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				ATTI CONVEGNO 
				23 febbraio 2002  GIUDICI ONORARI 
				Gli atti del convegno di Catania del 23 febbraio 2002 
				organizzato dell'associazione regionale siciliana giudici 
				onorari aggregati sezione della corte d’appello di cataniaSommario:
 1. Le sezioni stralcio dei tribunali e la durata ragionevole dei 
				processi”(presentazione di L. Barreca);
 2. Introduzione ai temi del convegno del g.o.a. giuseppe 
				ferrante;
 3. Le sezioni stralcio dopo tre anni e la lentezza della 
				giustizia italiana del g.o.a. Francesco furnari ;
 4. Relazione di sintesi del convegno di giuseppe petrantoni 
				presidente associazione regionale g.o.a.;
 5. La riforma della giustizia civile alcuni spunti di 
				riflessione in tema di efficienza nella p.a di francesco 
				ferrante;
 6. Sulle “sezioni stralcio” dei tribunali civili intervento di 
				giancarlo scardillo;
 7. Mozione dei giudici onorari aggregati delle sezioni stralcio 
				del tribunale di catania.
 
 
 
 ***
 Atti del convegno sulla magistratura onoraria
 (presentazione di L. Barreca)
 Anche se ho cessato di far parte da qualche anno della 
				magistratura onoraria, ho mantenuto un forte legame con una 
				categoria che, come ebbi modo di riferire anche in passato, era 
				ed è utilissima alla soluzione dei problemi della giustizia.
 I Giudici Onorari Aggregati da qui a breve concluderanno il loro 
				mandato, esaurendo il carico che era stato loro affidato.
 I risultati complessivi, anche alla luce delle fisiologica 
				quantità delle impugnazioni, sono certamente ottimali, anche in 
				termini di qualità finale del prodotto “sentenza”, e non solo in 
				termini di “rapidità” della definizione dei processi.
 Sotto il profilo economico, i costi sono davvero irrisori, se 
				paragonati a quelli della magistratura ordinaria.
 Ho quindi ritenuto opportuno render noti tali risultati 
				attraverso le pagine della nostra rivista, ospitando le 
				relazioni che seguono.
 Tali considerazioni, sono ampiamente sviluppate nella relazione 
				del G.O.A. Ferrante, che ha aperto i lavori.
 Da Ultimo, I G.O.A. hanno ritenuto di approvare una mozione, con 
				cui invitano il governo a non disperdere ed a non vanificare la 
				professionalità acquisita.Condividendo tali riflessioni, 
				aggiungo che sarebbe davvero uno spreco, dopo aver comunque 
				contribuito alla formazione di una classe di “magistrati 
				onorari”, che ha mostrato di dare buoni risultati, vanificare 
				tutto e disperdere il patrimnio acquisito.
 La sete di giustizia in Italia è enorme, siamo uno dei paesi 
				dove è più alto in assoluto il livello di contenzioso.
 Sicchè, vi è e vi sarà certamente uno spazio da ritagliare in 
				favore dei Giudici Onorari Aggregati, che possa contribuire al 
				contempo ad affrancare il carico di lavoro dei Giudici Togati.
 LINO BARRECA
 --**--
 ASSOCIAZIONE REGIONALE SICILIANA GIUDICI ONORARI AGGREGATI
 Sezione della Corte d’Appello di Catania
 ATTI DEL CONVEGNO TENUTOSI A CATANIA IL
 23 FEBBRAIO 2002
 SUL TEMA:
 “Le Sezioni Stralcio dei Tribunali e la durata ragionevole dei 
				processi”
 INTRODUZIONE AI TEMI DEL CONVEGNO
 Del G.O.A. Giuseppe Ferrante
 
