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ATTI CONVEGNO 23 febbraio 2002  GIUDICI ONORARI

Gli atti del convegno di Catania del 23 febbraio 2002 organizzato dell'associazione regionale siciliana giudici onorari aggregati sezione della corte d’appello di catania
Sommario:
1. Le sezioni stralcio dei tribunali e la durata ragionevole dei processi”(presentazione di L. Barreca);
2. Introduzione ai temi del convegno del g.o.a. giuseppe ferrante;
3. Le sezioni stralcio dopo tre anni e la lentezza della giustizia italiana del g.o.a. Francesco furnari ;
4. Relazione di sintesi del convegno di giuseppe petrantoni presidente associazione regionale g.o.a.;
5. La riforma della giustizia civile alcuni spunti di riflessione in tema di efficienza nella p.a di francesco ferrante;
6. Sulle “sezioni stralcio” dei tribunali civili intervento di giancarlo scardillo;
7. Mozione dei giudici onorari aggregati delle sezioni stralcio del tribunale di catania.



***
Atti del convegno sulla magistratura onoraria
(presentazione di L. Barreca)
Anche se ho cessato di far parte da qualche anno della magistratura onoraria, ho mantenuto un forte legame con una categoria che, come ebbi modo di riferire anche in passato, era ed è utilissima alla soluzione dei problemi della giustizia.
I Giudici Onorari Aggregati da qui a breve concluderanno il loro mandato, esaurendo il carico che era stato loro affidato.
I risultati complessivi, anche alla luce delle fisiologica quantità delle impugnazioni, sono certamente ottimali, anche in termini di qualità finale del prodotto “sentenza”, e non solo in termini di “rapidità” della definizione dei processi.
Sotto il profilo economico, i costi sono davvero irrisori, se paragonati a quelli della magistratura ordinaria.
Ho quindi ritenuto opportuno render noti tali risultati attraverso le pagine della nostra rivista, ospitando le relazioni che seguono.
Tali considerazioni, sono ampiamente sviluppate nella relazione del G.O.A. Ferrante, che ha aperto i lavori.
Da Ultimo, I G.O.A. hanno ritenuto di approvare una mozione, con cui invitano il governo a non disperdere ed a non vanificare la professionalità acquisita.Condividendo tali riflessioni, aggiungo che sarebbe davvero uno spreco, dopo aver comunque contribuito alla formazione di una classe di “magistrati onorari”, che ha mostrato di dare buoni risultati, vanificare tutto e disperdere il patrimnio acquisito.
La sete di giustizia in Italia è enorme, siamo uno dei paesi dove è più alto in assoluto il livello di contenzioso.
Sicchè, vi è e vi sarà certamente uno spazio da ritagliare in favore dei Giudici Onorari Aggregati, che possa contribuire al contempo ad affrancare il carico di lavoro dei Giudici Togati.
LINO BARRECA
--**--
ASSOCIAZIONE REGIONALE SICILIANA GIUDICI ONORARI AGGREGATI
Sezione della Corte d’Appello di Catania
ATTI DEL CONVEGNO TENUTOSI A CATANIA IL
23 FEBBRAIO 2002
SUL TEMA:
“Le Sezioni Stralcio dei Tribunali e la durata ragionevole dei processi”
INTRODUZIONE AI TEMI DEL CONVEGNO
Del G.O.A. Giuseppe Ferrante

