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Genova 2021 

- ex Ponte MORANDI -
Ennesima sceneggiata all'italiana.


E’ del tutto superfluo rifarsi ai particolari del crollo del Ponte ”Morandi” di Genova, tragicamente avvenuto il 14 agosto 2018. Se ne è tanto parlato e sparlato, magari impropriamente o polemicamente, oltre ad essere divenuto, strumentalmente, l’argomento principe del consueto disgustoso chiacchiericcio delle varie TV, ovviamente per riprovevoli fini esibizionistici o di cassetta. Il tutto come da incurabile consuetudine italiana. Ognuno ha detto la sua e non sono mancate le consuete insulse disquisizioni di chi usa i network per ostentare il proprio “io”. La solita pietra buttata a casaccio nel putrido stagno della ciarlataneria da baraccone. E’ incorreggibile l’invereconda improntitudine di chi alimenta la massa degli asinevoli “commenti” dei molti “web dipendenti”.
Con dolorosa incredulità, s’è dovuto prendere atto della sceneggiata imbastita in occasione del terzo anniversario della “assurda” sciagura accaduta in quel di Genova alle ore 11,45 circa del 14 agosto 2018. Fu a quell’ora e in quel giorno che improvvisamente venne giù il “pregiato” e “avveniristico” ponte realizzato, a fior di miliardi, nel corso del cosiddetto “boom economico italiano” che sarebbe meglio definire “la greppia della falsa democrazia italiana”. Nell’arco di pochi secondi il rinomato ponte si sbriciolò alla stregua di un qualsiasi friabile biscotto, malgrado fosse considerato una sorta di vanto della classe politica, tecnica e imprenditoriale degli anni ’60. Onore (o “disonore”) al merito?
E non si venga a ripetere, ad uso degli allocchi e degli ingenui, che adesso si farà di tutto per “accertare rigorosamente le cause e le responsabilità ” che ebbero a determinare un sì dirompente e tragico crollo. Le svariate motivazioni (o concause) sono estremamente intuibili, tanto da pensare che non varrebbe la pena disturbare la magistratura, gli esimi accademici delle diverse facoltà di architettura e ingegneria o i più o meno valenti professionisti di settore, per giungere alla scontata conclusione che già da tempo le soprastrutture del ponte erano fortemente stressate per la mancanza di adeguati interventi di manutenzione e di rifacimento delle parti a rischio. Sopra quel ponte passava, giornalmente, un numero impressionante di vetture d’ogni tipo, di automezzi pesanti e di TIR il cui traffico, per l’insana bramosia di lucrosi pedaggi, non è stato mai contingentato o smistato lungo altre vie di comunicazione. E’ notorio che da diversi decenni a questa parte il transito degli odierni mastodontici autotreni s’è moltiplicato a dismisura (sia come numero che come tonnellaggio), specie rispetto ai parametri di cui s’era tenuto conto in fase progettuale. Aggiungasi le condizioni ambientali altamente inquinanti e il clima parecchio umido della zona, fattori che hanno pesantemente inciso sull’usura dei materiali impiegati, ed ecco il perché le arcate, i piloni e i tiranti (i cosiddetti “stralli), realizzati in cemento armato “epocale” (più o meno mafiosamente “trattato”), ebbero a subire un ovvio quanto prepotente logoramento. Sembra parecchio attendibile, infatti, che il cedimento non sia stato causato da smottamenti o scivolamenti dei basamenti del ponte, bensì da un collasso strutturale della parte sospesa dello stesso. Si presume, in particolare, che uno degli “stralli” della sezione centrale (sembrerebbe il n°9) abbia subito un improvviso cedimento sia a causa del progressivo deterioramento dei materiali cementizi di rivestimento che della costante ossidazione della componente ferrosa. Tutti sapevano ma nessuno curò un immediato e radicale intervento, adottando i provvedimenti del caso, accantonando la frenesia speculativa della gestione (i pedaggi) concernente la pericolante struttura.
Le consuete remore decisionali e le lungaggini amministrativo -burocratiche (fra cui le perverse modalità e i tempi lunghi delle “gare d’appalto”) ebbero ad impedire (a vantaggio della Società gerente) la riparazione e la sostituzione, a tempo debito, delle parti compromesse.
Sembra che specifiche motivazioni di bieca utilità economica (ingordigia di profitti), avrebbero indotto (danno veniente, lucro cessante) gli ingordi amministratori della Società (quotata in borsa) che aveva in carico la “gestione” di quella struttura, a non chiudere al traffico il ponte.
Pur se tale non tanto ipotetica deduzione appare pressoché accertata, c’è da chiedere il perché taluni equivoci personaggi politici dei decenni scorsi ritennero e decisero di devolvere a degli acclarati speculatori la conduzione di gran parte dell’immenso patrimonio autostradale, costato una marea di miliardi di vecchie lire.
Sta di fatto che mentre detti “privati” hanno lucrato in proprio decine di miliardi (di EURO), le inadempienze, l’approssimata funzionalità di parecchie vitali arterie autostradali, i rischi, i danni emergenti (diretti e indiretti), sono sostanzialmente rimasti a carico della comunità nazionale e, quindi, del contribuente onesto. Un autentico capolavoro di colposa e improvvida gestione della cosa pubblica.
I responsabili politici e istituzionali? Tutti sanno chi sono, dove abitano di casa e a quali congreghe partitiche appartengono.
