriore salasso per i soliti incolpevoli contribuenti onesti di casa nostra.
Rispetto alla crisi greca (e di altre Nazioni dell’Unione), non è fuor di luogo fare eco a chi dice che la situazione dell’Italia presenta parecchie pericolose analogie. Esperite, infatti, le pertinenti concause (stagnazione e arretramento della produttività, crisi delle aziende, disoccupazione dilagante, consumi interni all’anno zero, pressione fiscale insopportabile, diffusa inefficienza delle Istituzioni - particolarmente di quelle locali -, corruzione e malaffare politico in costante espansione, inarrestabile crescita del debito pubblico - 2135 miliardi di euro pari al 132,6 % del PIL -) e tenuto conto delle relative proporzioni, oltre che delle notevoli disparità regionali, il futuro dell’Italia non è per niente rassicurante. Qualcuno ha affermato che il debito pubblico italiano non è più sostenibile (oltre 100 miliardi di interessi annui) e rappresenta una sorta di mina vagante che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Di ciò gli italiani dovrebbero sentitamente ringraziare gran parte dell’irresponsabile e per molti versi deviata classe politica nostrana mentre una particolare “benemerenza” (anche a non riesumare, per rispetto verso i defunti, le tante figure pre e post Andreotti e Craxi) andrebbe attribuita ai vari Amato, Visco, Tremonti, Padoa Schioppa, Monti & c. (la lista, a questo punto, inclusi i presenti, sarebbe troppo lunga), oltre che, ad abundantiam, al solito tuttofare Berlusconi, brillante stella politica europea dell’ultimo ventennio.
Tornando, però, all’argomento principale (la crisi greca) è mancata quasi del tutto (a parte le citate interminabili ciance giornalistiche o le inutili disquisizioni del verbo politico-istituzionale) una esaustiva informazione atta a spiegare all’ignaro cittadino europeo come e perché la stessa s’è evoluta sino a raggiungere l’odierna drammatica dimensione. Quali sono le pregresse o recenti cause? Tutto sommato si è di fronte alle medesime motivazioni congiunturali e strutturali che, sebbene in misura diversa e varia, hanno colpito e colpiscono duramente parecchie altre Nazioni della sconquassata e mal gestita comunità europea. Non poco hanno influito, infine, le recenti elezioni europee e quelle recentissime svoltisi in Grecia che hanno visto il prevalere della linea di protesta antieuropea di Tsipras (Syriza) e di ANEL (Greci Indipendenti).
Osservando, magari di sfuggita, l’odierna impostazione politica, strutturale e funzionale dei vari Organismi che fanno capo alla Unione Europea, determinandone l’azione deliberativa ed esecutiva , non c’è da stare per niente allegri circa il futuro della stessa e della sua economia legata al colosso dai piedi d’argilla che si chiama EURO.
Detta Unione, più che rappresentare il trampolino di lancio dell’agognato progetto degli Stati Uniti d’Europa, sembra avere le sembianze di un rabberciato e composito “agglomerato” di “Stati sovrani”, di matrice diversa, ognuno con propri ordinamenti costituzionali e con Governi più o meno “democratici”, talvolta non all’altezza del compito. E’ evidente che, in relazione alla regola del compromesso dilatorio e alla legge del più forte, sia stato sostanzialmente disatteso il rispetto del percorso fissato dai precursori dell’Europa Unita e le cui pietre miliari sono, nel bene e nel male, i trattati fondativi ed evolutivi. (vedi allegato)
Il costosissimo “Parlamento Europeo” ha oggi una funzione più formale che sostanziale mentre i componenti della “Commissione” (autentico mosaico di politici e tecnici di varia estrazione nazionale) è composto da boriosi personaggi di facciata, più o meno capaci (pur se provenienti dal fior fiore degli atenei d’Europa) e poco o niente “super partes”. Essi sono portatori di mentalità e lingue eterogenee, provengono da ambienti diversi e agiscono con metodi soggettivi. In definitiva, oltretutto, sono privi di qualsivoglia autorità reale nei confronti dei Paesi facenti parte dell’Unione. Una sorta d’indefinibile e nebuloso “governo ombra”.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che il loro incarico è quasi sempre frutto del famigerato “manuale Cencelli” che, pur se “made in Italy” con tanto di “copyright”, s’è diffuso un po’ dappertutto e ha finito col contagiare i Paesi dell’Unione determinando la spregevole conseguente divisione “pro quota” del presunto potere della stessa.
Le elezioni europee, ad ogni tornata, non fanno che porre in evidenza il perdurante frazionamento dello scenario politico in partiti, partitini e movimenti vari, uno diverso dall’altro e privi di finalità e obiettivi condivisi. Essi stentano a trovare un denominatore comune financo nel decidere l’accorpamento nei vari gruppi parlamentari. Anche in Europa, pertanto, si vive di rattoppate coalizioni, di fragili e temporali compromessi, di pilotati e insicuri monitoraggi, di strumentali statistiche, di accordi poco trasparenti.
In relazione al mantenimento di elefantiache, complesse e dispendiose strutture, sarebbe doveroso che i sigg. di Bruxelles, anche a volere prescindere dall’inderogabile esigenza di dimostrare agli elettori la propria etica e correttezza politica - se c’è -, si passino la mano sulla coscienza e facciano conoscere, onestamente e veritieramente, il complessivo stratosferico ammontare degli oneri, diretti e indiretti, scaturenti dall’organizzazione politica e burocratica dell’Unione che, come è noto, ha costose ramificazioni in tutti i Paesi della stessa.