Porgo i saluti ed i ringraziamenti, anche a nome dei miei colleghi, ai relatori, alle Autorità ed agli intervenuti per la loro partecipazione a questo convegno, ove ci accingiamo a dibattere temi già oggetto di importanti e frequenti appuntamenti tenutisi a Catania ed in altre sedi. Mi è gradito, prima di iniziare i lavori, formulare a S.E. il dott. Alicata i nostri auguri per il suo compleanno, che coincide con la conclusione della sua lunga carriera, illuminata sempre da una fede intensamente vissuta, svoltasi con esemplare ed operosa dedizione ed elevata professionalità nei ruoli più diversi ed importanti fino a quello di Primo Presidente di questa Corte di Appello. Di lui, nelle occasioni di incontro, con mio grande rammarico recenti e poche , ho avuto modo di apprezzare, in special modo, la saggezza, il garbo e, soprattutto, la umanità associata ad una salda umiltà, virtù necessarie per rendere Giustizia con prestigio, autorevolezza ed efficacia e per dirigere con successo l’importante distretto di Catania. Siamo stati testimoni commossi dello spessore non comune della sua spiritualità mercoledì, quando Lei ha di getto, con il cuore in mano, pronunciato il suo discorso di commiato, denso di sincerità e, nel contempo, di profonda cultura. Le mie non sono frasi di circostanza, ma un sintetico ed unanime giudizio che ho potuto raccogliere nel foro catanese e presso gli appartenenti all’Ordine giudiziario. Le auguro, sig. Presidente, un futuro lungo e sereno, assicurandoLe che Lei continuerà ad essere di guida e di esempio a tutti coloro hanno avuto il piacere e la fortuna di conoscerla, giovani e meno giovani.
Nel momento in cui si discute nel Paese della riforma del processo civile e della sua ragionevole durata, mi è apparso naturale che anche noi Giudici aggregati sottoponessimo alla pubblica opinione il nostro punto di vista, elaborato sulla scorta delle esperienze maturate a tre anni dal funzionamento delle Sezioni Stralcio, che ci hanno consentito di osservare da vicino e nel suo interno il sistema della Giustizia civile ed i suoi problemi. Il nostro intento è di contribuire, uti cives, al lavoro di ricerca e di studio in corso di svolgimento in sede ministeriale, nell’associazione nazionale Magistrati e nelle università, circa i modi e gli strumenti con cui procedere al suo necessario ed improcrastinabile risanamento. Ci è estranea la voglia di protagonismo o l’ambizione di carriera, per ovvie ragioni di età. Ci spetta, però e quantomeno, il diritto ed il dovere di interloquire perché ci consideriamo il manipolo dei settecento Giudici, che, male equipaggiati, forniti solo di mezzi propri e di buona volontà, hanno impedito, lavorando sodo insieme al resto della Magistratura, il “disastro” nella Giustizia Civile. Memore degli insegnamenti di padre Davide Maria Turoldo, che ho avuto la fortuna di conoscere negli anni 70, oso dire che la nostra “paupertas” di risorse ci ha aiutato ad essere un tantino virtuosi. Fatta questa premessa, vengo al tema del convegno.
L’essere nella Comunità Europea ha comportato per lo Stato italiano l’obbligo anche, fra numerosi altri di natura economica e finanziaria, di osservare diversi vincoli giuridici fissati dagli organi comunitari nell’interesse della pacifica e civile convivenza e della crescita morale ed economica dei cittadini. Uno di questi è quello di rendere, nella più rigida salvaguardia della effettiva autonomia ed indipendenza dell’ordine giudiziario, il nostro apparato di giustizia, fatto di schemi organizzativi superati ed, a volte, arcaici e, per questo, inefficienti, capace di giusto processo, che “giusto” non può mai essere se i suoi tempi superano ogni civile e paziente ragionevolezza, come purtroppo finora è avvenuto ed avviene. Di fronte a questa gravissima insufficienza del sistema, che può essere causa, insieme ad altre, di indebolimento delle strutture sociali e democratiche del Paese, quasi “obtorto collo”, lo Stato Italiano è stato costretto a correre ai ripari ed intervenire varando importanti ed incisive riforme. E’ stato, quindi, riformulato l’art.111 della Costituzione, laddove si è affermato il principio ed il diritto del cittadino alla durata ragionevole di ogni processo, e si è poi varata la legge 24.3.2001 n.89, nota come legge Pinto, che ha dato attuazione, fra l’altro, alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Le Sezioni Stralcio sono nate, con un parto molto sofferto e contrastato, prima ancora del varo di queste importantissime riforme stante l’esigenza, non più rinviabile, di anticipare l’attuazione del citato principio procedendo alla eliminazione dell’arretrato civile formatosi fino al 1995, col proposito di chiudere definitivamente una fase storica della Giurisdizione, che non era stata in grado, fino a quel momento, di corrispondere adeguatamente ai bisogni di giustizia dei cittadini, e di dare inizio, in concomitanza della nascita del Giudice unico, ad una nuova fase che fosse esente da ritardi ed insufficienze. Il primo obiettivo si può ritenere quasi del tutto raggiunto, essendo stato eliminato prima dei tempi previsti ben 4/6 dell’arretrato, il secondo un po’ meno alla luce dei dati statistici, da cui si ricava che nelle cancellerie civili, successivamente al 1995, si va accumulando altro arretrato, nonostante vi sia stato un apprezzabile aumento della produttività. Una delle cause dei ritardi è certamente la destinazione al settore penale di molti giudici.
Ciò atteso, a me corre l’obbligo, quale Giudice aggregato più anziano, fornire in questa sede gli elementi conoscitivi utili per stabilire se le Sezioni stralcio ed, in particolare, le due di Catania, quale espressione di uno specifico ed importante segmento della giurisdizione, abbiano o meno dato o contribuito a dare una efficace risposta a questa domanda di Giustizia e con quali oneri per lo Stato, domanda che attende, in non pochi casi, da oltre 10 anni. Ho elaborato quindi delle tabelle , che vi illustro:
Tabella n. 1- Da essa si ricava che dal marzo 1999 al 31.1.2002 le due Sezioni hanno definito circa 8.100 cause, di cui 4.650 con sentenza, su un originaria pendenza di 11.803 cause. Il collega Farina del Tribunale di Catania mi ha comunicato che anche in quella Sezione si è registrata una riduzione delle pendenze iniziali da 6257 cause a 1726 a tutto il 13.2.2002-
Tabella n. 2- Da essa emerge che il numero delle impugnazioni avverso le sentenze emesse dalle Sezioni deve ritenersi fisiologico. Ho limitato la mia personale indagine sull’anno 2000 per l’ovvio motivo che le impugnazioni avverso tali sentenze sono ormai improponibili. Su 1704 sentenze, ne risultano impugnate soltanto n. 254, tra il 14%-15% circa-. Tale campione appare ampiamente rappresentativo anche per gli altri anni.
Tabella n. 3- Si è potuto stabilire che per ciascuna sentenza è stata riscossa mediamente un’imposta di £.1.000.000- Lo Stato ha, quindi, incassato, ad oggi, 4 Miliardi e 650 milioni di lire. Sono stati anche espressi gli effetti indotti dalla definizione di questi processi, stabilendo che, fissato per difetto il valore medio per controversia pari a £.100 milioni, la comunità locale ha goduto dei vantaggi relativi all’immissione di capitali nel circuito commerciale e produttivo di circa 500 miliardi di lire, senza contare gli effetti economici determinati dalla chiusura delle altre cause definite senza sentenza. Gli onorari liquidati , indicati per difetto in £.10 milioni per controversia, ammontano a £.50 miliardi, su cui gravano l’iva al 20% e l’irpef media del 30%- Ha inoltre incassato, per diritti di cancelleria ed imposta di bollo, all’inizio e nel corso della causa, non meno di £.350.000 per controversia.
Tabella n. 4 – Da essa si ricava che, per il funzionamento delle Sezioni stralcio di Catania, lo Stato ha speso in tre anni la somma complessiva di £.1.463.000.000 circa, pari ad una quota infinitesimale delle somme che lo Stato ha incassato quale prezzo del servizio Giustizia espletato dalle Sezioni, pur escludendo gli altri effetti finanziari indiretti ed indotti. Sia detto, per inciso e per coerenza con quanto da me sostenuto in precedenti scritti, che l’eventuale aumento dell’indennità annuale fissa lorda non provocherebbe un aumento della produttività dei G.O.A., ma, probabilmente ne causerebbe la diminuzione. E’ di comune esperienza che lo “stipendio fisso”, non integrato da compensi stabiliti secondo meccanismi incentivanti, non rappresenta una buona terapia. Solo l’aumento del compenso correlato alla quantità di lavoro prodotto, determina, certamente non all’infinito, un incremento della produttività media per Giudice. Questi criteri sono concettualmente contenuti nelle leggi di riforma della P.A. e non costituiscono, quindi, una novità o un modo di privatizzare il servizio, ma uno sperimentato metodo utilizzato nel privato applicabile anche, senza che ciò debba costituire motivo di apprensione o di scandalo, al servizio Giustizia, pur con la necessaria prudenza e nei limiti in cui non abbia a trasformarsi in un sofisticato strumento di sfruttamento o di pericolosissimo controllo politico. Ma non è il caso nostro, anche se i G.O.A., alla luce di quanto finora è accaduto in negativo nei loro confronti, avvertono il concreto pericolo di essere considerati ed utilizzati come merce di scambio da sacrificare sull’altare dei compromessi politici. Per la parte governativa, infatti, costituisce una tentazione e per la Magistratura di carriera un timore ed una minaccia, se quest’ultima decidesse di trincerarsi caparbiamente dentro la sua cittadella, rifiutando proposte alternative diverse dalle sue. Noi, privi con evidenza di qualsiasi potere di contrattazione, non siamo come i barbari alle porte o come i bersaglieri a Porta Pia decisi ad espugnare il fortilizio, ma, ribadisco, cittadini desiderosi di porre estremo rimedio, con profondo senso di responsabilità, ad una situazione insostenibile, convinti che a vincere, su tutti gli altri interessi, debba essere quello della collettività ad una amministrazione della Giustizia da Paese di alta civiltà giuridica.
I dati e le indicazioni fornite, per la loro evidente oggettività e facile lettura, sono utile materiale di valutazione empirica per i relatori, consentono una concreta disamina dei temi del convegno ed un pertinente giudizio sulla nostra fatica. Ometto i confronti con il prodotto ed i costi riguardanti il resto della Giurisdizione civile, sia per la disomogeneità dei dati da confrontare, ma, soprattutto, per evitare infruttuose polemiche. Tocca, infatti, agli altri e non a noi Giudici aggregati, facili a suggestioni trionfalistiche o corporative, il giudizio sui risultati da noi conseguiti e gli eventuali confronti. Sento, comunque, in piena coscienza, di affermare, che in questi tre anni siamo stati, insieme a tutti gli altri Magistrati professionali e non, guidati dal desiderio di essere utili alla Comunità, nel pieno rispetto della legge e delle istituzioni, ma, soprattutto dei cittadini.
In questa fatica ci ha sorretto l’etica della responsabilità, forse perché quali anziani avvocati siamo stati partecipi ed al contempo vittime dei disservizi della Giustizia nel corso della nostra ultra trentennale attività professionale, che ci ha dato modo di rilevare vizi ed insufficienze, ma anche l’abnegazione, le virtù ed in molti casi, purtroppo, l’eroismo fino al dono della vita.
