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Genova – Ponte MORANDI - Ennesima tragedia Italiana

E’ del tutto superfluo rifarsi ai particolari del crollo del Ponte ”Morandi” di Genova.  Se ne è tanto parlato e sparlato, discusso magari impropriamente o polemicamente, chiacchierato strumentalmente in TV per riprovevoli fini esibizionistici o di cassetta. Il tutto come da innata abitudine. Ognuno ha detto la sua e non sono mancate le consuete insulse disquisizioni di chi usa Facebook o altri network per ostentare il proprio io. La solita pietra buttata a casaccio nel putrido stagno della ciarlataneria da baraccone.  E’ incorreggibile l’invereconda improntitudine di questi signori web dipendenti.

Viceversa, con dolorosa incredulità, s’è dovuto prendere atto della “assurda” sciagura accaduta in quel di Genova alle ore 11,45 circa del 14 agosto.’ Improvvisamente è venuto giù il “pregiato” e “avveniristico” ponte realizzato a fior di miliardi nel corso del cosiddetto “boom economico italiano”  che sarebbe meglio definire “la greppia della nuova democrazia italiana”. Nell’arco di pochi secondi, s’è sbriciolato alla stregua di un qualsiasi friabile biscotto. Era il vanto della classe politica, tecnica e imprenditoriale degli anni ’60. Onore al merito?

E non si venga a ripetere più di tanto, ad uso degli allocchi e degli ingenui, che adesso si farà di tutto per “accertare rigorosamente le cause e le responsabilità ” che hanno determinato un sì imponente e disastroso crollo.  Le svariate motivazioni (o concause) sono talmente intuibili che non varrebbe la pena disturbare la magistratura, gli esimi accademici delle diverse facoltà di architettura e ingegneria o i più o meno valenti professionisti di settore, per giungere alla scontata conclusione che già da tempo le soprastrutture del ponte erano fortemente stressate a causa dall’abnorme traffico e per la mancanza di adeguati interventi nel rifacimento delle parti a rischio.  Sopra quel ponte passava giornalmente un numero impressionante di vetture d’ogni tipo, di automezzi pesanti e di TIR il cui traffico,  per l’insana bramosia di lucrosi pedaggi, non è stato mai contingentato o smistato lungo altre vie di comunicazione. Da qualche anno a questa parte il transito degli odierni mastodontici autotreni s’è oltretutto moltiplicato a dismisura (sia come numero che come tonnellaggio) rispetto ai parametri di cui s’era tenuto conto in fase progettuale. Aggiungasi i fattori ambientali altamente inquinanti che hanno pesantemente inciso sull’usura dei materiali impiegati, ed ecco il perché  le arcate, i piloni e i tiranti (i cosiddetti “stralli), realizzati in cemento armato “epocale”, hanno subito un ovvio quanto prepotente logoramento.  Sembra parecchio attendibile, infatti, che il cedimento non sia stato causato da smottamenti o scivolamenti dei basamenti del ponte, bensì ad un collasso strutturale della parte alta dello stesso.  Si presume, in particolare, che uno degli “stralli” della sezione centrale (sembrerebbe il n°9) abbia subito un improvviso collasso sia a causa del progressivo deterioramento dei materiali cementiferi di rivestimento che della costante ossidazione della componente ferrosa.

Purtroppo, però, le consuete remore decisionali e lungaggini amministrativo-burocratiche (schematizzazione, modalità e tempi lunghi  delle “gare d’appalto”) hanno impedito la riparazione e la sostituzione, a tempo debito, delle parti compromesse.

Motivi di bieca utilità economica (ingordigia di profitti), inoltre, avrebbero indotto (lucro cessante, danno veniente) gli ingordi amministratori della Società “privata” quotata in borsa - cui è affidata la gestione di una buona parte della pubblica rete autostradale italiana - a non chiudere al traffico il ponte. Pur se la risposta è pressoché scontata, c’è da chiedere il perché taluni equivoci personaggi politici dei decenni scorsi ritennero e decisero di devolvere a degli acclarati speculatori la gestione di gran parte dell’immenso patrimonio autostradale costato una marea di soldi. Sta di fatto che mentre detti “privati” hanno lucrato in proprio decine di miliardi, le inadempienze, l’approssimata funzionalità di parecchie vitali arterie autostradali, i rischi, i danni emergenti (diretti e indiretti),  sono sostanzialmente a carico della comunità nazionale e, quindi, del contribuente onesto. Un autentico capolavoro di colpevole gestione della cosa pubblica. I responsabili politici e amministrativi?  Tutti sanno chi sono stati e a quali congreghe partitiche appartengono.

Ciò a prescindere dal fatto che non sembra sia mai stato concordato con le latitanti autorità istituzionali (che, per futili motivi burocratici e per incuria, hanno trascurato i doverosi controlli) alcun piano di emergenza per fronteggiare prevedibili fattori di rischio. S’è appreso, infatti, che in atto non esiste alcuna valida alternativa atta a smistare funzionalmente l’intenso traffico di quell’unica vitale “arteria” che,  per negligenza istituzionale e per necessità oggettiva, era divenuta una sorta di cordone ombelicale fra due nevralgici settori urbani della operosa Genova.   

