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Resoconto della manifestazione svoltasi
nella Sala conferenza della Cgil di Via dei Crociferi a Catania, in collaborazione  con l’Associazione Sicilia-India,
in occasione della presentazione del libro “La Straula di Don Nenè”  dell’ Avv. Pino Ferrante.

Relazione tenuta dal Presidente dell’Associazione ETHOS,  Augusto Lucchese

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LA STRAULA DI DON NENE’

 

Ringrazio affettuosamente il carinissimo amico, Avv. Pino Ferrante,  per avermi assegnato i compiti a casa. Pur convinto di non essere in grado di competere con chi è sicuramente più idoneo di me,  ho accettato di cimentarmi nell’agone sociale e culturale connesso alla presentazione del suo ultimo impegno letterario, LA STRAULA DI DON NENE’.

     Con Pino, come del resto con qualche altro compaesano presente in sala, ci conosciamo dal lontano 1947, quando nella nostra amata Enna, si può dire ancora con i pantaloncini corti, facevamo parte della Associazione giovanile “Giosuè Borsi” che, pur se inserita in un contesto operativo prettamente cattolico, non era certo improntata al bigottismo o alla supina sottomissione a talune ristrette vedute di una buona parte della gerarchia eccliesiastica. Anzi tutt’altro, eravamo i contestatori dell’epoca.  

     Pino Ferrante è certamente uno scrittore che riesce a coinvolgere i lettori con l’incalzante ritmo delle sue profonde riflessioni e delle sue argute osservazioni in campo sociale e civile o, talvolta, in campo religioso.  Egli affida il tutto, con impareggiabile maestria, ai personaggi che il suo realistico discernimento colloca, di volta in volta, al centro dei suoi racconti.  Come non ricordare, a tal proposito, le sue precedenti pubblicazioni: 

“DONNA DI VOGLIA 1943”,

“I RACCONTI DI ROCCADISOPRA”,

“UN TRENO LUNGO PIU’ DI CENT’ANNI DA ENNA  FINO A CASTROGIOVANNI”,

“IL POLITEISTA DI PROVINCIA”.

      Penso che molti dei presenti hanno letto i libri di Pino Ferrante ma invito chi non l’avesse fatto sin’ora, specie i giovani, a procurarseli e a leggerli con attenzione. Non sarà certo una fatica, anche perché, provatamente, sono tutt’altro che soporiferi.  

Ritengo altresì doveroso manifestare la mia grande simpatia e ammirazione per un personaggio che onora il mondo culturale e artistico del nostro habitat siciliano e la cui meritatissima notorietà s’è ormai affermata a livello internazionale e intercontinentale. Mi riferisco al qui presente Dr. Alfio PATTI che mi onoro annoverare fra i più stimati amici. Egli, con impareggiabile verve, con la sua brillante performance artistico-musicale, con la prontezza espressiva frutto di la straordinaria capacità di miscelare sapientemente l’antico e tradizionale linguaggio dialettale con la lingua madre italiana, riesce sempre a coinvolgere ed entusiasmare qualsivoglia uditorio.  

Stasera, fra l’altro, è da tributargli un ulteriore particolare merito in relazione alla instancabile e poliedrica attività culturale.  Con il suo consueto dinamismo ha curato l’organizzazione e la realizzazione di questo incontro dedicato alla presentazione del libro di Pino Ferrante, libro che, oltretutto, ha visto la luce anche per merito della Associazione Culturale Radiusu Edizioni di San Gregorio di CT, fiore all’occhiello del nostro Alfio Patti, l’Aedo dell’Etna.  

Un saluto particolare va anche rivolto al caro amico Luigi Troja Presidente della Associazione Italia-India.  Egli è per tutti noi maestro per merito e antonomasia. La sua vita, la sua saggezza di matrice orientale, il suo impegno civico e sindacale, la sua scelta ideologica e spirituale, le sue straordinarie doti supernormali e marziali lo rendono un esempio da seguire. Mi onoro di essere suo amico dal lontano 1973.

Il ringraziamento va doverosamente esteso a tutti i partecipanti, molti dei quali sono giunti anche da lontano. Mi riferisco agli ennesi presenti in sala.

Chiusa la parentesi e ripromettendomi d’essere breve e sperabilmente conciso, è d’uopo passare subito all’argomento principale della riunione: la presentazione del delizioso libro di Pino Ferrante, LA STRAULA DI DON NENE’.

E’ da dire che il termine “straula” è pressoché sconosciuto alla gran massa della gente.

Molti mi hanno chiesto cosa fosse la “straula”.