Non è facile stabilire a chi ed in quale misura addebitare la responsabilità della crisi, ma non siamo qui per farlo. E’ opportuno però che i politici, i magistrati e gli avvocati sappiano finalmente riconoscere autocriticamente le loro rispettive colpe, rinunziando, per una volta, alle reciproche accuse ed alle sterili polemiche. Occorre ad ogni costo evitare che il pur necessario confronto ideologico o di categoria degeneri in un progressivo gioco al massacro della Giustizia, atteso , peraltro, che la indagine sui problemi della Giustizia Civile, su cui siete chiamati a discutere, si presta ad una trattazione di tematiche giuridiche e di tecniche giudiziarie diverse, meno ardue o più neutre di quelle richieste nel settore della Giustizia penale, laddove la caratura e la fisionomia degli interventi implica il superamento di aspre e radicali impostazioni dottrinali ed ideologiche, per loro obiettiva natura dirompenti e capaci di bloccare o ritardare una equilibrata soluzione dei gravi problemi della lotta alla criminalità.
Ed allora noi ci chiediamo e vi chiediamo: a) se è opportuno ed ha ancora senso puntare sul monopolio dell’amministrazione della Giustizia civile da parte dei Giudici professionali, pur se di fatto è avvenuta una progressiva estensione di questa Giurisdizione ai Giudici laici, che, per quanto ci riguarda, non si possono erratamente considerare “non professionali”, in quanto reclutati dal grande bacino dell’avvocatura e della docenza universitaria. b) se è opportuno e vantaggioso per il Paese, tenuto conto della particolare urgenza degli interventi richiesti e del fatto che sta per essere radicalmente innovato il processo civile, speriamo più agile ed aderente all’era della tecnologia, coniugare l’introduzione di nuove norme processuali con l’utilizzazione di Giudici laici, decidendo di spostare delle energie professionali dal settore civile a quello penale, del tutto prioritario e bisognoso della presenza di Magistrati di carriera altamente qualificati, con la conseguente attribuzione di una quota della giurisdizione civile, diversa da quella del Giudice di pace, ai laici ed utilizzando al meglio, motivandoli ed esaltandone la funzione, i funzionari ed il personale di Cancelleria. Si sottolinea, a tale proposito, che la progressiva precarizzazione del posto di lavoro è una misura socialmente riprovevole ed inidonea per ottenere efficienza, che poggia, invece, sulla responsabilizzazione degli individui, sulla effettiva informatizzazione dei servizi e sulla introduzione di meccanismi incentivanti, normativamente regolamentati ma scarsamente praticati nella P.A. c) se tale operazione è vantaggiosa e possibile nel breve periodo sotto il profilo della legittimità costituzionale, dell’efficienza e della spesa, alla luce dei dati esposti e dell’analisi economica. d) se ha senso insistere sul progressivo ampliamento, al di fuori del normale ricambio, dell’organico del personale della Magistratura di carriera, considerato che l’eventuale adozione di questo rimedio, certamente di non breve periodo, costringerebbe l’utente della Giustizia ad ulteriori attese e, quel che è più grave, provocherebbe la progressiva delegittimazione o discredito dell’intero Ordine Giudiziario, indicato, da molti con malizia, quale esclusivo responsabile della crisi. Sarebbe, ad esempio, opportuno mutuare dalla organizzazione giudiziaria di tipo anglosassone modi diversi di reclutamento della Magistratura, ma tenendo conto della nostra specificità sociale, politica e culturale. e) se non è venuto finalmente il momento di bandire coraggiosamente dal processo e dalle aule di giustizia ogni ipocrita finzione, prendendo onestamente e decisamente atto che non esiste da molto tempo l’assistenza in udienza del segretario, che i verbali vengono scritti dagli avvocati nei corridoi, che le sentenze ed ogni altro provvedimento vengono solo eccezionalmente redatti dai dattilografi, che la necessaria solennità è sostituita da una scomposta folla di avvocati e parti vocianti intorno al tavolo del Giudice, che il personale demotivato continua ad annotare su polverosi registri l’iter faticoso dei processi nel lento trascorrere dei lustri, che il costo di una procedura esecutiva immobiliare delegata ai notai è, a volte, pari o maggiore al compenso annuo di un funzionario, magari disposto e preparato ad assolvere lo stesso servizio per un compenso molto più modesto, che i Giudici sono costretti ad implorare con apposita domanda scritta e depositata in cancelleria la fornitura di carta ed inchiostro per il proprio computer e che le altre numerose disfunzioni, di cui sono vittime quotidiane i frequentatori del tempio della Giustizia, permettetemi questa definizione dal sapore blasfemo, hanno minato fino alle radici la credibilità di questo fondamentale servizio. Una razionale organizzazione delle risorse materiali ed umane, ed in particolare l’uso diffuso degli strumenti informatici, potrebbe assolvere con maggiore precisione il lavoro di decine di impiegati, da utilizzare proficuamente e con loro certa gratificazione in attività più importanti e delicate. Ben venga, quindi, il c.d. ufficio del giudice, modernamente attrezzato, dove il processo potrà svolgersi con il coinvolgimento di personale pienamente gratificato dalla funzione esplicata, da impiegare nella corretta e puntuale certificazione degli atti, nell’attività di ricerca giurisprudenziale e di relazione con il foro ed il pubblico. L’Ufficio del Giudice costituirebbe il centro propulsore e di gestione dei tempi del processo, del cui normale andamento diverrebbe principale responsabile. In questa prospettiva ha giustificazione distinguere fra il momento della istruttoria o della raccolta delle prove (o del tema probandum), da demandare parzialmente alle parti sotto la sorveglianza di un giurista, ed il momento della decisione ( o del tema decidendum), nel quale il Giudice, lo affermo per esperienza diretta, non incontrerà quelle difficoltà a decidere temute da molti. Basta dire che i G.O.A. hanno correttamente definito un buon 50% delle cause assegnate, pur non avendo gestito direttamente e personalmente la fase istruttoria. I veri tempi del giudizio, così, sarebbero rappresentati da quelli della fase decisoria, certamente brevi, misurabili in giorni e mesi e non in anni. Il mantenimento della centralità e del dominio del Giudice sull’intero processo è teoricamente auspicabile, ma rappresenta un principio chiaramente utopistico, se si considera che durante l’iter della maggior parte dei processi, per vari ed indefettibili motivi che tutti conosciamo, si succedono almeno due o tre Giudici.- Su questi ed altri temi diretti a ridurre i tempi della Giustizia vi è abbondante letteratura, su cui i convegnisti avranno modo di discutere. In particolare mi limito a segnalare il tentativo obbligatorio della conciliazione ed un migliore e più diffuso uso dell’art.96 c.p.c.
Vi invito, concludendo, ad ipotizzare per un momento quali e quanti sarebbero i benefici effetti nel breve periodo, soprattutto nella lotta alla criminalità via via più agguerrita e diffusa, se si decidesse pragmaticamente, insieme alla riforma del processo, l’utilizzazione, previa accurata selezione, di giudici provenienti dall’avvocatura nel lavoro di “spegnimento” di aree di crisi riguardanti il processo civile, ogniqualvolta e laddove tale situazione di crisi abbia a verificarsi. Questi Giudici potrebbero costituire una forza di pronto intervento, che non abbisogna di alcuna fase e spesa di addestramento, a costo zero, come ho avuto modo di dimostrare. Si eviterebbe, ad esempio, che il cittadino meno accorto ingenerosamente possa dire “vedete quanto ci costa la pigrizia dei Giudici”, ogniqualvolta egli legge sui giornali di sentenze comminanti condanne dello Stato per danni provocati dalla “non ragionevole” durata del processo o, assai peggio, debba indignarsi al dilagare progressivo della criminalità.
Ritengo di potere affermare che con la creazione di una tale forza di pronto impiego verrebbero realizzati i tre importanti obiettivi, che tutti i cittadini auspicano, di una Giustizia civile più celere, più efficiente, più flessibile alle mutabili esigenze e più rispettosa della spesa pubblica. L’elevato spessore culturale, professionale ed etico della nostra Magistratura di carriera mi impedisce di credere che essa possa divergere radicalmente dall’analisi e dalla proposta da me prospettate. Devo però onestamente riconoscere che da recente sono divenuti via via più frequenti ed importanti i segnali di convergenza e di minore rigidità verso questi temi provenienti dall’Associazione Nazionale Magistrati, soprattutto in tema di produttività. Ho letto con attenzione le proposte di riforma del processo civile emerse nel recente convegno di Roma della A.N.M. e, per buona parte, le condivido. Da esse positivamente emerge che i Magistrati hanno finalmente acquisito, anche se con qualche riserva e perplessità, la piena consapevolezza che il varo del nuovo processo deve essere necessariamente accompagnato dalla fattiva collaborazione di una Magistratura laica, pur omettendo di indicare come regolamentarla. Non si nota più quella miopia preconcetta, manifesta fino a poco tempo fa nei documenti della A.N.M.-
Solo con interventi fondati sulla concretezza e sul pragmatismo, il Paese sarà posto in grado di recuperare il grave deficit di legalità e di uscire dalla crisi. Non desta meraviglia, su questi problemi, l’atteggiamento dogmatico e difensivo tenuto, fino a qualche tempo fa, da una parte non minoritaria della Magistratura, ben sapendo che l’istinto di conservazione è nella natura dell’uomo, che teme sempre pericoli da qualsiasi innovazione nella quale vede sospettosamente ostacoli, nemici ed intenti punitivi, laddove, invece, vi sono amici fidati, soluzioni realistiche dei problemi e concreti vantaggi per lui e, soprattutto, per la comunità.
Confido che queste mie indicazioni, non sufficientemente approfondite per ragioni di tempo e di rispetto per chi mi ascolta, siano utili, quantomeno, per stimolare un sereno e proficuo dibattito, auspicando comunque che non si non litighi sui principi, consapevoli, come certamente siamo, che l’etica si difende con regole efficaci e puntando dritto verso i risultati e gli interessi dei cittadini, in nome dei quali, non dimentichiamolo, i Giudici sono chiamati a rendere giustizia. Vi ringrazio per la attenzione da voi prestata a questa mia esposizione, che spero giudicherete sincera e trasparente, confessandovi presuntuosamente di essere uno dei pochi o dei tanti, non li ho contati, ancora capace di rabbia e di denuncia per le molte cose che non vanno. Vengo spesso invitato alla prudenza nel relazionarmi col prossimo e ciò mi deprime perché mi induce a pensare ad un tipo di comunità i cui appartenenti autoriducono per timore o per soggezione, in un atteggiamento emotivo e personale, gli spazi del civile confronto fra opinioni diverse. Preferisco però essere giudicato imprudente piuttosto che pavido. Vi ringrazio ancora.