E’ ormai un fatto assodato che sul piano dell’effettiva integrazione, specie in campo economico, le Nazioni che hanno aderito all’Unione Europea solo difficoltosamente comunicano fra loro mentre evidenziano, complessivamente, una scala di differenti situazioni economico-finanziarie-debitorie che vanno dalle gravi problematiche da default (Grecia in primis) all’unica apparentemente florida posizione di benessere della Germania. Quest’ultima, oltretutto, s’è chiusa da tempo in difesa e non ha alcuna intenzione di cedere rispetto a qualsivoglia pericolosa inversione di tendenza che possa intaccare la propria ottimale situazione economico-produttiva. Tale apprezzabile situazione, non è certo frutto di casualità ma deriva da una riformatrice e lungimirante politica di sviluppo industriale e occupazionale concretamente attuata nei trascorsi decenni. Dalla stessa promana quasi un diritto a far valere una linea di “autoritarismo”, più o meno basato sul PIL e sulla forza della Deutsche Bundesbank (Banca Federale Tedesca) ma sicuramente rafforzato dall’atavico e combattivo DNA prussiano. E’ chiaro che il peso della Germania influisce parecchio sulla magari pesante e talvolta irrazionale emanazione delle “norme comunitarie” fatte di “direttive” indiscriminate, di “parametri” non negoziabili (veri e propri “diktat”), di “restrizioni” uguali per tutti, di “penalità” spesso esorbitanti, di criteri di “austerità” non compatibili con le rispettive situazioni socio economiche delle varie Nazioni. Un andazzo di cose che, ovviamente, innesca la proliferazione di farraginose normative, talvolta ingestibili e inapplicabili nel contesto di base di ogni singola Nazione e che, frequentemente, rischiano di diventare controproducenti.
Ciò a prescindere dall’altra faccia della medaglia che vede il reiterato varo di “progetti finanziabili” e di “contributi” che, pur se teoricamente finalizzati - almeno sulla carta - a validi e utili obiettivi, divengono di fatto “strumenti” eccessivamente complessi in relazione alle restrittive linee guida e ai disciplinari di gara. Progetti che, di massima, si trasformano in chimere irraggiungibili mentre, di contro, si prestano ad innescare fenomeni speculativi e strumentalizzazioni di politica locale per fini elettorali, peraltro incentivando il fenomeno della cancrenosa “corruzione”.
Tutti sanno, a tal proposito, che sono nati e si sono diffusi a macchia d’olio, una miriade di ENTI (spesso parassitari), Società, Studi di consulenza, Cooperative giovanili, che mirano ad ottenere l’accesso tornacontistico ai “fondi europei” . I risultati, in ogni caso, risultano parecchio deludenti, se non addirittura controproducenti, in quanto non producono situazioni stabili e durature di sviluppo economico e lavorativo. Quasi sempre sono “elargizioni una tantum”, fine a se stesse, che alimentano, oltretutto, false aspettative da parte dei giovani in cerca di una prima occupazione e disabituano alla ricerca di inserimenti lavorativi - pur se talvolta non tanto graditi -nel campo di possibili iniziative produttive o nel campo della ricerca di nuovi “business plan” (piani d’impresa).
“Il lavoro s’inventa”, ebbe a dire parecchi anni fa Cesare Romiti ad un convegno di giovani imprenditori e mai come oggi tale asserzione dovrebbe valere come stimolo per quella numerosa massa di giovani che seguitano a sperare nella famosa manna dal cielo (leggi “posto fisso”, pur se oziosamente improduttivo) o si adagiano a vivere sino a tarda età a carico della famiglia, anche indipendentemente dalla diffusa scarsa formazione scolastica, formativa e professionale.
In conclusione, cosa si può o si dovrebbe fare per modificare l’errata impostazione dell’odierno quadro operativo dell’Unione Europea?
Occorrerebbe tornare a propugnare convintamente l’obiettivo dell’Europa unificata politicamente (non più come “mercato unico” o come speranza di integrazione attraverso la libera circolazione dei cittadini), per come entusiasticamente sperato da Spinelli, De Gasperi, Schuman, Adenauer, Spaak, Monnet, Martino e tanti altri sognatori idealisti dei favolosi anni ’50.
Occorrerebbe che taluni Paesi della odierna monca Unione Europea riuscissero a mettere da parte i propri tornacontistici interessi economici, la smania di “grandeur”, la propensione a mascherare, con ricette da Commonwealth extraeuropeo, la defunta mentalità imperialistica. Senza dire della tacita sottomissione (una sorta d’incurabile psicosi) al potere della finanza di Wall Street (leggi USA) e della tendenza a far prevalere le chiacchiere formali (costosi simposi, convegni, prolisse riunioni di comitati, commissioni e sottocommissioni, di tavole più o meno “rotonde” ecc. ecc.) a scapito della sana operatività mirata a risolvere seriamente i problemi.
Occorrerebbe che un po’ tutte le Nazioni aderenti (grandi e piccole, potenti e meno potenti) si convincessero di essersi imbarcati sullo stesso insicuro vascello chiamato “Unione Europea” e che se lo stesso dovesse naufragare, per il determinarsi di una o più falle, per imperizia dei timonieri o per colpevole cialtroneria di chi ne detiene il comando, alcuna Nazione riuscirebbe ad uscire indenne dalle paurose conseguenze del disastro, nemmeno disponendo di riservate scialuppe di salvataggio o aggrappandosi ad un qualche rottame galleggiante.
Che la Provvidenza illumini l’attuale generazione dei cosiddetti “potenti della Terra” che, non sempre in buona fede, dominano lo scenario in cui annaspa, oltre che l’Europa, l’umanità intera dei cinque continenti.

19 febbraio 2015                                                                            LUAU

 

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P.s. :

Non vorremmo che, alla fine, ci si dovesse rifare al titolo di un memorabile film di Gigi & Andrea, del lontano 1983: ....

....."Se tutto va bene siamo rovinati"!!!

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