Ai tempi dell’agricoltura arcaica era un diffuso attrezzo agricolo composto da due lunghe assi di legno su cui poggiava un piano di tavole fissate trasversalmente con robusti rinforzi in ferro e grossi chiodi.  Le due assi presentavano, in testa, una sorta di curvatura atta a consentire il più agevole superamento degli avvallamenti del terreno. L’attrezzo non aveva ruote e, trainato da buoi o muli, scivolava faticosamente sul terreno. Serviva, essenzialmente, per lo spostamento da un’ area all’altra degli appezzamenti terrieri dei covoni di grano o di altri materiali. Non era certo un moderno fuoristrada ma la gente di campagna d’allora, adusa e temprata ad ogni fatica, sapeva come impiegare al meglio quel rudimentale mezzo.

Sulla copertina del libro fa bella mostra di se l’immagine stilizzata di una straula, opera di Maria Signorino.

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La trama del romanzo è stata definita, dallo stesso autore,  una “MICROSTORIA” e in ciò, dato il suo rapido svolgimento, non si può non essere d’accordo.

Non è, in ogni caso, un racconto fine a se stesso, di stampo banale o finalizzato a mettere in luce la cronaca di un semplice episodio di vita locale.

Trattasi, invece, di un libro di significativo spessore morale e civile, oltre che provocatorio.

E’ magistralmente improntato a fare emergere molti degli aspetti deteriori di un ambiente locale che trae alimento da quel certo tipo di politica profondamente radicatisi nel contesto della società cittadina di qualche lustro addietro e poi diffusasi a macchia d’olio in ogni dove. Aspetti deteriori che sono tuttora una palla al piede per l’agognato sostanziale miglioramento del contesto sociale, politico e strutturale in cui vive e opera la gran massa dei siciliani.    

Pur nella sostanzialità dei suoi contenuti,  la narrazione è molto scorrevole e concisa, forse un po’ scarna ma parecchio coinvolgente. L’autore sfodera brillantemente un linguaggio senza fronzoli, senza virtuosismi letterari, senza appesantimenti di sapore accademico, senza ricercatezze linguistiche. Un linguaggio che delizia specie quando il discorso s’avventura nel grottesco.

Pino Ferrante, ligio alla sua formazione culturale e professionale, anche stavolta non ha impiegato termini affettati, le cosiddette “parole difficili” cui molti autori ricorrono frequentemente nella speranza che i lettori restino colpiti dalla loro "superiore" sapienza.

Ha saputo impiegare, invece, oltre che la sua innata vocazione di versatile scrittore, la sua grande capacità d’esternare con chiarezza il suo pensiero, le sue riflessioni critiche, le sue deduzioni.  Ciò rappresenta il suo essere coerente, anche quando va controcorrente o quando, pur se animosamente, si trova a discutere con chi è portatore (sano o in mala fede) di assolutistici preconcetti, di vacui pregiudizi, di poveri e superficiali luoghi comuni.

Il personaggio chiave del suo ultimo libro, Paolo, è un ragazzo di ben modeste origini (il padre è un “mastro muratore” e la madre una tradizionale “casalinga”.  I sacrifici dei genitori gli avevano consentito di “studiare” e dopo tanti anni di volitivo impegno e senza averne perso per strada alcuno era giunto finalmente, soddisfatto e orgoglioso, a conseguire il diploma di geometra.

L’interessato, i parenti, gli amici, tutti felici e contenti per il traguardo raggiunto dal loro pupillo, ritenevano, adesso, che la strada per un pronto inserimento nel campo lavorativo, fosse così spianata.  Ben presto, tuttavia, dovranno rendersi conto che i sogni sono una bella cosa ma il risveglio, molto spesso, è parecchio deludente. 

Erano ignari della controversa realtà che s’era venuta a formare, nell’ambito della cosiddetta “società civile”, negli anni dell’avvento dell’invocata “democrazia”, alla fine  della dittatura fascista e dopo il disastroso esito dell’assurda guerra subita.

Nella sostanza, con il cambio del sistema politico, i mali di fondo della società non erano stati affatto debellati e forse, per certi versi, qualcuno s’era anche acuito.

Dietro l’apparenza della “libertà” - propugnata ma parecchio strumentalizzata  dai rinati partiti politici - era cresciuta la cancrenosa piaga della settarietà, della ingordigia affaristica, del conflitto d’interessi, dell’abuso d’ufficio, dell’esercizio del potere per scopi elettorali o, peggio ancora, per fini clientelari o personali.