Tabella n. 1
Giudizi assegnati alle Sezioni Stralcio n. 11.803 + 250 circa delle Preture, per un totale di 12.053;
n. 8.100 giudizi esauriti fino al 31.01.2002 di cui n. 4.650 con sentenza.
Giudizi pendenti al 31.01.2002, n. 3.953

Tabella n. 2
N. 254 impugnazioni su n.1704 sentenze emesse nell'anno 2000.
Percentuale delle impugnazioni poco meno del 15%.
Questo campione può essere ragionevolmente rappresentativo anche per gli altri anni.

Tabella n. 3
Imposta di registro riscossa mediamente su ogni sentenza £.1.000.000.
Importo complessivo dell'imposta su 4.650 sentenze £. 4.650.000.000.
Onorario medio liquidato per controversia £. 10.000.000, su cui grava l'I.V.A. al 20% e l’I.R.PE.F. media del 30%

Tabella n. 4
Costo netto complessivo delle Sezioni Stralcio di Catania in tre anni £. 11.463.750.000, così calcolato: Costo per n. 4.650 sentenze £ 1.116.250.000, ridotta del 30% quale aliquota media dell'I.R.PE.F.; £. 813.000.000 Indennità annuale di £. 20.000.000 corrisposta a ciascun Giudice per un complessivo di £. 650.000.000, al netto dell'I.R.PE.F. al 30%.
La tassa di iscrizione a ruolo e l'imposta di bollo pari a £. 350.000 circa per causa coprono gli altri costi.