 Porgo i saluti ed i ringraziamenti, anche a nome dei miei 
				colleghi, ai relatori, alle Autorità ed agli intervenuti per la 
				loro partecipazione a questo convegno, ove ci accingiamo a 
				dibattere temi già oggetto di importanti e frequenti 
				appuntamenti tenutisi a Catania ed in altre sedi. Mi è gradito, 
				prima di iniziare i lavori, formulare a S.E. il dott. Alicata i 
				nostri auguri per il suo compleanno, che coincide con la 
				conclusione della sua lunga carriera, illuminata sempre da una 
				fede intensamente vissuta, svoltasi con esemplare ed operosa 
				dedizione ed elevata professionalità nei ruoli più diversi ed 
				importanti fino a quello di Primo Presidente di questa Corte di 
				Appello. Di lui, nelle occasioni di incontro, con mio grande 
				rammarico recenti e poche , ho avuto modo di apprezzare, in 
				special modo, la saggezza, il garbo e, soprattutto, la umanità 
				associata ad una salda umiltà, virtù necessarie per rendere 
				Giustizia con prestigio, autorevolezza ed efficacia e per 
				dirigere con successo l’importante distretto di Catania. Siamo 
				stati testimoni commossi dello spessore non comune della sua 
				spiritualità mercoledì, quando Lei ha di getto, con il cuore in 
				mano, pronunciato il suo discorso di commiato, denso di 
				sincerità e, nel contempo, di profonda cultura. Le mie non sono 
				frasi di circostanza, ma un sintetico ed unanime giudizio che ho 
				potuto raccogliere nel foro catanese e presso gli appartenenti 
				all’Ordine giudiziario. Le auguro, sig. Presidente, un futuro 
				lungo e sereno, assicurandoLe che Lei continuerà ad essere di 
				guida e di esempio a tutti coloro hanno avuto il piacere e la 
				fortuna di conoscerla, giovani e meno giovani.
 Nel momento in cui si discute nel Paese della riforma del 
				processo civile e della sua ragionevole durata, mi è apparso 
				naturale che anche noi Giudici aggregati sottoponessimo alla 
				pubblica opinione il nostro punto di vista, elaborato sulla 
				scorta delle esperienze maturate a tre anni dal funzionamento 
				delle Sezioni Stralcio, che ci hanno consentito di osservare da 
				vicino e nel suo interno il sistema della Giustizia civile ed i 
				suoi problemi. Il nostro intento è di contribuire, uti cives, al 
				lavoro di ricerca e di studio in corso di svolgimento in sede 
				ministeriale, nell’associazione nazionale Magistrati e nelle 
				università, circa i modi e gli strumenti con cui procedere al 
				suo necessario ed improcrastinabile risanamento. Ci è estranea 
				la voglia di protagonismo o l’ambizione di carriera, per ovvie 
				ragioni di età. Ci spetta, però e quantomeno, il diritto ed il 
				dovere di interloquire perché ci consideriamo il manipolo dei 
				settecento Giudici, che, male equipaggiati, forniti solo di 
				mezzi propri e di buona volontà, hanno impedito, lavorando sodo 
				insieme al resto della Magistratura, il “disastro” nella 
				Giustizia Civile. Memore degli insegnamenti di padre Davide 
				Maria Turoldo, che ho avuto la fortuna di conoscere negli anni 
				70, oso dire che la nostra “paupertas” di risorse ci ha aiutato 
				ad essere un tantino virtuosi. Fatta questa premessa, vengo al 
				tema del convegno.
 L’essere nella Comunità Europea ha comportato per lo Stato 
				italiano l’obbligo anche, fra numerosi altri di natura economica 
				e finanziaria, di osservare diversi vincoli giuridici fissati 
				dagli organi comunitari nell’interesse della pacifica e civile 
				convivenza e della crescita morale ed economica dei cittadini. 
				Uno di questi è quello di rendere, nella più rigida salvaguardia 
				della effettiva autonomia ed indipendenza dell’ordine 
				giudiziario, il nostro apparato di giustizia, fatto di schemi 
				organizzativi superati ed, a volte, arcaici e, per questo, 
				inefficienti, capace di giusto processo, che “giusto” non può 
				mai essere se i suoi tempi superano ogni civile e paziente 
				ragionevolezza, come purtroppo finora è avvenuto ed avviene. Di 
				fronte a questa gravissima insufficienza del sistema, che può 
				essere causa, insieme ad altre, di indebolimento delle strutture 
				sociali e democratiche del Paese, quasi “obtorto collo”, lo 
				Stato Italiano è stato costretto a correre ai ripari ed 
				intervenire varando importanti ed incisive riforme. E’ stato, 
				quindi, riformulato l’art.111 della Costituzione, laddove si è 
				affermato il principio ed il diritto del cittadino alla durata 
				ragionevole di ogni processo, e si è poi varata la legge 
				24.3.2001 n.89, nota come legge Pinto, che ha dato attuazione, 
				fra l’altro, alla convenzione per la salvaguardia dei diritti 
				dell’uomo.
 Le Sezioni Stralcio sono nate, con un parto molto sofferto e 
				contrastato, prima ancora del varo di queste importantissime 
				riforme stante l’esigenza, non più rinviabile, di anticipare 
				l’attuazione del citato principio procedendo alla eliminazione 
				dell’arretrato civile formatosi fino al 1995, col proposito di 
				chiudere definitivamente una fase storica della Giurisdizione, 
				che non era stata in grado, fino a quel momento, di 
				corrispondere adeguatamente ai bisogni di giustizia dei 
				cittadini, e di dare inizio, in concomitanza della nascita del 
				Giudice unico, ad una nuova fase che fosse esente da ritardi ed 
				insufficienze. Il primo obiettivo si può ritenere quasi del 
				tutto raggiunto, essendo stato eliminato prima dei tempi 
				previsti ben 4/6 dell’arretrato, il secondo un po’ meno alla 
				luce dei dati statistici, da cui si ricava che nelle cancellerie 
				civili, successivamente al 1995, si va accumulando altro 
				arretrato, nonostante vi sia stato un apprezzabile aumento della 
				produttività. Una delle cause dei ritardi è certamente la 
				destinazione al settore penale di molti giudici.
 Ciò atteso, a me corre l’obbligo, quale Giudice aggregato più 
				anziano, fornire in questa sede gli elementi conoscitivi utili 
				per stabilire se le Sezioni stralcio ed, in particolare, le due 
				di Catania, quale espressione di uno specifico ed importante 
				segmento della giurisdizione, abbiano o meno dato o contribuito 
				a dare una efficace risposta a questa domanda di Giustizia e con 
				quali oneri per lo Stato, domanda che attende, in non pochi 
				casi, da oltre 10 anni. Ho elaborato quindi delle tabelle , che 
				vi illustro:
 Tabella n. 1- Da essa si ricava che dal marzo 1999 al 31.1.2002 
				le due Sezioni hanno definito circa 8.100 cause, di cui 4.650 
				con sentenza, su un originaria pendenza di 11.803 cause. Il 
				collega Farina del Tribunale di Catania mi ha comunicato che 
				anche in quella Sezione si è registrata una riduzione delle 
				pendenze iniziali da 6257 cause a 1726 a tutto il 13.2.2002-
 Tabella n. 2- Da essa emerge che il numero delle impugnazioni 
				avverso le sentenze emesse dalle Sezioni deve ritenersi 
				fisiologico. Ho limitato la mia personale indagine sull’anno 
				2000 per l’ovvio motivo che le impugnazioni avverso tali 
				sentenze sono ormai improponibili. Su 1704 sentenze, ne 
				risultano impugnate soltanto n. 254, tra il 14%-15% circa-. Tale 
				campione appare ampiamente rappresentativo anche per gli altri 
				anni.
 Tabella n. 3- Si è potuto stabilire che per ciascuna sentenza è 
				stata riscossa mediamente un’imposta di £.1.000.000- Lo Stato 
				ha, quindi, incassato, ad oggi, 4 Miliardi e 650 milioni di 
				lire. Sono stati anche espressi gli effetti indotti dalla 
				definizione di questi processi, stabilendo che, fissato per 
				difetto il valore medio per controversia pari a £.100 milioni, 
				la comunità locale ha goduto dei vantaggi relativi 
				all’immissione di capitali nel circuito commerciale e produttivo 
				di circa 500 miliardi di lire, senza contare gli effetti 
				economici determinati dalla chiusura delle altre cause definite 
				senza sentenza. Gli onorari liquidati , indicati per difetto in 
				£.10 milioni per controversia, ammontano a £.50 miliardi, su cui 
				gravano l’iva al 20% e l’irpef media del 30%- Ha inoltre 
				incassato, per diritti di cancelleria ed imposta di bollo, 
				all’inizio e nel corso della causa, non meno di £.350.000 per 
				controversia.
 Tabella n. 4 – Da essa si ricava che, per il funzionamento delle 
				Sezioni stralcio di Catania, lo Stato ha speso in tre anni la 
				somma complessiva di £.1.463.000.000 circa, pari ad una quota 
				infinitesimale delle somme che lo Stato ha incassato quale 
				prezzo del servizio Giustizia espletato dalle Sezioni, pur 
				escludendo gli altri effetti finanziari indiretti ed indotti. 
				Sia detto, per inciso e per coerenza con quanto da me sostenuto 
				in precedenti scritti, che l’eventuale aumento dell’indennità 
				annuale fissa lorda non provocherebbe un aumento della 
				produttività dei G.O.A., ma, probabilmente ne causerebbe la 
				diminuzione. E’ di comune esperienza che lo “stipendio fisso”, 
				non integrato da compensi stabiliti secondo meccanismi 
				incentivanti, non rappresenta una buona terapia. Solo l’aumento 
				del compenso correlato alla quantità di lavoro prodotto, 
				determina, certamente non all’infinito, un incremento della 
				produttività media per Giudice. Questi criteri sono 
				concettualmente contenuti nelle leggi di riforma della P.A. e 
				non costituiscono, quindi, una novità o un modo di privatizzare 
				il servizio, ma uno sperimentato metodo utilizzato nel privato 
				applicabile anche, senza che ciò debba costituire motivo di 
				apprensione o di scandalo, al servizio Giustizia, pur con la 
				necessaria prudenza e nei limiti in cui non abbia a trasformarsi 
				in un sofisticato strumento di sfruttamento o di pericolosissimo 
				controllo politico. Ma non è il caso nostro, anche se i G.O.A., 
				alla luce di quanto finora è accaduto in negativo nei loro 
				confronti, avvertono il concreto pericolo di essere considerati 
				ed utilizzati come merce di scambio da sacrificare sull’altare 
				dei compromessi politici. Per la parte governativa, infatti, 
				costituisce una tentazione e per la Magistratura di carriera un 
				timore ed una minaccia, se quest’ultima decidesse di trincerarsi 
				caparbiamente dentro la sua cittadella, rifiutando proposte 
				alternative diverse dalle sue. Noi, privi con evidenza di 
				qualsiasi potere di contrattazione, non siamo come i barbari 
				alle porte o come i bersaglieri a Porta Pia decisi ad espugnare 
				il fortilizio, ma, ribadisco, cittadini desiderosi di porre 
				estremo rimedio, con profondo senso di responsabilità, ad una 
				situazione insostenibile, convinti che a vincere, su tutti gli 
				altri interessi, debba essere quello della collettività ad una 
				amministrazione della Giustizia da Paese di alta civiltà 
				giuridica.
 I dati e le indicazioni fornite, per la loro evidente 
				oggettività e facile lettura, sono utile materiale di 
				valutazione empirica per i relatori, consentono una concreta 
				disamina dei temi del convegno ed un pertinente giudizio sulla 
				nostra fatica. Ometto i confronti con il prodotto ed i costi 
				riguardanti il resto della Giurisdizione civile, sia per la 
				disomogeneità dei dati da confrontare, ma, soprattutto, per 
				evitare infruttuose polemiche. Tocca, infatti, agli altri e non 
				a noi Giudici aggregati, facili a suggestioni trionfalistiche o 
				corporative, il giudizio sui risultati da noi conseguiti e gli 
				eventuali confronti. Sento, comunque, in piena coscienza, di 
				affermare, che in questi tre anni siamo stati, insieme a tutti 
				gli altri Magistrati professionali e non, guidati dal desiderio 
				di essere utili alla Comunità, nel pieno rispetto della legge e 
				delle istituzioni, ma, soprattutto dei cittadini.
 In questa fatica ci ha sorretto l’etica della responsabilità, 
				forse perché quali anziani avvocati siamo stati partecipi ed al 
				contempo vittime dei disservizi della Giustizia nel corso della 