Nell’infido mondo della politica - o di ciò che si voleva spacciare per politica -, s’era ormai radicata la tendenza a favorire le cordate dei galoppini, degli amici, degli amici degli amici, del parentado diretto e indiretto anche oltre il settimo grado. Il tutto in una greve atmosfera di quasi immunità e impunibilità. I potenti imponevano la propria linea e gli altri dovevano seguirla, pena l’esclusione dalla congrega e la perdita dell’eventuale posizione di vantaggio acquisita.

Paolo è cresciuto in un ambiente in cui i valori della famiglia, del buon vicinato, dell’amicizia leale, del rispetto per gli anziani, ancora dominano. In esso, infatti, merita massima considerazione la figura del nostro “Don Nenè”, che l’autore definisce “l’anziano tribuno della plebe”. Tutti l’ascoltano con rispetto e deferenza.

Paolo è un puro idealista, concettualmente ben lontano da intrecci poco trasparenti e, pertanto, è parecchio doloroso per lui  prendere atto di quanto non basti essere bravo, competente, onesto, laborioso per costruirsi un proprio spazio lavorativo. Tuttavia non vuole accettare in toto le parole di don Nenè che gli aveva ricordato d'appartenere ad una piccola comunità fatta di padroni e di “sutta” che corrono il rischio di rimanere per sempre “sutta”.

Paolo vuole infrangere il muro delle difficoltà solo con le sue capacità, con la sua dignità, con il suo costante impegno. Ha deciso pertanto di dare vita ad una cooperativa edilizia che spera possa avvantaggiarsi delle normative vigenti in materia di contributi a fondo perduto e di agevolazioni fiscali e finanziarie. Spera che essa possa essere lo sbocco di una valida intrapresa lavorativa.  Non è neppure lontanamente dell’avviso di prendere in considerazione l’alternativa di un eventuale allontanamento dalla propria terra e non vuole salire sulla “freccia del sud”, su quel treno che in moltissimi casi, come  l’autore ci ricorda, era senza ritorno.

Ciò a prescindere da quelle differenze ambientali, dallo “squilibrio territoriale” sapientemente tratteggiato dallo stesso Pino Ferrante nel suo precedente libro “Il politeista di provincia”.

Paolo, ha le sue irremovibili convinzioni ed in ciò è magnificamente assecondato dalla sua “ragazza”, la graziosa Maria fresca di gioventù e “maestrina appena diplomata”.

Non ritengo giusto raccontarvi qui l’intera trama del romanzo. Dovete scoprirla da soli leggendolo d’un fiato per come esso merita.

Non posso, però, non soffermarmi sull’aspetto antropologico di alcuni dei personaggi chiave del racconto.

Primo fra tutti lo spregiudicato FREGOLA, un autentico “sautafossi”, sbrigafacenni e tangentaro, da molti inteso come “l’avvocato” per via della sua scaltrezza nel superare difficoltà sostanziali e burocratiche d’ogni natura, anche ungendo a dovere gli ingranaggi del sistema.

Il suo compenso esentasse si misura con percentuali a doppia cifra rispetto all’ammontare degli “affari” portati a compimento mediante quel delinquenziale metodo basato, oltretutto, sulla connivenza di politici, politicanti e addetti ai lavori. E’ una encomiabile cesellatura la descrizione che di esso fa l’autore.

Paolo, in ogni caso,  non stima il Fregola e avrebbe voluto starsene alla larga.  

Frattanto, sempre speranzoso che potesse verificarsi un miracolo di legalità circa il finanziamento della cooperativa, lavora umilmente come semplice muratore.

Anche Maria è dovuta ricorrere e sottostare, per trovare uno spiraglio occupazionale,  alla necessità di  una “raccomandazione”, stavolta sotto forma di intercessione di un qualificato rappresentante della Santa Romana Chiesa, il Parroco.

Le conseguenti vicissitudini - delle quali potrete avere debita conoscenza leggendo il libro - inducono ad alcune riflessioni a sfondo sociologico :

·   la prima relativamente alla quasi necessità di dover ricorrere alla raccomandazione per ottenere un qualcosa che spetta di diritto o che rientra nella normalità delle cose; dal che, nell’immaginario collettivo, s’è insinuata da tempo la tendenza ad attribuire alla solita presunta “spintarella” anche l’affermazione personale di chi, ad esempio, ha meritato la vincita di un concorso, un giusto riconoscimento, un avanzamento di carriera.

·    la seconda riguarda la losca maniera di truffare i lavoratori facendo la cresta (nel caso di Maria ben il 50%) sulla giusta retribuzione spettante;  

·    la terza riguardante l’indegno comportamento di chi è preposto a funzioni pubbliche nella misura in cui, in presenza di una palese ingiustizia o addirittura di un reato, cerca di cambiare le carte in tavola o di ricorrere a dei sotterfugi (anche ricattatori) per proteggere il complice-colpevole; quest’ultimo, purtroppo, è l’aspetto deteriore di un sistema tuttora parecchio diffuso nell’ambito delle strutture istituzionali e dei centri di potere;

·    infine, l’amara presa d’atto del subdolo modo con cui i potenti di turno infieriscono sui deboli.