Ipotesi sommaria di smaltimento dell'arretrato civile formatosi dopo il 1995 nel Tribunale Unificato di Catania dati statistici indicati nella relazione del Procuratore Generale a pagina 115 e segg.:

Capacità annuale di esaurimento del Tribunale Unificato di Catania di n. 10.838 cause.
Sopravvenienza annuale n. 9.641 cause. Pendenze al 30.06.2001 n. 20.273 cause, di cui circa la metà da considerare arretrato tenuto conto che le sopravvenienze annuali sono pari a circa 10.000 cause.
Capacità di smaltimento annuale delle Sezioni Stralcio nel periodo considerato n. 3147 cause.
Ipotesi dei tempi di smaltimento di tutto l'arretrato civile successivo al 1995 pari a circa 10.000 cause da parte delle Sezioni Stralcio con organico completo di 18 Giudici, fornito però di risorse materiali ed umane analoghe a quelle delle normali Sezioni in particolare computer, collegamento al Ced, assistenza di personale di cancelleria, biblioteca e materiale di cancelleria di varia natura: anni 2 e mesi 6, nell'ipotesi ragionevole di un incremento della capacità di esaurimento annuale elevata da 3147 a 4000 processi l'anno dovuto all'effettivo utilizzo di tutto l'organico ed all'aumento atteso della produttività pro capite.
Il costo dell'operazione sarebbe coperto, estrapolando le indicazioni che provengono dai dati effettivi, dalle entrate per imposte varie derivanti dalla "definizione" di tale arretrato, salvo errori ed eventuali omissioni.
La durata media dei processi diverrebbe di un anno circa.
L'eventuale aumento dei compensi per sentenza ai Giudici aggregati sarebbe ugualmente coperto dalle predette entrate.
--**--

LE SEZIONI STRALCIO DOPO TRE ANNI E LA LENTEZZA DELLA GIUSTIZIA ITALIANA
(intervento del G.O.A. Francesco Furnari)

Entrando nel palazzo di giustizia di Milano dalla porta centrale rileggo quelle sagge massime latine: “iurisprudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iustiatque iniusti scientia, iuris praecepta sunt haec honeste vivere, alterum non laedere,suum cuique tribuere; sumus ad iustitiam nati, neque opinione, sed natura costitutum est ius”.

Mi chiedo: come mai noi popolo latino, discendente da quei grandi giureconsulti romani, allora i primi nel mondo, oggi siamo in tema di giustizia gli ultimi di Europa ?

La Corte Europea dei diritti dell'Uomo condanna al 95% l'Italia e per il restante 5% tutti gli Stati aderenti al Consiglio d'Europa per la violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo sulla durata non ragionevole dei processi.
Occorre, pertanto, affrontare il problema della lentezza della giustizia ed individuarne le cause.
Innanzitutto, nel ringraziare gli intervenuti per le parole gratificanti sul consuntivo delle Sezioni Stralcio, dobbiamo ritenere che non può costituire una lode il resoconto di tre anni di funzionamento delle Sezioni Stralcio per la minore lentezza della giustizia amministrata da queste Sezioni e per la bassa percentuale degli appelli, i quali non hanno superato il 14 per cento, poiché i giudici di tali Sezioni sono in maggior parte avvocati con 40 anni di attività professionale, sicché l'elevato numero di sentenze depositate sono il normale frutto della loro maggiore esperienza.
Ora. a mio modesto avviso, tra le cause della lentezza della giustizia ne emergono due principali:
1) Il reclutamento dei magistrati.
Il magistrato può partecipare al concorso subito dopo la laurea, al contrario del praticante avvocato, che deve osservare un periodo di almeno due anni di pratica forense prima di sostenere l'esame di Stato, per cui il giudice all'inizio e un inesperto e corregge negli anni la sua inesperienza sulla pelle dei cittadini, in modo particolare oggi, dopo la soppressione del Pretore, per cui egli sin dai primi passi e Giudice di Tribunale. I suoi inevitabili errori sono un danno ed intralciano la giustizia; ciò non si verifica nel sistema anglosassone, ove il candidato per partecipare al concorso della magistratura deve avere prima esercitato per molti anni la professione dell'avvocato nelle due categorie del “solicitor” e del “barister”.

2) L'arretratezza.
Il modo come il magistrato applica la legge, la mancanza delle strutture, gli adempimenti burocratici e fiscali sono decisamente superati dai tempi.
Basta osservare una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per accorgersi che essa e fatta di poche righe di esposizione in fatto, altrettante di quella in diritto e più breve ancora e il dispositivo. Essa viene pubblicata in “internet” e se ne può estrarre copia dal computer lo stesso giorno della decisione, senza bolli, né diritti di rilascio, né formula esecutiva.
In Italia, quindi siamo indietro e lo siamo anche nelle strutture giudiziarie, mancano aule, Cancellieri e dattilografi perché lo Stato finora ha speso assai poco per la giustizia.

La lentezza della giustizia, a mio avviso è la conseguenza del modo anch’esso arretrato come viene applicata la giustizia in Italia. Questo concetto è stato espresso in un mio intervento all'Università di Catania in occasione dei Convegno Nazionale dei Filosofi del Diritto. L'Università Italiana è ancora oggi baronale e feudale, essa fornisce inutili disquisizioni teoriche e non è collegata con la vita pratica del diritto, motivo per cui il giovane laureato, che ancora ventenne diventa magistrato, crede ciecamente in quelle teorie dei diritto e venera la legge come un santo, non accorgendosi che la legge è solo una regola sociale mutevole nel tempo; essa non è un fine, ma un mezzo per raggiungere la giustizia. Ciò non significa che il giudice è “legibus solutus”, dovendosi egli servire della legge, come il pittore della tela e del colore per dipingere il quadro, che è l'opera finale, ne ciò significa andare contro il principio di legalità, sancito dall'art. 101, 2° comma, della Costituzione, tanto apprezzato giustamente da Piero Calamandrei, né proporre il giudizio di equità per tutti i casi, come previsto fino al valore di £. 2.000.000 dal 2° comma dell'art. 113 c.p.c., poiché a mio avviso la legge deve costituire al contempo il mezzo ed il limite per il giudice, il quale è tenuto ad applicare una volontà che non e la sua, ma quella contenuta nella norma giuridica; infatti, come dicevano i giureconsulti romani, “scire leges non est earum verba tenere, sed vim ac potestatem.

Il giudice italiano invece cerca a tutti i costi l'applicazione rigida della legge non la giustizia e ciò e dimostrato nel caso in cui, per esempio, dopo 15 anni rigetta la domanda dichiarando il difetto di giurisdizione ed argomentando con una lunga quanto inutile sentenza che si trattava di interessi legittimi e non di diritti soggettivi.
Si tratta di bizantinismi e sembra che siamo rimasti al 1300 dopo Cristo, cioè ai modi filosofici di amministrare la giustizia nell'impero romano d'oriente, in spregio ancora all'insegnamento latino: “littera occidit, spiritus autem vivificat”.

Occorrono, quindi, non solo mezzi economici, ma anche nuovi metodi e diversa mentalità del giudice, il quale dovrà capire che la sua missione e rendere giustizia e non rendere legge, perché il cittadino non chiede affatto l'applicazione formale della legge (per ciò basterebbe il computer), ma semplicemente giustizia.

Finché la cultura giuridica italiana non si evolverà e non farà proprio questo concetto sarà inutile ampliare gli organici ed assumere nuovo personale di magistrati, perché la giustizia sarà sempre burocratica e lenta, fino a quando il giudice italiano non avrà capito che la giustizia non e burocrazia, né atto di imperio o di arroganza ma solo umanità, per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
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RELAZIONE DI SINTESI DEL CONVEGNO
di Giuseppe Petrantoni
Presidente Associazione Regionale G.O.A.