				nostra ultra trentennale attività professionale, che ci ha dato 
				modo di rilevare vizi ed insufficienze, ma anche l’abnegazione, 
				le virtù ed in molti casi, purtroppo, l’eroismo fino al dono 
				della vita.
 Non è facile stabilire a chi ed in quale misura addebitare la 
				responsabilità della crisi, ma non siamo qui per farlo. E’ 
				opportuno però che i politici, i magistrati e gli avvocati 
				sappiano finalmente riconoscere autocriticamente le loro 
				rispettive colpe, rinunziando, per una volta, alle reciproche 
				accuse ed alle sterili polemiche. Occorre ad ogni costo evitare 
				che il pur necessario confronto ideologico o di categoria 
				degeneri in un progressivo gioco al massacro della Giustizia, 
				atteso , peraltro, che la indagine sui problemi della Giustizia 
				Civile, su cui siete chiamati a discutere, si presta ad una 
				trattazione di tematiche giuridiche e di tecniche giudiziarie 
				diverse, meno ardue o più neutre di quelle richieste nel settore 
				della Giustizia penale, laddove la caratura e la fisionomia 
				degli interventi implica il superamento di aspre e radicali 
				impostazioni dottrinali ed ideologiche, per loro obiettiva 
				natura dirompenti e capaci di bloccare o ritardare una 
				equilibrata soluzione dei gravi problemi della lotta alla 
				criminalità.
 Ed allora noi ci chiediamo e vi chiediamo: a) se è opportuno ed 
				ha ancora senso puntare sul monopolio dell’amministrazione della 
				Giustizia civile da parte dei Giudici professionali, pur se di 
				fatto è avvenuta una progressiva estensione di questa 
				Giurisdizione ai Giudici laici, che, per quanto ci riguarda, non 
				si possono erratamente considerare “non professionali”, in 
				quanto reclutati dal grande bacino dell’avvocatura e della 
				docenza universitaria. b) se è opportuno e vantaggioso per il 
				Paese, tenuto conto della particolare urgenza degli interventi 
				richiesti e del fatto che sta per essere radicalmente innovato 
				il processo civile, speriamo più agile ed aderente all’era della 
				tecnologia, coniugare l’introduzione di nuove norme processuali 
				con l’utilizzazione di Giudici laici, decidendo di spostare 
				delle energie professionali dal settore civile a quello penale, 
				del tutto prioritario e bisognoso della presenza di Magistrati 
				di carriera altamente qualificati, con la conseguente 
				attribuzione di una quota della giurisdizione civile, diversa da 
				quella del Giudice di pace, ai laici ed utilizzando al meglio, 
				motivandoli ed esaltandone la funzione, i funzionari ed il 
				personale di Cancelleria. Si sottolinea, a tale proposito, che 
				la progressiva precarizzazione del posto di lavoro è una misura 
				socialmente riprovevole ed inidonea per ottenere efficienza, che 
				poggia, invece, sulla responsabilizzazione degli individui, 
				sulla effettiva informatizzazione dei servizi e sulla 
				introduzione di meccanismi incentivanti, normativamente 
				regolamentati ma scarsamente praticati nella P.A. c) se tale 
				operazione è vantaggiosa e possibile nel breve periodo sotto il 
				profilo della legittimità costituzionale, dell’efficienza e 
				della spesa, alla luce dei dati esposti e dell’analisi 
				economica. d) se ha senso insistere sul progressivo ampliamento, 
				al di fuori del normale ricambio, dell’organico del personale 
				della Magistratura di carriera, considerato che l’eventuale 
				adozione di questo rimedio, certamente di non breve periodo, 
				costringerebbe l’utente della Giustizia ad ulteriori attese e, 
				quel che è più grave, provocherebbe la progressiva 
				delegittimazione o discredito dell’intero Ordine Giudiziario, 
				indicato, da molti con malizia, quale esclusivo responsabile 
				della crisi. Sarebbe, ad esempio, opportuno mutuare dalla 
				organizzazione giudiziaria di tipo anglosassone modi diversi di 
				reclutamento della Magistratura, ma tenendo conto della nostra 
				specificità sociale, politica e culturale. e) se non è venuto 
				finalmente il momento di bandire coraggiosamente dal processo e 
				dalle aule di giustizia ogni ipocrita finzione, prendendo 
				onestamente e decisamente atto che non esiste da molto tempo 
				l’assistenza in udienza del segretario, che i verbali vengono 
				scritti dagli avvocati nei corridoi, che le sentenze ed ogni 
				altro provvedimento vengono solo eccezionalmente redatti dai 
				dattilografi, che la necessaria solennità è sostituita da una 
				scomposta folla di avvocati e parti vocianti intorno al tavolo 
				del Giudice, che il personale demotivato continua ad annotare su 
				polverosi registri l’iter faticoso dei processi nel lento 
				trascorrere dei lustri, che il costo di una procedura esecutiva 
				immobiliare delegata ai notai è, a volte, pari o maggiore al 
				compenso annuo di un funzionario, magari disposto e preparato ad 
				assolvere lo stesso servizio per un compenso molto più modesto, 
				che i Giudici sono costretti ad implorare con apposita domanda 
				scritta e depositata in cancelleria la fornitura di carta ed 
				inchiostro per il proprio computer e che le altre numerose 
				disfunzioni, di cui sono vittime quotidiane i frequentatori del 
				tempio della Giustizia, permettetemi questa definizione dal 
				sapore blasfemo, hanno minato fino alle radici la credibilità di 
				questo fondamentale servizio. Una razionale organizzazione delle 
				risorse materiali ed umane, ed in particolare l’uso diffuso 
				degli strumenti informatici, potrebbe assolvere con maggiore 
				precisione il lavoro di decine di impiegati, da utilizzare 
				proficuamente e con loro certa gratificazione in attività più 
				importanti e delicate. Ben venga, quindi, il c.d. ufficio del 
				giudice, modernamente attrezzato, dove il processo potrà 
				svolgersi con il coinvolgimento di personale pienamente 
				gratificato dalla funzione esplicata, da impiegare nella 
				corretta e puntuale certificazione degli atti, nell’attività di 
				ricerca giurisprudenziale e di relazione con il foro ed il 
				pubblico. L’Ufficio del Giudice costituirebbe il centro 
				propulsore e di gestione dei tempi del processo, del cui normale 
				andamento diverrebbe principale responsabile. In questa 
				prospettiva ha giustificazione distinguere fra il momento della 
				istruttoria o della raccolta delle prove (o del tema probandum), 
				da demandare parzialmente alle parti sotto la sorveglianza di un 
				giurista, ed il momento della decisione ( o del tema decidendum), 
				nel quale il Giudice, lo affermo per esperienza diretta, non 
				incontrerà quelle difficoltà a decidere temute da molti. Basta 
				dire che i G.O.A. hanno correttamente definito un buon 50% delle 
				cause assegnate, pur non avendo gestito direttamente e 
				personalmente la fase istruttoria. I veri tempi del giudizio, 
				così, sarebbero rappresentati da quelli della fase decisoria, 
				certamente brevi, misurabili in giorni e mesi e non in anni. Il 
				mantenimento della centralità e del dominio del Giudice 
				sull’intero processo è teoricamente auspicabile, ma rappresenta 
				un principio chiaramente utopistico, se si considera che durante 
				l’iter della maggior parte dei processi, per vari ed 
				indefettibili motivi che tutti conosciamo, si succedono almeno 
				due o tre Giudici.- Su questi ed altri temi diretti a ridurre i 
				tempi della Giustizia vi è abbondante letteratura, su cui i 
				convegnisti avranno modo di discutere. In particolare mi limito 
				a segnalare il tentativo obbligatorio della conciliazione ed un 
				migliore e più diffuso uso dell’art.96 c.p.c.
 Vi invito, concludendo, ad ipotizzare per un momento quali e 
				quanti sarebbero i benefici effetti nel breve periodo, 
				soprattutto nella lotta alla criminalità via via più agguerrita 
				e diffusa, se si decidesse pragmaticamente, insieme alla riforma 
				del processo, l’utilizzazione, previa accurata selezione, di 
				giudici provenienti dall’avvocatura nel lavoro di “spegnimento” 
				di aree di crisi riguardanti il processo civile, ogniqualvolta e 
				laddove tale situazione di crisi abbia a verificarsi. Questi 
				Giudici potrebbero costituire una forza di pronto intervento, 
				che non abbisogna di alcuna fase e spesa di addestramento, a 
				costo zero, come ho avuto modo di dimostrare. Si eviterebbe, ad 
				esempio, che il cittadino meno accorto ingenerosamente possa 
				dire “vedete quanto ci costa la pigrizia dei Giudici”, 
				ogniqualvolta egli legge sui giornali di sentenze comminanti 
				condanne dello Stato per danni provocati dalla “non ragionevole” 
				durata del processo o, assai peggio, debba indignarsi al 
				dilagare progressivo della criminalità.
 Ritengo di potere affermare che con la creazione di una tale 
				forza di pronto impiego verrebbero realizzati i tre importanti 
				obiettivi, che tutti i cittadini auspicano, di una Giustizia 
				civile più celere, più efficiente, più flessibile alle mutabili 
				esigenze e più rispettosa della spesa pubblica. L’elevato 
				spessore culturale, professionale ed etico della nostra 
				Magistratura di carriera mi impedisce di credere che essa possa 
				divergere radicalmente dall’analisi e dalla proposta da me 
				prospettate. Devo però onestamente riconoscere che da recente 
				sono divenuti via via più frequenti ed importanti i segnali di 
				convergenza e di minore rigidità verso questi temi provenienti 
				dall’Associazione Nazionale Magistrati, soprattutto in tema di 
				produttività. Ho letto con attenzione le proposte di riforma del 
				processo civile emerse nel recente convegno di Roma della A.N.M. 
				e, per buona parte, le condivido. Da esse positivamente emerge 
				che i Magistrati hanno finalmente acquisito, anche se con 
				qualche riserva e perplessità, la piena consapevolezza che il 
				varo del nuovo processo deve essere necessariamente accompagnato 
				dalla fattiva collaborazione di una Magistratura laica, pur 
				omettendo di indicare come regolamentarla. Non si nota più 
				quella miopia preconcetta, manifesta fino a poco tempo fa nei 
				documenti della A.N.M.-
 Solo con interventi fondati sulla concretezza e sul pragmatismo, 
				il Paese sarà posto in grado di recuperare il grave deficit di 
				legalità e di uscire dalla crisi. Non desta meraviglia, su 
				questi problemi, l’atteggiamento dogmatico e difensivo tenuto, 
				fino a qualche tempo fa, da una parte non minoritaria della 
				Magistratura, ben sapendo che l’istinto di conservazione è nella 
				natura dell’uomo, che teme sempre pericoli da qualsiasi 
				innovazione nella quale vede sospettosamente ostacoli, nemici ed 
				intenti punitivi, laddove, invece, vi sono amici fidati, 
				soluzioni realistiche dei problemi e concreti vantaggi per lui 
				e, soprattutto, per la comunità.
 Confido che queste mie indicazioni, non sufficientemente 
				approfondite per ragioni di tempo e di rispetto per chi mi 
				ascolta, siano utili, quantomeno, per stimolare un sereno e 
				proficuo dibattito, auspicando comunque che non si non litighi 
				sui principi, consapevoli, come certamente siamo, che l’etica si 
				difende con regole efficaci e puntando dritto verso i risultati 
				e gli interessi dei cittadini, in nome dei quali, non 
				dimentichiamolo, i Giudici sono chiamati a rendere giustizia. Vi 
				ringrazio per la attenzione da voi prestata a questa mia 
				esposizione, che spero giudicherete sincera e trasparente, 
				confessandovi presuntuosamente di essere uno dei pochi o dei 
				tanti, non li ho contati, ancora capace di rabbia e di denuncia 
				per le molte cose che non vanno. Vengo spesso invitato alla 
				prudenza nel relazionarmi col prossimo e ciò mi deprime perché 
				mi induce a pensare ad un tipo di comunità i cui appartenenti 
				autoriducono per timore o per soggezione, in un atteggiamento 
				emotivo e personale, gli spazi del civile confronto fra opinioni 
				diverse. Preferisco però essere giudicato imprudente piuttosto 
				che pavido. Vi ringrazio ancora.
 