Ciò a prescindere dal fatto che non sembra sia mai stato discusso e concordato con le latitanti autorità preposte (che, per futili motivi burocratici e per incuria, hanno trascurato i doverosi controlli) alcun piano di emergenza per fronteggiare prevedibili fattori di rischio. S’è appreso, oltretutto, che non esisteva alcuna valida alternativa atta a smistare funzionalmente l’intenso traffico di quell’unica vitale “arteria” che, per negligenza previsionale e per necessità oggettiva, era divenuta una sorta di cordone ombelicale fra due nevralgici settori urbani della operosa Genova.
Anche l’uomo della strada era consapevole della situazione esistente ma, nelle sedi di comando della società concessionaria sono prevalsi ben altri punti di convenienza. In attesa delle appetibili “prospettive” legate alle gare d’appalto per opere di ammodernamento della vetusta e malferma struttura, oltre che per la prospettata costruzione ex-novo di una adeguata “bretella” (la famosa “gronda”) o di nuovi viadotti e ponti, si presume che riprovevoli motivazioni di altri futuri “profitti” (a parte i richiamati esosi “pedaggi”), ebbero a dominare la scena e pesarono parecchio sul verificarsi delle colpose inadempienze.
Oggi, al punto in cui ci si è venuti a trovare dopo il tragico disastro, sarebbe meglio non aggiungere il danno alla beffa caricando, seppure parzialmente, il bilancio statale degli oneri scaturenti dalla avvenuta lodevole pronta ricostruzione, oltre che dalle conseguenze subite dalla economia locale e dalla vasta popolazione interessata.
Si ritiene che siano abbastanza conclamati sia il modo che le addomesticate procedure che hanno dato origine al marciume politico gestionale responsabile della sciagura. La preoccupazione, come già accaduto in sede di precedenti analoghe tristi evenienze, è anche stavolta quella che, presumibilmente, si incontreranno notevoli difficoltà a discostarsi più di tanto dalle discordanti linee tracciate dalle varie segreterie partitiche a difesa dei propri interessi elettorali. A prescindere dalla necessità di evitare che dagli armadi di rispettiva appartenenza venga alla luce qualche raccapricciante “scheletro”.
Non è certo encomiabile che taluni delicati compiti istituzionali si svolgano in funzione della “legge del compromesso” o del principio del “vivi e lascia vivere”. Non parliamo poi se ci si impantana nella giungla della burocrazia, dei pareri delle varie ben foraggiate “Consulte”, delle deduzioni di parte e controparte o, addirittura, del “segreto di Stato”.
Sono già trascorsi tre anni e la verità - quella sacrosanta - non può ancora attendere i consueti tempi lunghi imposti dalla farraginosa legislazione vigente, generata dai Parlamenti succedutisi dal 1948 ad oggi, periodo in cui è stata posta in essere una inverosimile quantità di paletti e barriere in forza di leggi, leggine e decreti attinenti spregiudicati interessi settoriali o riguardanti la manifesta accondiscendenza verso potenti “lobby”.
Valenti giornalisti e cronisti hanno più volte posto in evidenza, in materia, le variegate norme di legge varate per soddisfare vantaggi “ad personam” in favore di taluni ben noti quanto discussi personaggi del gotha imprenditoriale e politico che, per dritto o per torto, sono bene abbarbicati, alla stregua di parassiti cirripedi, al corpo della balena statale.
L’attuale Governo, pur se denominato “del cambiamento”, ha gli strumenti idonei - a parte l’autorità morale e istituzionale - per procedere efficacemente contro i mandanti e gli esecutori dello scempio che da alcuni lustri a questa parte inficia la vita pubblica della Nazione?
Ha la capacità di imporre un coraggioso giro di boa che permetta d’evitare il rischio che la Nazione venga travolta da perigliosi marosi? Potrà reprimere l’ingordigia e la disonestà di ben noti settori vampireschi?
E per chiudere, che dire delle discutibili iniziative concernenti “le commemorazioni di Stato”, per molti versi trasformatisi in una passerella di più o meno illustri personaggi istituzionali, magari più o meno convintamente partecipi, per necessità di scena, dell'unanime sdegno?
Ciò in aggiunta ad una sorta di ostentata solfa di consuete dichiarazioni di circostanza, di studiate omelie di altolocati “principi della Chiesa”, di invocazioni di condanne più o meno gravi (se mai arriveranno), di annunciata speranza per una adeguata rifusione dei danni materiali, morali ed esistenziali subiti dai genovesi coinvolti nel disastro.
Tranne qualche sprazzo di spontaneità verso i politici in carica e qualche meritato plauso per i coraggiosi e instancabili soccorritori, l’ipocrisia ha dominato il forzato iter della manifestazione. Hanno fatto bene quelle accorate famiglie che hanno rinunciato a partecipare e si sono strette in privato nel ricordo dei propri cari, morti per colpa di chi non ha coscienziosamente adempiuto ai propri doveri e di chi non ha saputo vigilare.
Sta di fatto che, pur essendo accaduto il tutto in un palese quadro di flagranza di reato, non s’è avvertito alcun tintinnio di manette nei riguardi dei presunti colpevoli, a prescindere dai sostanziali accertamenti, anche al fine di evitare il possibile inquinamento delle prove. Ha ragione chi pensa che nella bilancia della giustizia non si usi lo stesso peso per tutti?


15 agosto 2021                                             A. Lucchese

 

 

    Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  
Presidente Augusto Lucchese
  e-mail: augustolucchese@virgilio.it