La numerosa ed interessata partecipazione al convegno di tante personalità rappresentative dell'Ordine Giudiziario e del Parlamento e la loro responsabile riflessione sul grave ed irresoluto problema dei ritardi della Giustizia Civile, ha conferito al nostro incontro già un primo contributo sull'effettiva volontà di formulazione di proposte di agevole ed immediata attuazione per la più idonea risoluzione del problema.
Preso atto, com'era di doverosa evidenza, che l’intervento delle Sezioni Stralcio, così come ormai riconosciuto unanimamente dai Procuratori Generali, dal Procuratore Generale presso la Cassazione, dai Ministri della Giustizia avvicentatisi, dal Presidente della Repubblica e dagli Ordini degli Avvocati, ha pressoché esaurito l'enorme mole di arretrato civile consolidatosi fino al 1995 (relazione Giudice Aggregato Avv. Ferrante ed intervento del Sig. Presidente della 1^ Sezione Stralcio del Tribunale, Dott. Lucchese); che le perplessità iniziali sono state superate dal risultato del lavoro dei Giudici Onorari Aggregati e che la loro esperienza ha funzionato oltre che per la qualità dei prodotto anche dal punto di vista economico della produttività (relazione del Sen. Prof. Guido Ziccone); che tanto gli esponenti dell'Avvocatura quanto quelli della Magistratura hanno sostanzialmente concordato sul ricorso alla giustizia onoraria per il conseguimento di quelle risposto immediate che l'odierna Società esige (relazione Avv. Leonardi e Avv. Stazzone ed intervento del Dott. De Marco, Presidente della Sezione di Catania dell’Associazione Nazionale Magistrati); che in definitiva tutti gli intervenuti hanno concordemente convenuto sull'opportunità di non far disperdere e di utilizzare al meglio questo patrimonio di uomini e di esperienza vieppiù specializzatosi per la gravosità dei compiti affrontati e positivamente risolti, ( per come conferma la scarsa incidenza delle decisioni appellate).
Le conclusioni più indicative che un'occasione così qualificata di incontro e di dibattito ha offerto, sono le seguenti:
-Gravità ed improcrastinabilità del problema Giustizia Civile;
-Sostanziale efficacia risolutiva del rimedio GG.OO.AA.;
-Entità e disponibilità di un patrimonio professionale sperimentato;
-Convenienza ed economicità di impiego in termini di costi benefici
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LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA CIVILE ALCUNI
SPUNTI DI RIFLESSIONE IN TEMA DI EFFICIENZA NELLA P.A
di Francesco Ferrante
Università di Cassino