 Tabella n. 1
 Giudizi assegnati alle Sezioni Stralcio n. 11.803 + 250 circa 
				delle Preture, per un totale di 12.053;
 n. 8.100 giudizi esauriti fino al 31.01.2002 di cui n. 4.650 con 
				sentenza.
 Giudizi pendenti al 31.01.2002, n. 3.953
 
 Tabella n. 2
 N. 254 impugnazioni su n.1704 sentenze emesse nell'anno 2000.
 Percentuale delle impugnazioni poco meno del 15%.
 Questo campione può essere ragionevolmente rappresentativo anche 
				per gli altri anni.
 
 Tabella n. 3
 Imposta di registro riscossa mediamente su ogni sentenza 
				£.1.000.000.
 Importo complessivo dell'imposta su 4.650 sentenze £. 
				4.650.000.000.
 Onorario medio liquidato per controversia £. 10.000.000, su cui 
				grava l'I.V.A. al 20% e l’I.R.PE.F. media del 30%
 
 Tabella n. 4
 Costo netto complessivo delle Sezioni Stralcio di Catania in tre 
				anni £. 11.463.750.000, così calcolato: Costo per n. 4.650 
				sentenze £ 1.116.250.000, ridotta del 30% quale aliquota media 
				dell'I.R.PE.F.; £. 813.000.000 Indennità annuale di £. 
				20.000.000 corrisposta a ciascun Giudice per un complessivo di 
				£. 650.000.000, al netto dell'I.R.PE.F. al 30%.
 La tassa di iscrizione a ruolo e l'imposta di bollo pari a £. 
				350.000 circa per causa coprono gli altri costi.
 