Paolo e Maria subiscono l’impatto con tale realtà ambientale solo apparentemente connessa con una più progredita “civiltà”. Una realtà che sta inquinando e corrodendo i valori, le sane tradizioni, l’etica stessa della società.

Ogni cosa si sviluppa all’insegna della frenetica corsa al consumistico benessere materiale e l’autore fa giustamente osservare che fra i desideri primari delle nuove generazioni v’è quello di riuscire ad avere sottocasa almeno una “500”.  Anche se la si deve pagare a cambiali, visto che allora non c’erano le finanziarie pappone dei nostri giorni.

I politici di professione e i politicanti di scarto, più o meno raccattati e invadenti, sfruttano ignominiosamente lo scenario di quegli anni che pur facendo crescere il PIL era pura forzatura farlo assurgere a “miracolo economico”.

Era, viceversa, per come poi di fatto s’è constatato, solo una pericolosa distorsione del più sano e prudente sistema di vita sino ad allora invalso fra la gente.

In tale quadro s’inserisce perfettamente la pennellata con cui l’autore descrive un amico di Paolo, Luciano, inteso “Gramsci” per le sue convinzioni marxiste e alquanto staliniane. Ideali ed estremismi a parte, Luciano è comunque un leale e buon amico.

Nella vicenda paesana sapientemente narrata, Pino Ferrante mette palesemente anche qualcosa del suo modo d’essere e del suo pensiero nel far risaltare e nel giudicare gli aspetti poco edificanti di una certa parte della società.  

Paolo, a fronte degli indegni accordi raggiunti in sordina fra il Fregola e gli altri soci della Cooperativa, è costretto a prendere posizione contro costoro. E’ apertamente spalleggiato, in ciò, da Luciano.

Gli ingordi politicanti, però, sanno come usare a dovere l’arma del ricatto e il mefistofelico Fregola ottiene l’incarico ufficiale di curare, alle sue condizioni, le sorti della Cooperativa.

Ed ecco che, in contrasto con le categoriche convinzioni di Paolo, ritorna il classico motivo del “cu nesci riesci” pur se costretti a sottostare all’umiliante “forca caudina” dell’espatrio. New York assimila Paolo e Maria e li lancia verso una condizione di vita agiata e soddisfacente.

Il tempo, tuttavia, non è sempre un buon rimedio ai mali della società e i personaggi ambigui e deleteri come il Fregola non sembra siano una razza in via d’estinzione.

Per Luciano, invece, la balorda società fatta di arrivisti e approfittatori, diviene quasi un incentivo a cambiare pelle mettendo da parte i vuoti idealismi e i motivi dell’antica lotta del proletariato contro i “padroni”.  Superata una dura fase di crisi esistenziale si ritrova, per grazia ricevuta, nella felice posizione di dirigente minerario a carico delle finanze regionali e poi di “baby pensionato” con un appannaggio mensile di tutto rispetto.

Dopo qualche tempo, quando Paolo e Luciano tornano ad incontrarsi è un fiorire di contestazioni da parte del primo e di tornacontistiche spiegazioni da parte del secondo.

Da che mondo e mondo, del resto, tutto seguita a svolgersi alla maniera di sempre.

Sono molti coloro che salgono sul treno della convenienza e spesso, come dice l’autore, neppure pagano il biglietto, mentre sono sempre più rari coloro che per non venire meno ai propri ideali e ai propri assiomi esistenziali preferiscono fare a piedi la disagiata e talvolta irta strada dell’esistenza, più o meno breve che possa essere. 

  In conclusione la famosa straula su cui tutti siamo imbarcati, non solo avrebbe bisogno delle ruote per procedere verso migliori orizzonti di civiltà pariteticamente condivisa, ma avrebbe bisogno di un coraggioso e valente guidatore, magari alla stregua di un Mandela.

Con tutto rispetto per la patetica e ieratica figura del don Nenè di Pino Ferrante, sarebbe oggi necessario che qualcuno riuscisse ad incentivare uno scatto d’orgoglio dei siciliani al fine di rompere le catene della sottomissione ai poteri affaristici, malavitosi e, perché no, politici, siano essi strettamente locali che di vertice regionale e nazionale.

13 novembre 2013                                                             Augusto Lucchese
 

Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  
Presidente Augusto Lucchese
- e-mail: augustolucchese@virgilio.it