Introduzione
I tempi lunghi della giustizia civile e l'incertezza che a essi si associa sull'estensione effettiva dei diritti a contenuto patrimoniale e sul valore delle transazioni, rappresentano elementi di forte preoccupazione per l'economista poiché incidono significativamente sull'efficienza complessiva del sistema economico e sulla sua capacità di generare benessere. Tale incertezza si traduce, per usare una terminologia cara all'economista, in elevati costi di transazione, cioè in significativi costi d'uso dei mercati, che ne riducono l'efficienza complessiva.
Quest'esito si realizza non solo perché gli operatori sono sottoposti ad un'alea eccessiva sull'estensione effettiva dei diritti di proprietà ma anche perché, venendo ad essere minata la fiducia nello stato di diritto, risulta impoverito il capitale sociale relazionale, elemento primario che sta alla base del funzionamento di una moderna economia di mercato. La storia anche recente c'insegna che lo sviluppo socio-economico di una nazione è condizionato dalle dimensioni di tale capitale relazionale e che il suo impoverimento può essere causa di gravi crisi economiche e politiche (si veda il caso recente dell'Argentina) e della messa in discussione del contratto sociale che sta alla base delle moderne democrazie. Spero che questa premessa fornisca sufficiente giustificazione alla presenza di un economista ad un dibattito sull'efficienza della giustizia civile.
Evidentemente, tenuto conto anche dei tempi a disposizione, sarò costretto a limitarmi ad alcuni spunti di riflessione che non hanno alcuna pretesa di riassumere l'articolata e consolidata letteratura economica rilevante in questa materia.
La prospettiva dell'economista nell'affrontare le problematiche legate all'efficienza della giustizia è, evidentemente, diversa da quella del giurista. La differenza sostanziale di metodo tra giuristi ed economisti va attribuita al fatto che i primi analizzano i comportamenti umani in termini normativi, cioè avendo a riferimento il dover essere mentre gli economisti si occupano degli incentivi economici latu sensu, che stanno alla base dei comportamenti effettivi degli individui. Quindi, mentre i giuristi sono principalmente interessati a principi e norme astratte, alle quali dovrebbero conformarsi i comportamenti, gli economisti guardano soprattutto al grado d'adeguatezza degli incentivi rispetto agli obiettivi desiderati e, conseguentemente, agli eventuali cambiamenti richiesti affinché gli incentivi siano quelli appropriati rispetto agli obiettivi prefissati. Due termini chiave esprimono il tutto: l'economista si occupa di efficacia e di efficienza delle azioni umane nei diversi contesti specifici - siano essi un'impresa privata, la P.A., un'organizzazioni no-profit o il nucleo famigliare - a prescindere dalla rispondenza di queste azioni alle norme morali i giuridiche.
In termini generali, la possibilità di valutare l'adeguatezza di un dato assetto organizzativo nel generare incentivi appropriati ai fini perseguiti - cioè la possibilità di effettuare valutazioni di efficienza ed efficacia - richiede che siano soddisfatte alcune condizioni:
Che siano esplicitati puntualmente gli obiettivi delle azione/ comportamenti oggetto di analisi;
Che siano identificate e misurate correttamente le relazioni di causalità tra azioni e risultati (ad es., nel caso di un'impresa, potremo chiederci se il suo fallimento sia addebitabile ad un management inadeguato o, in alternativa a causa di fattori di mercato imprevisti ed imprevedibili; o, nel caso, di un'azienda locale dei trasporti, se il deficit di bilancio dell'azienda dipende da scelte sbagliate del management o da fattori esterni incontrollabili).
Ove ciò sia realizzabile, risulta anche auspicabile:
porre in essere i cambiamenti appropriati (se, nell'esempio precedente, la causa del deficit è esterna ed io licenzio dei buoni managers evidentemente non faccio un buon servizio agli azionisti….);
remunerare coloro che partecipano alla realizzazione del risultato in funzione del loro contributo effettivo alla sua realizzazione.
Evidentemente, le difficoltà nell'attuare concretamente queste procedure dipendono dal contesto specifico al quale sono applicate, tipicamente, dalle opportunità che esso offre di realizzare tutti i passaggi richiesti per una corretta valutazione di obiettivi, azioni e risultati. Nel caso di attività di mercato, l'operazione risulta facilitata dal fatto che il valore/risultato delle azioni è fissato oggettivamente attraverso gli scambi realizzati sul mercato, il quale costituisce l'arbitro di ultima istanza dei comportamenti individuali e delle organizzazioni. Così, pur con tutte le qualificazioni del caso, la remunerazione di un lavoratore o di un manager costituisce la valutazione attribuita dalla collettività attraverso il mercato del contributo che questi ultimi danno all'attività di produzione di beni e servizi. Evidentemente, più complessa è la valutazione dei risultati dell'attività della P.A., per la quale non esiste spesso un mercato di riferimento, se non quello politico che si attiva nelle fasi di consultazione elettorale e che presenta, comunque, elevati gradi di imperfezione.
Al di là della maggiore facilità di valutazione dalle attività di mercato, un'impresa privata che opera sul mercato condivide con la P.A i problemi legati alla valutazione del contributo individuale delle proprie risorse umane al risultato finale e, conseguentemente, quello della costruzione di un sistema corretto di incetivi incentivi (quanto remunerare i managers? Quali schemi di carriera incentivanti utilizzare?). Le difficoltà non hanno certo indotto le imprese a rinunziare ai tentativi di trovare soluzioni adeguate che, in gran parte, sono esportabili all'ambito pubblico. Occorre a questo proposito notare come non pochi economisti abbiano evidenziato che l'efficienza di un'organizzazione non dipende tanto dalla sua natura pubblica o privata, quanto dalla bontà dei sistemi di incentivi che le sono propri.
Le difficoltà nel valutare l'efficienza nelle organizzazioni che non agiscono sul mercato hanno indotto in passato a adottare due approcci, di diversa ispirazione ideologica, nel valutare l'attività della P.A. e gli spazi da destinare a essa:
il primo si basa sull'idea che, poiché l'attività della P.A non è controllabile e genera inefficienze sarebbe opportuno ridurla al minimo, privatizzando il più possibile;
il secondo, pur riconoscendo tali difficoltà e affermando il primato della presenza pubblica in alcuni settori della vita collettiva, propone quale soluzione intermedia l'utilizzo di meccanismi che, attraverso la simulazione del funzionamento del mercato all'interno delle P.A, generino appropriati incentivi e consentano di avvicinarsi ai risultati voluti, anche in queste organizzazioni.
E' a questa seconda filosofia che desidero dedicare spazio in questa sede. In particolare, ritengo che l'introduzione delle sezioni stralcio costituisca un interessante esperimento che ha generato, al di là dei buoni risultati in termini di riduzione dell'arretrato, informazioni utili al fine di predisporre meccanismi virtuosi di simulazione del funzionamento del mercato nell'ambito dell'organizzazione della giustizia.
Economia delle organizzazioni e del personale: il problema della misurazione delle performance e degli incentivi nell'ambito dei servizi per la giustizia
Sul tema dei meccanismi di valutazione dell'efficienza delle P.A. esiste oramai, su scala internazionale, un ricca e consolidata letteratura a cavallo tra economia, sociologia e diritto nonché numerose esperienze applicative di successo. Devo ammettere che la cosa per me più sorprendente è che, nell'ambito dei dibattiti sull’organizzazione della P.A., le indicazioni provenienti da questa letteratura e dalle esperienze internazionali siano state lasciate, tranne alcune eccezioni, al margine. Con la conseguenza che, nel nostro paese, la progettazione delle istituzioni responsabili dei vari settori di attività in ambito pubblico è stata quasi sempre realizzata senza tenere conto del fatto che queste ultime camminano sulle gambe degli individui i quali, dati i valori di riferimento individuali e collettivi, agiscono in risposta a precisi incentivi sia di natura monetaria (retribuzioni e loro evoluzione, premi, fringe benefits) che di natura extra monetaria (es. status, sanzioni disciplinari, carriera).
Sulla base di questa prospettiva parziale, gran parte dell'attenzione del legislatore è stata dedicata alle regole astratte di comportamento, alla previsione delle procedure formali, dimenticando che i comportamenti degli individui che agiscono nelle organizzazioni aderiscono a quelli astratti o previsti e le istituzioni raggiungo gli obiettivi fissati solo in quanto due condizioni fondamentali risultino soddisfatte:
le risorse umane e materiali assegnate risultino adeguate rispetto agli obiettivi fissati;
il sistema effettivo degli incentivi sia stato disegnato coerentemente con i risultati desiderati.
Non me ne vogliano i giuristi presenti, ma ritengo che questo sia anche il risultato di un eccessivo peso avuto dalla cultura giuridica, a scapito di quella economica, nell'ambito delle progettazione delle attività della P.A., elemento che ha indotto a mantenere sempre in secondo piano gli aspetti di efficienza ed efficacia. Cioè, l'analisi economica del diritto amministrativo.