 Ipotesi sommaria di smaltimento dell'arretrato civile formatosi 
				dopo il 1995 nel Tribunale Unificato di Catania dati statistici 
				indicati nella relazione del Procuratore Generale a pagina 115 e 
				segg.:
 
 Capacità annuale di esaurimento del Tribunale Unificato di 
				Catania di n. 10.838 cause.
 Sopravvenienza annuale n. 9.641 cause. Pendenze al 30.06.2001 n. 
				20.273 cause, di cui circa la metà da considerare arretrato 
				tenuto conto che le sopravvenienze annuali sono pari a circa 
				10.000 cause.
 Capacità di smaltimento annuale delle Sezioni Stralcio nel 
				periodo considerato n. 3147 cause.
 Ipotesi dei tempi di smaltimento di tutto l'arretrato civile 
				successivo al 1995 pari a circa 10.000 cause da parte delle 
				Sezioni Stralcio con organico completo di 18 Giudici, fornito 
				però di risorse materiali ed umane analoghe a quelle delle 
				normali Sezioni in particolare computer, collegamento al Ced, 
				assistenza di personale di cancelleria, biblioteca e materiale 
				di cancelleria di varia natura: anni 2 e mesi 6, nell'ipotesi 
				ragionevole di un incremento della capacità di esaurimento 
				annuale elevata da 3147 a 4000 processi l'anno dovuto 
				all'effettivo utilizzo di tutto l'organico ed all'aumento atteso 
				della produttività pro capite.
 Il costo dell'operazione sarebbe coperto, estrapolando le 
				indicazioni che provengono dai dati effettivi, dalle entrate per 
				imposte varie derivanti dalla "definizione" di tale arretrato, 
				salvo errori ed eventuali omissioni.
 La durata media dei processi diverrebbe di un anno circa.
 L'eventuale aumento dei compensi per sentenza ai Giudici 
				aggregati sarebbe ugualmente coperto dalle predette entrate.
 --**--
 
 LE SEZIONI STRALCIO DOPO TRE ANNI E LA LENTEZZA DELLA GIUSTIZIA 
				ITALIANA
 (intervento del G.O.A. Francesco Furnari)
 
 Entrando nel palazzo di giustizia di Milano dalla porta centrale 
				rileggo quelle sagge massime latine: “iurisprudentia est 
				divinarum atque humanarum rerum notitia, iustiatque iniusti 
				scientia, iuris praecepta sunt haec honeste vivere, alterum non 
				laedere,suum cuique tribuere; sumus ad iustitiam nati, neque 
				opinione, sed natura costitutum est ius”.
 
 Mi chiedo: come mai noi popolo latino, discendente da quei 
				grandi giureconsulti romani, allora i primi nel mondo, oggi 
				siamo in tema di giustizia gli ultimi di Europa ?
 
 La Corte Europea dei diritti dell'Uomo condanna al 95% l'Italia 
				e per il restante 5% tutti gli Stati aderenti al Consiglio 
				d'Europa per la violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione 
				europea dei diritti dell'uomo sulla durata non ragionevole dei 
				processi.
 Occorre, pertanto, affrontare il problema della lentezza della 
				giustizia ed individuarne le cause.
 Innanzitutto, nel ringraziare gli intervenuti per le parole 
				gratificanti sul consuntivo delle Sezioni Stralcio, dobbiamo 
				ritenere che non può costituire una lode il resoconto di tre 
				anni di funzionamento delle Sezioni Stralcio per la minore 
				lentezza della giustizia amministrata da queste Sezioni e per la 
				bassa percentuale degli appelli, i quali non hanno superato il 
				14 per cento, poiché i giudici di tali Sezioni sono in maggior 
				parte avvocati con 40 anni di attività professionale, sicché 
				l'elevato numero di sentenze depositate sono il normale frutto 
				della loro maggiore esperienza.
 Ora. a mio modesto avviso, tra le cause della lentezza della 
				giustizia ne emergono due principali:
 1) Il reclutamento dei magistrati.
 Il magistrato può partecipare al concorso subito dopo la laurea, 
				al contrario del praticante avvocato, che deve osservare un 
				periodo di almeno due anni di pratica forense prima di sostenere 
				l'esame di Stato, per cui il giudice all'inizio e un inesperto e 
				corregge negli anni la sua inesperienza sulla pelle dei 
				cittadini, in modo particolare oggi, dopo la soppressione del 
				Pretore, per cui egli sin dai primi passi e Giudice di 
				Tribunale. I suoi inevitabili errori sono un danno ed 
				intralciano la giustizia; ciò non si verifica nel sistema 
				anglosassone, ove il candidato per partecipare al concorso della 
				magistratura deve avere prima esercitato per molti anni la 
				professione dell'avvocato nelle due categorie del “solicitor” e 
				del “barister”.
 
 2) L'arretratezza.
 Il modo come il magistrato applica la legge, la mancanza delle 
				strutture, gli adempimenti burocratici e fiscali sono 
				decisamente superati dai tempi.
 Basta osservare una sentenza della Corte Europea dei Diritti 
				dell'Uomo per accorgersi che essa e fatta di poche righe di 
				esposizione in fatto, altrettante di quella in diritto e più 
				breve ancora e il dispositivo. Essa viene pubblicata in 
				“internet” e se ne può estrarre copia dal computer lo stesso 
				giorno della decisione, senza bolli, né diritti di rilascio, né 
				formula esecutiva.
 In Italia, quindi siamo indietro e lo siamo anche nelle 
				strutture giudiziarie, mancano aule, Cancellieri e dattilografi 
				perché lo Stato finora ha speso assai poco per la giustizia.
 
 La lentezza della giustizia, a mio avviso è la conseguenza del 
				modo anch’esso arretrato come viene applicata la giustizia in 
				Italia. Questo concetto è stato espresso in un mio intervento 
				all'Università di Catania in occasione dei Convegno Nazionale 
				dei Filosofi del Diritto. L'Università Italiana è ancora oggi 
				baronale e feudale, essa fornisce inutili disquisizioni teoriche 
				e non è collegata con la vita pratica del diritto, motivo per 
				cui il giovane laureato, che ancora ventenne diventa magistrato, 
				crede ciecamente in quelle teorie dei diritto e venera la legge 
				come un santo, non accorgendosi che la legge è solo una regola 
				sociale mutevole nel tempo; essa non è un fine, ma un mezzo per 
				raggiungere la giustizia. Ciò non significa che il giudice è 
				“legibus solutus”, dovendosi egli servire della legge, come il 
				pittore della tela e del colore per dipingere il quadro, che è 
				l'opera finale, ne ciò significa andare contro il principio di 
				legalità, sancito dall'art. 101, 2° comma, della Costituzione, 
				tanto apprezzato giustamente da Piero Calamandrei, né proporre 
				il giudizio di equità per tutti i casi, come previsto fino al 
				valore di £. 2.000.000 dal 2° comma dell'art. 113 c.p.c., poiché 
				a mio avviso la legge deve costituire al contempo il mezzo ed il 
				limite per il giudice, il quale è tenuto ad applicare una 
				volontà che non e la sua, ma quella contenuta nella norma 
				giuridica; infatti, come dicevano i giureconsulti romani, “scire 
				leges non est earum verba tenere, sed vim ac potestatem.
 
 Il giudice italiano invece cerca a tutti i costi l'applicazione 
				rigida della legge non la giustizia e ciò e dimostrato nel caso 
				in cui, per esempio, dopo 15 anni rigetta la domanda dichiarando 
				il difetto di giurisdizione ed argomentando con una lunga quanto 
				inutile sentenza che si trattava di interessi legittimi e non di 
				diritti soggettivi.
 Si tratta di bizantinismi e sembra che siamo rimasti al 1300 
				dopo Cristo, cioè ai modi filosofici di amministrare la 
				giustizia nell'impero romano d'oriente, in spregio ancora 
				all'insegnamento latino: “littera occidit, spiritus autem 
				vivificat”.
 
 Occorrono, quindi, non solo mezzi economici, ma anche nuovi 
				metodi e diversa mentalità del giudice, il quale dovrà capire 
				che la sua missione e rendere giustizia e non rendere legge, 
				perché il cittadino non chiede affatto l'applicazione formale 
				della legge (per ciò basterebbe il computer), ma semplicemente 
				giustizia.
 
 Finché la cultura giuridica italiana non si evolverà e non farà 
				proprio questo concetto sarà inutile ampliare gli organici ed 
				assumere nuovo personale di magistrati, perché la giustizia sarà 
				sempre burocratica e lenta, fino a quando il giudice italiano 
				non avrà capito che la giustizia non e burocrazia, né atto di 
				imperio o di arroganza ma solo umanità, per la salvaguardia dei 
				diritti dell'uomo.
 --**--
 
 RELAZIONE DI SINTESI DEL CONVEGNO
 di Giuseppe Petrantoni
 Presidente Associazione Regionale G.O.A.
 