Anche l’uomo della strada era consapevole della situazione esistente ma, nelle sedi di comando della società concessionaria sono prevalsi ben altri punti di vista.  In attesa delle appetibili “prospettive” legate alle gare d’appalto per opere di ammodernamento della vetusta e malferma struttura, oltre che per la prospettata costruzione ex-novo di una adeguata “bretella” (la famosa “gronda”) o di nuovi viadotti e ponti, si presume che riprovevoli motivazioni di contingenti “profitti” (leggi esosi “pedaggi”) hanno dominato la scena e determinato le colpose inadempienze.

Oggi, al punto in cui ci si è venuti a trovare dopo il tragico disastro, sarebbe meglio non aggiungere il danno alla beffa caricando il bilancio statale degli oneri conseguenti alla istituzione di eventuali commissioni d’inchiesta. Si ritiene che siano abbastanza conclamati il tempo, il modo e le addomesticate procedure che hanno dato origine al marciume gestionale responsabile delle odierne sciagure.  Oltretutto, i componenti delle stesse, come già accaduto in sede di precedenti analoghe  tristi evenienze, anche stavolta troverebbero notevoli difficoltà a  discostarsi più di tanto dalle linee guida pregiudizialmente tracciate dalle varie segreterie partitiche a difesa dei propri interessi elettorali o per evitare che dagli armadi di rispettiva appartenenza venga alla luce qualche raccapricciante “scheletro”.  Non è certo encomiabile che si possa addivenire a svolgere taluni delicati compiti istituzionali in funzione dell’obbrobrioso rispetto della “legge del compromesso” o del principio del “vivi e lascia vivere”. Non parliamo poi se ci si impantana nella giungla della burocrazia, dei pareri delle varie ben foraggiate “Consulte”, delle deduzioni di parte e controparte o, addirittura, del “segreto di Stato”. La verità - quella sacrosanta - non può attendere i consueti tempi lunghi imposti dalla farraginosa procedura legislativa vigente, generata dai Parlamenti succedutisi dal 1948 ad oggi. E’ stata posta in essere una inverosimile quantità di paletti e barriere in forza di leggi, leggine e decreti attinenti spregiudicati interessi settoriali o riguardanti la manifesta accondiscendenza verso potenti “lobby”.  Valenti giornalisti hanno più volte posto in evidenza, altresì, quelle varate per soddisfare vantaggi “ad personam” di taluni ben noti quanto discussi personaggi del gotha imprenditoriale e politico che, per dritto o per torto, è bene attaccato, alla stregua dei cirripedi, al corpo della balena statale. 

L’attuale Governo, pur se denominato “del cambiamento”, ha gli strumenti idonei - a parte l’autorità morale e istituzionale - per procedere efficacemente contro i mandanti e gli esecutori dello scempio che da alcuni lustri a questa parte inficia la vita pubblica della Nazione?  Ha la capacità di imporre un coraggioso giro di boa che permetta d’evitare il rischio d’essere travolta da perigliosi marosi?   Potrà reprimere l’ingordigia e la disonestà di ben noti settori vampireschi?

E per chiudere, che dire della discutibile iniziativa concernente i “funerali di Stato”, per molti versi trasformatisi in una passerella di più o meno illustri personaggi istituzionali, magari compunti per necessità di scena. Ciò in aggiunta ad una sorta di ostentata solfa di consuete dichiarazioni di circostanza, di studiate omelie di altolocati “principi della Chiesa”, di invocazioni di condanne più o meno gravi (se mai arriveranno) per gli eventuali responsabili, di annunciata speranza per un pronta riparazione degli incalcolabili danni materiali, morali ed esistenziali incolpevolmente subiti dai genovesi coinvolti nel disastro. Tranne qualche sprazzo di spontaneità verso i politici in carica e qualche meritato plauso per i coraggiosi e instancabili soccorritori, l’ipocrisia ha dominato il forzato iter della manifestazione. A molti sono apparsi palesemente fuori luogo gli applausi che hanno scandito taluni momenti delle onoranze funebri.  Hanno fatto bene quelle accorate famiglie che hanno rinunciato a partecipare e si sono strette in privato nel ricordo dei propri cari, morti per colpa di chi non ha coscienziosamente adempiuto ai propri doveri e di chi non ha saputo vigilare.

Pur essendo accaduto il tutto in un palese quadro di flagranza di reato, non s’è avvertito alcun tintinnio di manette nei riguardi dei probabili colpevoli, a prescindere dai successivi sostanziali e doverosi accertamenti, anche al fine di evitare il possibile inquinamento delle prove.  Ha ragione chi pensa che la bilancia della giustizia non usa lo stesso peso per tutti?

19 agosto 2018                                                                                A. Lucchese

 

 

 

Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  
Presidente Augusto Lucchese
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