 La numerosa ed interessata partecipazione al convegno di tante 
				personalità rappresentative dell'Ordine Giudiziario e del 
				Parlamento e la loro responsabile riflessione sul grave ed 
				irresoluto problema dei ritardi della Giustizia Civile, ha 
				conferito al nostro incontro già un primo contributo 
				sull'effettiva volontà di formulazione di proposte di agevole ed 
				immediata attuazione per la più idonea risoluzione del problema.
 Preso atto, com'era di doverosa evidenza, che l’intervento delle 
				Sezioni Stralcio, così come ormai riconosciuto unanimamente dai 
				Procuratori Generali, dal Procuratore Generale presso la 
				Cassazione, dai Ministri della Giustizia avvicentatisi, dal 
				Presidente della Repubblica e dagli Ordini degli Avvocati, ha 
				pressoché esaurito l'enorme mole di arretrato civile 
				consolidatosi fino al 1995 (relazione Giudice Aggregato Avv. 
				Ferrante ed intervento del Sig. Presidente della 1^ Sezione 
				Stralcio del Tribunale, Dott. Lucchese); che le perplessità 
				iniziali sono state superate dal risultato del lavoro dei 
				Giudici Onorari Aggregati e che la loro esperienza ha funzionato 
				oltre che per la qualità dei prodotto anche dal punto di vista 
				economico della produttività (relazione del Sen. Prof. Guido 
				Ziccone); che tanto gli esponenti dell'Avvocatura quanto quelli 
				della Magistratura hanno sostanzialmente concordato sul ricorso 
				alla giustizia onoraria per il conseguimento di quelle risposto 
				immediate che l'odierna Società esige (relazione Avv. Leonardi e 
				Avv. Stazzone ed intervento del Dott. De Marco, Presidente della 
				Sezione di Catania dell’Associazione Nazionale Magistrati); che 
				in definitiva tutti gli intervenuti hanno concordemente 
				convenuto sull'opportunità di non far disperdere e di utilizzare 
				al meglio questo patrimonio di uomini e di esperienza vieppiù 
				specializzatosi per la gravosità dei compiti affrontati e 
				positivamente risolti, ( per come conferma la scarsa incidenza 
				delle decisioni appellate).
 Le conclusioni più indicative che un'occasione così qualificata 
				di incontro e di dibattito ha offerto, sono le seguenti:
 -Gravità ed improcrastinabilità del problema Giustizia Civile;
 -Sostanziale efficacia risolutiva del rimedio GG.OO.AA.;
 -Entità e disponibilità di un patrimonio professionale 
				sperimentato;
 -Convenienza ed economicità di impiego in termini di costi 
				benefici
 --**--
 
 LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA CIVILE ALCUNI
 SPUNTI DI RIFLESSIONE IN TEMA DI EFFICIENZA NELLA P.A
 di Francesco Ferrante
 Università di Cassino
 
 Introduzione
 I tempi lunghi della giustizia civile e l'incertezza che a essi 
				si associa sull'estensione effettiva dei diritti a contenuto 
				patrimoniale e sul valore delle transazioni, rappresentano 
				elementi di forte preoccupazione per l'economista poiché 
				incidono significativamente sull'efficienza complessiva del 
				sistema economico e sulla sua capacità di generare benessere. 
				Tale incertezza si traduce, per usare una terminologia cara 
				all'economista, in elevati costi di transazione, cioè in 
				significativi costi d'uso dei mercati, che ne riducono 
				l'efficienza complessiva.
 Quest'esito si realizza non solo perché gli operatori sono 
				sottoposti ad un'alea eccessiva sull'estensione effettiva dei 
				diritti di proprietà ma anche perché, venendo ad essere minata 
				la fiducia nello stato di diritto, risulta impoverito il 
				capitale sociale relazionale, elemento primario che sta alla 
				base del funzionamento di una moderna economia di mercato. La 
				storia anche recente c'insegna che lo sviluppo socio-economico 
				di una nazione è condizionato dalle dimensioni di tale capitale 
				relazionale e che il suo impoverimento può essere causa di gravi 
				crisi economiche e politiche (si veda il caso recente 
				dell'Argentina) e della messa in discussione del contratto 
				sociale che sta alla base delle moderne democrazie. Spero che 
				questa premessa fornisca sufficiente giustificazione alla 
				presenza di un economista ad un dibattito sull'efficienza della 
				giustizia civile.
 Evidentemente, tenuto conto anche dei tempi a disposizione, sarò 
				costretto a limitarmi ad alcuni spunti di riflessione che non 
				hanno alcuna pretesa di riassumere l'articolata e consolidata 
				letteratura economica rilevante in questa materia.
 La prospettiva dell'economista nell'affrontare le problematiche 
				legate all'efficienza della giustizia è, evidentemente, diversa 
				da quella del giurista. La differenza sostanziale di metodo tra 
				giuristi ed economisti va attribuita al fatto che i primi 
				analizzano i comportamenti umani in termini normativi, cioè 
				avendo a riferimento il dover essere mentre gli economisti si 
				occupano degli incentivi economici latu sensu, che stanno alla 
				base dei comportamenti effettivi degli individui. Quindi, mentre 
				i giuristi sono principalmente interessati a principi e norme 
				astratte, alle quali dovrebbero conformarsi i comportamenti, gli 
				economisti guardano soprattutto al grado d'adeguatezza degli 
				incentivi rispetto agli obiettivi desiderati e, 
				conseguentemente, agli eventuali cambiamenti richiesti affinché 
				gli incentivi siano quelli appropriati rispetto agli obiettivi 
				prefissati. Due termini chiave esprimono il tutto: l'economista 
				si occupa di efficacia e di efficienza delle azioni umane nei 
				diversi contesti specifici - siano essi un'impresa privata, la 
				P.A., un'organizzazioni no-profit o il nucleo famigliare - a 
				prescindere dalla rispondenza di queste azioni alle norme morali 
				i giuridiche.
 In termini generali, la possibilità di valutare l'adeguatezza di 
				un dato assetto organizzativo nel generare incentivi appropriati 
				ai fini perseguiti - cioè la possibilità di effettuare 
				valutazioni di efficienza ed efficacia - richiede che siano 
				soddisfatte alcune condizioni:
 Che siano esplicitati puntualmente gli obiettivi delle azione/ 
				comportamenti oggetto di analisi;
 Che siano identificate e misurate correttamente le relazioni di 
				causalità tra azioni e risultati (ad es., nel caso di 
				un'impresa, potremo chiederci se il suo fallimento sia 
				addebitabile ad un management inadeguato o, in alternativa a 
				causa di fattori di mercato imprevisti ed imprevedibili; o, nel 
				caso, di un'azienda locale dei trasporti, se il deficit di 
				bilancio dell'azienda dipende da scelte sbagliate del management 
				o da fattori esterni incontrollabili).
 Ove ciò sia realizzabile, risulta anche auspicabile:
 porre in essere i cambiamenti appropriati (se, nell'esempio 
				precedente, la causa del deficit è esterna ed io licenzio dei 
				buoni managers evidentemente non faccio un buon servizio agli 
				azionisti….);
 remunerare coloro che partecipano alla realizzazione del 
				risultato in funzione del loro contributo effettivo alla sua 
				realizzazione.
 Evidentemente, le difficoltà nell'attuare concretamente queste 
				procedure dipendono dal contesto specifico al quale sono 
				applicate, tipicamente, dalle opportunità che esso offre di 
				realizzare tutti i passaggi richiesti per una corretta 
				valutazione di obiettivi, azioni e risultati. Nel caso di 
				attività di mercato, l'operazione risulta facilitata dal fatto 
				che il valore/risultato delle azioni è fissato oggettivamente 
				attraverso gli scambi realizzati sul mercato, il quale 
				costituisce l'arbitro di ultima istanza dei comportamenti 
				individuali e delle organizzazioni. Così, pur con tutte le 
				qualificazioni del caso, la remunerazione di un lavoratore o di 
				un manager costituisce la valutazione attribuita dalla 
				collettività attraverso il mercato del contributo che questi 
				ultimi danno all'attività di produzione di beni e servizi. 
				Evidentemente, più complessa è la valutazione dei risultati 
				dell'attività della P.A., per la quale non esiste spesso un 
				mercato di riferimento, se non quello politico che si attiva 
				nelle fasi di consultazione elettorale e che presenta, comunque, 
				elevati gradi di imperfezione.
 Al di là della maggiore facilità di valutazione dalle attività 
				di mercato, un'impresa privata che opera sul mercato condivide 
				con la P.A i problemi legati alla valutazione del contributo 
				individuale delle proprie risorse umane al risultato finale e, 
				conseguentemente, quello della costruzione di un sistema 
				corretto di incetivi incentivi (quanto remunerare i managers? 
				Quali schemi di carriera incentivanti utilizzare?). Le 
				difficoltà non hanno certo indotto le imprese a rinunziare ai 
				tentativi di trovare soluzioni adeguate che, in gran parte, sono 
				esportabili all'ambito pubblico. Occorre a questo proposito 
				notare come non pochi economisti abbiano evidenziato che 
				l'efficienza di un'organizzazione non dipende tanto dalla sua 
				natura pubblica o privata, quanto dalla bontà dei sistemi di 
				incentivi che le sono propri.
 Le difficoltà nel valutare l'efficienza nelle organizzazioni che 
				non agiscono sul mercato hanno indotto in passato a adottare due 
				approcci, di diversa ispirazione ideologica, nel valutare 
				l'attività della P.A. e gli spazi da destinare a essa:
 il primo si basa sull'idea che, poiché l'attività della P.A non 
				è controllabile e genera inefficienze sarebbe opportuno ridurla 
				al minimo, privatizzando il più possibile;
 il secondo, pur riconoscendo tali difficoltà e affermando il 
				primato della presenza pubblica in alcuni settori della vita 
				collettiva, propone quale soluzione intermedia l'utilizzo di 
				meccanismi che, attraverso la simulazione del funzionamento del 
				mercato all'interno delle P.A, generino appropriati incentivi e 
				consentano di avvicinarsi ai risultati voluti, anche in queste 
				organizzazioni.
 E' a questa seconda filosofia che desidero dedicare spazio in 
				questa sede. In particolare, ritengo che l'introduzione delle 
				sezioni stralcio costituisca un interessante esperimento che ha 
				generato, al di là dei buoni risultati in termini di riduzione 
				dell'arretrato, informazioni utili al fine di predisporre 
				meccanismi virtuosi di simulazione del funzionamento del mercato 
				nell'ambito dell'organizzazione della giustizia.
 Economia delle organizzazioni e del personale: il problema della 
				misurazione delle performance e degli incentivi nell'ambito dei 
				servizi per la giustizia
 Sul tema dei meccanismi di valutazione dell'efficienza delle 
				P.A. esiste oramai, su scala internazionale, un ricca e 
				consolidata letteratura a cavallo tra economia, sociologia e 
				diritto nonché numerose esperienze applicative di successo. Devo 
				ammettere che la cosa per me più sorprendente è che, nell'ambito 
				dei dibattiti sull’organizzazione della P.A., le indicazioni 
				provenienti da questa letteratura e dalle esperienze 
				internazionali siano state lasciate, tranne alcune eccezioni, al 
				margine. Con la conseguenza che, nel nostro paese, la 
				progettazione delle istituzioni responsabili dei vari settori di 
				attività in ambito pubblico è stata quasi sempre realizzata 
				senza tenere conto del fatto che queste ultime camminano sulle 
				gambe degli individui i quali, dati i valori di riferimento 
				individuali e collettivi, agiscono in risposta a precisi 
				incentivi sia di natura monetaria (retribuzioni e loro 
				evoluzione, premi, fringe benefits) che di natura extra 
				monetaria (es. status, sanzioni disciplinari, carriera).
 Sulla base di questa prospettiva parziale, gran parte 
				dell'attenzione del legislatore è stata dedicata alle regole 
				astratte di comportamento, alla previsione delle procedure 
				formali, dimenticando che i comportamenti degli individui che 
				agiscono nelle organizzazioni aderiscono a quelli astratti o 
				previsti e le istituzioni raggiungo gli obiettivi fissati solo 
				in quanto due condizioni fondamentali risultino soddisfatte:
 le risorse umane e materiali assegnate risultino adeguate 
				rispetto agli obiettivi fissati;
 il sistema effettivo degli incentivi sia stato disegnato 
				coerentemente con i risultati desiderati.
 Non me ne vogliano i giuristi presenti, ma ritengo che questo 
				sia anche il risultato di un eccessivo peso avuto dalla cultura 
				giuridica, a scapito di quella economica, nell'ambito delle 
				progettazione delle attività della P.A., elemento che ha indotto 
				a mantenere sempre in secondo piano gli aspetti di efficienza ed 
				efficacia. Cioè, l'analisi economica del diritto amministrativo.
 Una delle principali conseguenza di questa approccio è che il 
				mancato raggiungimento dei fini istituzionali, nei vari ambiti 
				di azione pubblica, non ha portato a domandarsi, in prima 
				istanza, se risorse e incentivi fossero adeguati bensì a 
				discutere la bontà degli obiettivi e delle procedure formali, 
				condannando il paese ad un perenne processo di riforma che 
				congestiona l'apparato amministrativo nelle sue diverse 
				articolazioni, non ultima, quella della giustizia.
 Ritengo che gli spunti di riflessione qui proposti forniscano 
				elementi alquanto oggettivi ed utili ad identificare almeno una 
				parte delle ragioni effettive dell'inefficienza della giustizia 
				civile, la cui misura più emblematica sono i tempi lunghi di 
				conclusione delle procedure. A questo proposito, l'esperienza 
				delle sezioni stralcio ha messo in luce tre punti che meritano, 
				a mio parere, attenzione:
 la riforma delle procedure è un aspetto importante ma forse non 
				centrale per ridurre i tempi della giustizia civile;
 la dotazione di risorse di supporto all'attività della 
				magistratura nelle sue varie articolazioni è sicuramente un 
				problema centrale all'efficienza della giustizia che va 
				analizzato in maniera puntuale;
 vi sono spazi per significativi miglioramenti di efficienza 
				nell'uso delle risorse legati all'utilizzo di sistemi 
				retributivi incentivanti che, sicuramente, vanno meglio 
				calibrati; questa conclusione deriva dai dati sul numero 
				pro-capite di sentenze dei GOA e induce a ritenere che sia 
				possibile rispondere alla domanda di giustizia con un servizio 
				qualitativamente omogeneo rispetto a quello realizzato dalla 
				magistratura ordinaria (i dati sulla incidenza degli appelli ce 
				lo confermano) ad un costo per unità di servizio erogata 
				sostanzialmente inferiore.
 Queste conclusioni forniscono indicazioni utili all'impostazione 
				degli interventi di riforma del sistema nella direzione prima 
				indicata, in particolare appare non eludibile:
 un adeguamento delle risorse di supporto all'attività della 
				magistratura civile;
 l'introduzioni di sistemi di valutazione, retribuzione e di 
				progressione nella carriera legati, in quanto possibile, ai 
				risultati effettivamente conseguiti;
 la creazione di un'organizzazione amministrativa di supporto, 
				gestita secondo criteri di efficienza, da personale a ciò 
				qualificato non appartenente ai ruoli della magistratura;
 la creazione di un’autorità di controllo autonoma
 Il tipo di informazioni necessarie ad intervenire nei tre ambiti 
				sopra elencati sono in parte le stesse e riguardano le corretta 
				ricostruzione delle caratteristiche del processo di produzione 
				di servizi della giustizia, cioè l'identificazione del 
				contributo delle varie componenti che partecipano alla 
				erogazione del servizio - risorse umane, materiali ed 
				immateriali - ai risultati finali. Tenuto conto del tempo a 
				disposizione, mi concentrerò sul punto sub (b), relativo alla 
				fattibilità di un sistema di indicatori di risultato ai quali 
				collegare meccanismi retributivi e di carriera di tipo 
				incentivante.
 Ritengo opportuno precisare che qualsiasi innovazione 
				istituzionale realizzata in questo campo debba garantire il 
				rispetto del principio costituzionale irrinunciabile della 
				separazione dei poteri, assegnando eventuali competenze in 
				materia di valutazione e controllo ad un organismo neutrale ed 
				autonomo rispetto agli altri poteri, in particolare, a quello 
				esecutivo.
 In alternativa, se ciò non risultasse politicamente fattibile, 
				ritengo preferibile l'attuale stato di cose al rischio che 
				l'introduzione di meccanismi di controllo della produttività si 
				possa tradurre in una lesione dell'autonomia della magistratura.
 Indicatori di performance e i sistemi retributivi e di carriera 
				incentivanti
 Il concetto centrale e articolato che entra in gioco quando si 
				discute di valutazione dell'operato della P.A. è quello di 
				accountability o possibilità di verificare le azioni rispetto 
				agli obiettivi e di essere chiamati a rispondere per le azioni 
				svolte. I presupposti dell'accountability e della fattibilità di 
				schemi retributivi incentivanti sono sostanzialmente due:
 la possibilità di fissare obiettivi chiari, articolati e 
				quantificabili
 la possibilità di correlare le azioni individuali o di gruppo ai 
				risultati al fine di distinguere i contributi dei singoli o del 
				gruppo e il ruolo giocato dai fattori non controllabili.
 I passi necessari in questa direzione sono:
 A. L'identificazione di parametri di efficienza significativi 
				nell’ambito della produzione dei servizi della giustizia 
				(multidimensionali e articolati per funzioni omogenee);
 B. L'individuazione dei fattori specifici che influenzano la 
				produttività nella erogazioni dei servizi e concorrono a 
				determinare a produttività di singole unità omogenee di 
				personale od organizzative;
 C) L'elaborazione di sistemi di indicatori che consentano di 
				effettuare confronti di produttività su scala nazionale e per 
				ambiti omogenei di funzioni e di affinare nel tempo gli 
				indicatori.
 Queste informazioni appropriatamente trattate dovrebbero 
				consentire, attraverso aggiustamenti sequenziali, di ricavare 
				informazioni utili agli scopi prima descritti e cioè:
 individuazione dei fabbisogni di risorse materiali ed umane di 
				supporto e dei criteri per la loro efficiente allocazione;
 costruzione di meccanismi retributivi e di carriera che 
				consentono di collegare in maniera corretta impegno, capacità e 
				risultati.
 Tenuto conto della gravità dei problemi legati alla durata dei 
				processi, ritengo che sia divenuto non eludibile affrontare la 
				riforma della giustizia civile a partire da una corretta analisi 
				della situazione, che riconosca il ruolo dei meccanismi sopra 
				descritti. Il lavoro da fare è molto ma l'esperienza maturata in 
				altre realtà potrà essere di ausilio nel ridurre i tempi di 
				attuazione e gli errori di percorso.
 --**--
 
 SULLE “SEZIONI STRALCIO” DEI TRIBUNALI CIVILI
 Intervento di Giancarlo Scardillo
 Già s’è detto del perché della sofferta istituzione delle 
				Sezioni Stralcio, della non più procrastinabile esigenza di 
				procedere all’eliminazione dell’arretrato dei giudizi civili 
				fino al 1995.
 Anche dei risultati conseguiti dalla due Sezioni Stralcio 
				catanesi già abbiamo sentito e sono stati forniti dati 
				statistici più che soddisfacenti.
 Dei dati fornitici, desidero ricordare soltanto quelli afferenti 
				i costi e gli introiti per le casse dello Stato, relativi alle 
				due Sezioni Stralcio catanesi: per il funzionamento delle due 
				Sezioni Stralcio di questo Tribunale, lo Stato ha speso 
				orientativamente la somma omnicomprensiva (comprensiva, perciò, 
				di spese di Cancelleria, locali, materiale e quant’altro, nonché 
				degli emolumenti corrisposti) di circa £. 1 miliardo 463 milioni 
				(in particolare, la retribuzione per ciascun giudice delle 
				Sezioni Stralcio è, al lordo, di £. 20.000.000 annue, che si 
				riducono a £. 10.000.000 annui (sempre lorde), se il giudice 
				gode di redditi, di qualunque natura, oltre i 60.000.000 (lordi) 
				l’anno. A tale fisso vanno aggiunte £. 250.000 (lorde) a 
				sentenza).
 L’esperienza delle Sezioni Stralcio, i risultati positivi 
				conseguiti, circostanza, questa, ampiamente ammessa e ricorrente 
				nelle relazioni della pressoché totalità dei Sigg. Procuratori 
				Generali in occasione dell’inaugurazione del corrente anno 
				giudiziario, dal Sig. Procuratore Generale presso la Corte di 
				Cassazione (il quale ha dato pubblicamente atto che fra i 
				fattori che hanno permesso un miglioramento dei risultati nel 
				settore civile, è da ricomprendersi la, testualmente, “decisiva 
				positività” dell’introduzione del giudice unico, delle sezioni 
				stralcio e dei giudici onorari aggregati) dal Sig. Ministro 
				della Giustizia (l’attuale e i due che lo hanno preceduto) e dal 
				Sig. Presidente della Repubblica, consentono le seguenti 
				considerazioni:
 1 – Ben può applicarsi anche all’Amministrazione della 
				Giustizia, con ogni opportuno adattamento, perfino il principio 
				di "esternalizzazione" delle funzioni che ha avuto grande 
				fortuna nell’ambito delle imprese industriali: esso consente di 
				"portare fuori" dall'ambito della magistratura cd. togata o 
				professionale, giudizi e funzioni in materia civile (ma 
				l’esperimento potrebbe estendersi all’amministrativo ed al 
				penale), affidandoli alla magistratura onoraria, in tal modo 
				velocizzando i giudizi con il consentire ai magistrati togati di 
				essere gravati da minor numero di processi, il tutto a costi 
				assai ridotti, addirittura ampiamente compensati e di gran lunga 
				superati dagli introiti che pervengono alla casse dello Stato 
				per ogni sentenza emessa in termini di imposte, bolli, 
				registrazione, ecc..
 2 – S’è dimostrato che una autoreferenzialità totale della 
				magistratura togata non ha più ragione di esistere, perché molte 
				attività giurisdizionali possono essere degnamente e 
				proficuamente assolte da magistrati non togati, ove si curi 
				un’effettiva selezione dei soggetti da nominare, come, in 
				genere, è avvenuto per la nomina dei giudici onorari aggregati (G.O.A.): 
				avvocati con molti anni d’esperienza, magistrati a riposo, 
				avvocati e procuratori dello stato a riposo e delle avvocature 
				pubbliche, professori universitari e ricercatori universitari 
				confermati in materie giuridiche, notai anche in pensione.
 Si tratta, allora, di confermare ed estendere l’esperienza, 
				affidando ai giudici onorari aggregati la trattazione di 
				controversie oltre il limite temporale di cui alla legge 
				istitutiva (la legge 22 luglio 1997 n. 276, volta a definire i 
				procedimenti civili pendenti avanti al Tribunale alla data dei 
				30 aprile 1995, fissa in cinque anni la durata dell'ufficio), in 
				tal modo evitando, oltre tutto, la dispersione, a danno della 
				“Giustizia”, perciò dell’intera collettività, di professionalità 
				già ampiamente acquisite, che hanno prodotto buoni risultati.
 Il “materiale” certo non manca.
 L’arretrato presso i Tribunali è ancora notevolissimo, presso le 
				Corti d’Appello i ritardi permangono endemici (e, come è logico, 
				maggiori sentenze di primo grado, comportano maggiori 
				“appelli”), la Sezione Lavoro è oberata da rilevantissimo carico 
				ed arretrato, altrettanto la Sezione Fallimentare, quella 
				Agraria, ecc..
 E' tempo di comprendere, superando perniciosi “corporativismi” e 
				complessi da “primi della classe”, che l’ampliamento temporale e 
				funzionale che si propone offre, s’è dimostrato, indubbi, 
				tangibili vantaggi per la rapidità delle decisioni e per 
				l'alleggerimento del lavoro della magistratura togata, che 
				potrebbe maggiormente dedicarsi alla parte per certi versi più 
				delicata dell'attività giurisdizionale, quella penale, perché ad 
				essa si connettono le misure restrittive della libertà delle 
				persone.
 Certo è illogico pretendere l’eventuale prosecuzione del lavoro 
				dei giudici aggregati mantenendo l’attuale retribuzione che, 
				pertanto, deve essere rivalutata alla luce degli anni trascorsi 
				dalla legge istitutiva, delle professionalità dei soggetti 
				nominati, della loro anzianità ed esperienza e dei positivi 
				risultati conseguiti nell’interesse pubblico.
 Ove si tenga presente che la maggior parte dei giudici 
				aggregati, per bene servire, ha trascurato il proprio studio 
				professionale (o, addirittura, ha scelto la cancellazione 
				dall’Albo professionale), sembra doveroso un loro stabile 
				inquadramento nell’ordinamento giudiziario, in una qualunque 
				forma che, conservando l’attuale pressoché identità di compiti e 
				funzioni con il giudice togato, faccia salva la dignità di 
				anziani avvocati, e (pur se pochi) docenti universitari e notai.
 A ciò non osta l’annunciato concorso per l’assunzione di 1.000 
				giudici togati: il tempo per l’espletamento del concorso, per 
				l’immissione in servizio dei vincitori, per il periodo di “uditorato”, 
				per l’assegnazione della Sede (presumibilmente non meno di 4 – 5 
				anni), in uno ai pensionamenti che frattanto interverrebbero, di 
				certo ancor più “affosserebbe” il sistema Giustizia (e, tra 
				l’altro, sia consentito affermare, giovani magistrati togati non 
				conseguirebbero, nell’immediato, i medesimi risultati di anziani 
				e selezionati giudici onorari aggregati, per legge istitutiva e 
				per legge di natura, dotati di notevole esperienza).
 L’occasione per il proficuo inserimento dei giudici onorari 
				aggregati – certo, come si è detto, dignitosamente inquadrati e 
				retribuiti – ben potrebbe essere rappresentata proprio dalla 
				riforma, anch’essa annunciata, del processo civile.
 Mi sia consentito concludere ricordando talune affermazioni, 
				perché di certo non confliggenti con quanto prima ho esposto, 
				stralciate da autorevoli interventi del Sig. Presidente della 
				Repubblica e dall’allora Sig. Presidente dell’Associazione 
				Nazionale Magistrati Dott. Mario Cicala.
 Il Sig. Presidente della Repubblica:
 1) In occasione della seduta del Consiglio Superiore della 
				Magistratura del 5 marzo 2001, così ebbe a dire: 
				"Nell'immediato, il problema degli organici va affrontato con la 
				più razionale utilizzazione dei meccanismi e delle risorse già 
				disponibili. Il Consiglio Superiore potrebbe elaborare su questo 
				tema il progetto di una nuova struttura degli uffici giudiziari 
				fondato sull'impiego di principi e metodi propriamente 
				"manageriali". Sullo sfondo dei problemi esaminati, va collocata 
				la cultura dell'amministrazione della giustizia, ispirata al 
				criterio della rigorosa valutazione della produttività dei 
				singoli magistrati. Per quanto riguarda i Giudici onorari 
				aggregati - sulla cui attività nel campo dello smaltimento 
				dell'arretrato civile, la maggior parte delle relazioni dei 
				Procuratori Generali formula giudizi positivi – debbo rilevare 
				che da alcune di tali relazioni risultano preoccupanti 
				scoperture degli organici”.
 2) In occasione del saluto agli uditori giudiziari convenuti a 
				Roma per la scelta delle sedi il 17 novembre 2000 ha affermato: 
				“La "produttività" … del vostro lavoro è essenziale, 
				pregiudiziale all'ordinato svolgimento della vita civile. La 
				Costituzione è chiara: secondo la Costituzione nella vostra vita 
				professionale dovrete essere autonomi, indipendenti e soggetti 
				solo alla legge. Sulla tutela di questi valori fondamentali e 
				irrinunciabili, coessenziali al nostro ordinamento, come sulla 
				tutela della dignità della vostra funzione, vigila il Consiglio 
				Superiore della Magistratura. Ma i primi garanti della autonomia 
				e della indipendenza del vostro lavoro dovete essere voi stessi, 
				con la vostra irreprensibile condotta, con l'astensione da 
				comportamenti ed esternazioni non pienamente conformi all'etica 
				della vostra missione, con la capacità anche - all'inizio ho 
				parlato di umiltà - di accettare le critiche legittime al vostro 
				operato e di riconoscere gli errori eventualmente compiuti.
 Il processo civile, per quanto riguarda lo smaltimento del 
				pesante arretrato, si sta attualmente giovando proficuamente del 
				lavoro dei Giudici Onorari Aggregati che operano nelle Sezioni 
				stralcio".
 Il Dott. Mario Cicala in un articolo intitolato “Giustizia 
				malata” apparso in "Il nostro tempo" del 28 gennaio 2001, ha 
				affermato: “Le relazioni del Procuratore Generale della Corte di 
				Cassazione, dei Procuratori Generali delle 23 Corti d'Appello 
				italiane hanno ancora una volta sottolineato come il problema 
				della efficienza costituisca ormai il nodo centrale della crisi 
				della nostra giustizia e, quindi, del nostro stato che ormai è 
				difficile definire uno "stato di diritto", così come invece 
				vorrebbe l'art. 6 del Trattato Istitutivo della Comunità 
				europea. Lo stato di diritto è costume di vita, prassi costante, 
				modo di essere della Società; esso vive nella realtà concreta e 
				pertanto non è mai compiutamente e definitivamente attuato, ma 
				deve essere creato giorno per giorno dalle donne e dagli uomini 
				che vi appartengono; incalzati dal "senso dello Stato", cioè da 
				un impulso che induce a scavalcare egoismi e particolarismi in 
				una visione di alta idealità, che accomuna, quasi in una 
				religiosità laica, credenti e non credenti.
 Tutti ogni giorno però dobbiamo amaramente constatare come 
				simile modello -nonostante il generoso sforzo di molti che 
				sovente hanno pagato con la vita il loro impegno- non sia 
				attuato in Italia; quindi dobbiamo condividere le allarmate 
				parole del Procuratore Generale della Cassazione Favara secondo 
				cui il processo è il "grande malato" della nostra Società. Vi è 
				del resto da sottolineare come dall'insieme delle relazioni 
				emerga un tema di immediato spessore: la rilevanza del fattore 
				tempo. Il decorso del tempo può vanificare lo steso oggetto del 
				giudizio ... il decorso del tempo cancella, attraverso la 
				prescrizione, la ragion d'essere della decisione punitiva. 
				L'eccessiva durata del processo mina la certezza del diritto, e 
				concorre a porre in forse la stessa prevedibilità delle 
				decisioni. Perciò ben a ragione il Procuratore Generale della 
				Cassazione ha criticato l'atteggiamento di molti magistrati che 
				insieme agli avvocati "tendono a formalizzare ogni controversia 
				in un processo di lunga durata e a rifugiarsi nei ritmi lenti e 
				comodi". La coscienza della necessità di ritmi processuali più 
				rapidi ed efficaci non è però rimasta nell'anno trascorso senza 
				qualche risposta. Si tratta per ora di timidi segni di 
				miglioramento - circoscritti al ramo civile- ma pur sempre di 
				speranze per una "inversione di tendenza" nelle leggi, negli 
				strumenti concreti per la gestione dei processi e nelle prassi.
 Unanime è stato il giudizio positivo sull'opera del vasto numero 
				di giudici non di carriera o "onorari" che è stato messo in 
				campo da leggi recenti: giudici di pace e giudici onorari 
				aggregati hanno smaltito una notevole mole di lavoro; e le 
				preoccupazioni circa una insufficiente preparazione tecnica di 
				questi magistrati si sono rivelate in gran parte infondate".
 --**--
 MOZIONE DEI GIUDICI ONORARI AGGREGATI
 DELLE SEZIONI STRALCIO DEL TRIBUNALE DI CATANIA
 Magistratura Onoraria nell'Ordinamento Giudiziario: quali 
				prospettive? “Cui prodest " il modo col quale, a volte, la 
				Magistratura si misura con questi problemi ?
 Da un sommario esame del "pensiero" della Magistratura di 
				carriera in ordine ai problemi relativi alla collocazione dei 
				Magistrati laici nella Giurisdizione emerge la preoccupazione, 
				sovrana su ogni altra, che siano chiamati a collaborare in 
				questa attività persone di buona preparazione professionale ed, 
				in qualche modo, dotate di regole idonee a salvaguardarne la 
				autonomia ed indipendenza e, quindi, di uno status diverso e più 
				articolato di quello vigente.
 Troviamo fondata e legittima tale preoccupazione, ma rileviamo 
				come a volte sia errato e maldestro il tipo di approccio nei 
				confronti dei problemi, certamente gravi, di questa categoria da 
				parte di chi, pensando di difendere i principi dell'autonomia e 
				dell'indipendenza, lancia inconsapevolmente pesanti sassi nel 
				lago, già procelloso, dei numerosi Giudici laici.
 Si dimentica, così, che senza la loro innegabile collaborazione, 
				l'amministrazione della Giustizia in Italia sarebbe in una crisi 
				probabilmente senza uscite; è infatti sconveniente chiamare i 
				pompieri e farli entrare nel Palazzo per salvarlo dalle fiamme, 
				e poi contestarne l'opera o l'utilità.
 Questo giudizio si trae dalla concreta chiusura, di chiara 
				conservazione pur mascherata da una disponibilità verbale, a 
				ricercare future ed incerte soluzioni, dimostrata da settori 
				della Magistratura di carriera e della politica, verso i 
				problemi dei Giudici onorari.
 Motivi di convenienza dovrebbero suggerire maggiore cautela, 
				atteso che questi giovani e meno giovani Magistrati laici, 
				reclutati nei modi più diversi ed impropri, in molti casi 
				amministrano con pienezza la Giurisdizione allo stesso modo dei 
				Giudici di carriera, della cui sicurezza sociale, professionale 
				ed economica sono quotidiani testimoni ma non fruitori.
 E' inevitabile che i Magistrati laici traggano da questa loro 
				obiettiva condizione di lavoro i motivi per pretendere che 
				nell'agenda politica, insieme alle altre grandi tematiche della 
				Giurisdizione, entrino a far parte la scelta dei criteri per 
				uscire dalla loro evidente precarietà e, per quanto riguarda i 
				giovani, una riforma dei modi di reclutamento dei Giudici.
 Ciò premesso, sorgono naturali le seguenti riflessioni:
 1) se non sia il caso, in questo particolare momento di evidente 
				e gravissima emergenza della Giustizia, osservare soprattutto la 
				qualità, l'entità ed il costo del prodotto Giustizia comunque 
				reso dai Magistrati laici, così capovolgendo, in modo 
				chiaramente scientifico ed empirico, il senso delle indagini 
				indirizzate prevalentemente sui criteri, assai diversi fra loro, 
				di reclutamento dei Giudici onorari, ponendo invece sul tappeto 
				seri e concreti modi di proseguire nella loro massiccia 
				utilizzazione e fissando regole certe dei loro "status".
 Per evitare una demagogica ed inammissibile sanatoria 
				relativamente ai Giudici Onorari di Tribunale ed ai Vice 
				Procuratori Onorari, si potrebbero mutuare dall'Ordinamento 
				Universitario regole e prassi ed, in particolare, il metodo 
				iniziale di cooptazione o selezione fra i migliori, da inserire 
				nel costituendo Ufficio dei Giudice con funzione gregaria e, 
				dopo non meno tre anni, un concorso per Giudice per titoli ed 
				esami, nel quale i titoli sono rappresentati dal prodotto 
				intellettuale ( provvedimenti giurisdizionali ed ogni altra 
				attività effettivamente svolta).
 Tale operazione, corretta per i giovani, non ha alcun senso 
				ovviamente, anche per quanto si dirà appresso, nel caso degli 
				anziani Giudici aggregati di Tribunale, che hanno adeguatamente 
				svolto il lavoro a loro affidato.
 2) Se non sia a questo punto utile e necessario agli interessi 
				della Comunità, una volta accertata la bontà o almeno la 
				sufficienza dei prodotto dei Giudici aggregati, già avvocati con 
				adeguata esperienza professionale e selezionati con apposito 
				concorso per titoli, prorogare la loro attività migliorandone il 
				trattamento, anziché disquisire sull'assurdo ed inutile quesito 
				se i Giudici Aggregati delle Sezioni Stralcio debbano essere 
				inquadrati o meno nei ranghi della Magistratura, atteso che gli 
				interessati non hanno ritenuto, pur possedendo idonei e certi 
				meriti, di chiedere una tale collocazione, estranea alle loro 
				aspirazioni.
 Questa saggezza degli aggregati doveva essere motivo sufficiente 
				per recidere ogni motivo di sospetto o di timore chiaramente 
				paventato dai Giudici di carriera, che non perdono occasione, 
				però, contrariamente alle aspettative, per farne paludata 
				denuncia, di fatto opponendosi ad ogni ulteriore collaborazione, 
				e per chiedere che alla scadenza prevista i Giudici aggregati 
				cessino velocemente dal loro mandato.
 Era ed è naturale aspettarsi dai Magistrati di carriera la loro 
				solidarietà per le richieste formulate dagli aggregati, ma, al 
				contrario, si spara stranamente sulla "Croce Rossa", laddove si 
				consideri che il compenso annuale medio al netto delle imposte, 
				lavorando a tempo pieno, non supera per costoro € 15.493,71 – 
				18.075.99 (30 35 milioni), importo che in molti casi viene 
				utilizzato per ottenere una misera pensione forense di vecchiaia 
				di £.1.200.000 mensili.
 Non reca meraviglia il fatto che gli aggregati e gli altri 
				reagiscano energicamente e con astio a queste assurde posizioni, 
				atteso che essi mai hanno espresso opposizione alle legittime 
				richieste sindacali della Magistratura di carriera.
 3) Se sia utile ed abbia senso, quindi, da parte di non pochi 
				sprovveduti, non si trova altra definizione, continuare 
				velatamente a domandarsi se i Giudici Aggregati possiedano o 
				meno i "quarti di nobiltà" necessari per entrare a far parte 
				della Magistratura di carriera, così provocando banalmente lo 
				sconcerto tra gli aggregati e le condizioni di un meschino 
				confronto, che certamente non facilita la soluzione degli 
				urgenti problemi della Giustizia. Confronto che vede schierata 
				da un lato parte maggioritaria della Magistratura e dall'altro 
				parte dell'Avvocatura, a difesa ciascuna delle proprie creature 
				rispettivamente Giudice di Pace e Giudici aggregati dei 
				Tribunali. Sta di fatto che per costoro gli accertati e cospicui 
				risultati delle Sezioni Stralcio non hanno alcuna valenza, anche 
				se ottenuti duramente in presenza di ingenerose critiche e nere 
				previsioni, espresse con convinzione da opposti versanti sin dal 
				loro sorgere.
 4) Se i parlamentari, già Magistrati di carriera, vogliano 
				anzitutto, nell'interesse dei cittadini, la concreta ed ottimale 
				soluzione dei problemi della Giustizia, come è nel loro attuale 
				mandato, assumendo i provvedimenti relativi alla utilizzazione 
				al meglio in futuro, con l'eventuale taglio di rami secchi, come 
				è auspicabile e corretto avvenga in tutti i settori della P.A., 
				le Sezioni Stralcio oppure, anche nello specifico caso, 
				intendano schierarsi, al di là di ogni altro interesse ed in 
				modo dei tutto irragionevole ed incomprensibile, insieme a chi 
				si oppone al riuscito esperimento.
 Queste considerazioni si propongono di spingere il dibattito su 
				temi scarsamente trattati nei convegni ma ampiamente discussi 
				nei corridoi, sui quali occorre fare definitiva chiarezza.
 Gli anziani avvocati, prestati temporaneamente ed 
				eccezionalmente alla Magistratura, hanno infatti il diritto di 
				sapere con la necessaria tempestività se il positivo esperimento 
				delle Sezioni Stralcio avrà un futuro e con quali prospettive, 
				atteso che finora lo Stato, in un atteggiamento di chiaro sapore 
				mercantilista, ha dato a costoro poco e preso da loro molto, in 
				termini di gratificazione morale ed economica.
 Essi avvertono "uti cives", infatti, il palese pericolo che 
				venga disperso inutilmente un patrimonio di risorse 
				professionali a tutto danno della Comunità, con un'operazione 
				volgarmente definita di "usa e getta", pur di venire incontro ad 
				una forte, ma immotivata e, per molti versi irragionevole, 
				opposizione di consistenti settori della Magistratura e 
				dell'Avvocatura.
 
 
				Marzo 2002
 
				 Giudici Onorari Aggregati  
				 1^ e 2^ Sezione Stralcio del Tribunale di Catania
 
 
 
 
 
                  
                
 
                 
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