Una delle principali conseguenza di questa approccio è che il mancato raggiungimento dei fini istituzionali, nei vari ambiti di azione pubblica, non ha portato a domandarsi, in prima istanza, se risorse e incentivi fossero adeguati bensì a discutere la bontà degli obiettivi e delle procedure formali, condannando il paese ad un perenne processo di riforma che congestiona l'apparato amministrativo nelle sue diverse articolazioni, non ultima, quella della giustizia.
Ritengo che gli spunti di riflessione qui proposti forniscano elementi alquanto oggettivi ed utili ad identificare almeno una parte delle ragioni effettive dell'inefficienza della giustizia civile, la cui misura più emblematica sono i tempi lunghi di conclusione delle procedure. A questo proposito, l'esperienza delle sezioni stralcio ha messo in luce tre punti che meritano, a mio parere, attenzione:
la riforma delle procedure è un aspetto importante ma forse non centrale per ridurre i tempi della giustizia civile;
la dotazione di risorse di supporto all'attività della magistratura nelle sue varie articolazioni è sicuramente un problema centrale all'efficienza della giustizia che va analizzato in maniera puntuale;
vi sono spazi per significativi miglioramenti di efficienza nell'uso delle risorse legati all'utilizzo di sistemi retributivi incentivanti che, sicuramente, vanno meglio calibrati; questa conclusione deriva dai dati sul numero pro-capite di sentenze dei GOA e induce a ritenere che sia possibile rispondere alla domanda di giustizia con un servizio qualitativamente omogeneo rispetto a quello realizzato dalla magistratura ordinaria (i dati sulla incidenza degli appelli ce lo confermano) ad un costo per unità di servizio erogata sostanzialmente inferiore.
Queste conclusioni forniscono indicazioni utili all'impostazione degli interventi di riforma del sistema nella direzione prima indicata, in particolare appare non eludibile:
un adeguamento delle risorse di supporto all'attività della magistratura civile;
l'introduzioni di sistemi di valutazione, retribuzione e di progressione nella carriera legati, in quanto possibile, ai risultati effettivamente conseguiti;
la creazione di un'organizzazione amministrativa di supporto, gestita secondo criteri di efficienza, da personale a ciò qualificato non appartenente ai ruoli della magistratura;
la creazione di un’autorità di controllo autonoma
Il tipo di informazioni necessarie ad intervenire nei tre ambiti sopra elencati sono in parte le stesse e riguardano le corretta ricostruzione delle caratteristiche del processo di produzione di servizi della giustizia, cioè l'identificazione del contributo delle varie componenti che partecipano alla erogazione del servizio - risorse umane, materiali ed immateriali - ai risultati finali. Tenuto conto del tempo a disposizione, mi concentrerò sul punto sub (b), relativo alla fattibilità di un sistema di indicatori di risultato ai quali collegare meccanismi retributivi e di carriera di tipo incentivante.
Ritengo opportuno precisare che qualsiasi innovazione istituzionale realizzata in questo campo debba garantire il rispetto del principio costituzionale irrinunciabile della separazione dei poteri, assegnando eventuali competenze in materia di valutazione e controllo ad un organismo neutrale ed autonomo rispetto agli altri poteri, in particolare, a quello esecutivo.
In alternativa, se ciò non risultasse politicamente fattibile, ritengo preferibile l'attuale stato di cose al rischio che l'introduzione di meccanismi di controllo della produttività si possa tradurre in una lesione dell'autonomia della magistratura.
Indicatori di performance e i sistemi retributivi e di carriera incentivanti
Il concetto centrale e articolato che entra in gioco quando si discute di valutazione dell'operato della P.A. è quello di accountability o possibilità di verificare le azioni rispetto agli obiettivi e di essere chiamati a rispondere per le azioni svolte. I presupposti dell'accountability e della fattibilità di schemi retributivi incentivanti sono sostanzialmente due:
la possibilità di fissare obiettivi chiari, articolati e quantificabili
la possibilità di correlare le azioni individuali o di gruppo ai risultati al fine di distinguere i contributi dei singoli o del gruppo e il ruolo giocato dai fattori non controllabili.
I passi necessari in questa direzione sono:
A. L'identificazione di parametri di efficienza significativi nell’ambito della produzione dei servizi della giustizia (multidimensionali e articolati per funzioni omogenee);
B. L'individuazione dei fattori specifici che influenzano la produttività nella erogazioni dei servizi e concorrono a determinare a produttività di singole unità omogenee di personale od organizzative;
C) L'elaborazione di sistemi di indicatori che consentano di effettuare confronti di produttività su scala nazionale e per ambiti omogenei di funzioni e di affinare nel tempo gli indicatori.
Queste informazioni appropriatamente trattate dovrebbero consentire, attraverso aggiustamenti sequenziali, di ricavare informazioni utili agli scopi prima descritti e cioè:
individuazione dei fabbisogni di risorse materiali ed umane di supporto e dei criteri per la loro efficiente allocazione;
costruzione di meccanismi retributivi e di carriera che consentono di collegare in maniera corretta impegno, capacità e risultati.
Tenuto conto della gravità dei problemi legati alla durata dei processi, ritengo che sia divenuto non eludibile affrontare la riforma della giustizia civile a partire da una corretta analisi della situazione, che riconosca il ruolo dei meccanismi sopra descritti. Il lavoro da fare è molto ma l'esperienza maturata in altre realtà potrà essere di ausilio nel ridurre i tempi di attuazione e gli errori di percorso.
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SULLE “SEZIONI STRALCIO” DEI TRIBUNALI CIVILI
Intervento di Giancarlo Scardillo
Già s’è detto del perché della sofferta istituzione delle Sezioni Stralcio, della non più procrastinabile esigenza di procedere all’eliminazione dell’arretrato dei giudizi civili fino al 1995.
Anche dei risultati conseguiti dalla due Sezioni Stralcio catanesi già abbiamo sentito e sono stati forniti dati statistici più che soddisfacenti.
Dei dati fornitici, desidero ricordare soltanto quelli afferenti i costi e gli introiti per le casse dello Stato, relativi alle due Sezioni Stralcio catanesi: per il funzionamento delle due Sezioni Stralcio di questo Tribunale, lo Stato ha speso orientativamente la somma omnicomprensiva (comprensiva, perciò, di spese di Cancelleria, locali, materiale e quant’altro, nonché degli emolumenti corrisposti) di circa £. 1 miliardo 463 milioni (in particolare, la retribuzione per ciascun giudice delle Sezioni Stralcio è, al lordo, di £. 20.000.000 annue, che si riducono a £. 10.000.000 annui (sempre lorde), se il giudice gode di redditi, di qualunque natura, oltre i 60.000.000 (lordi) l’anno. A tale fisso vanno aggiunte £. 250.000 (lorde) a sentenza).
L’esperienza delle Sezioni Stralcio, i risultati positivi conseguiti, circostanza, questa, ampiamente ammessa e ricorrente nelle relazioni della pressoché totalità dei Sigg. Procuratori Generali in occasione dell’inaugurazione del corrente anno giudiziario, dal Sig. Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione (il quale ha dato pubblicamente atto che fra i fattori che hanno permesso un miglioramento dei risultati nel settore civile, è da ricomprendersi la, testualmente, “decisiva positività” dell’introduzione del giudice unico, delle sezioni stralcio e dei giudici onorari aggregati) dal Sig. Ministro della Giustizia (l’attuale e i due che lo hanno preceduto) e dal Sig. Presidente della Repubblica, consentono le seguenti considerazioni:
1 – Ben può applicarsi anche all’Amministrazione della Giustizia, con ogni opportuno adattamento, perfino il principio di "esternalizzazione" delle funzioni che ha avuto grande fortuna nell’ambito delle imprese industriali: esso consente di "portare fuori" dall'ambito della magistratura cd. togata o professionale, giudizi e funzioni in materia civile (ma l’esperimento potrebbe estendersi all’amministrativo ed al penale), affidandoli alla magistratura onoraria, in tal modo velocizzando i giudizi con il consentire ai magistrati togati di essere gravati da minor numero di processi, il tutto a costi assai ridotti, addirittura ampiamente compensati e di gran lunga superati dagli introiti che pervengono alla casse dello Stato per ogni sentenza emessa in termini di imposte, bolli, registrazione, ecc..
2 – S’è dimostrato che una autoreferenzialità totale della magistratura togata non ha più ragione di esistere, perché molte attività giurisdizionali possono essere degnamente e proficuamente assolte da magistrati non togati, ove si curi un’effettiva selezione dei soggetti da nominare, come, in genere, è avvenuto per la nomina dei giudici onorari aggregati (G.O.A.): avvocati con molti anni d’esperienza, magistrati a riposo, avvocati e procuratori dello stato a riposo e delle avvocature pubbliche, professori universitari e ricercatori universitari confermati in materie giuridiche, notai anche in pensione.
Si tratta, allora, di confermare ed estendere l’esperienza, affidando ai giudici onorari aggregati la trattazione di controversie oltre il limite temporale di cui alla legge istitutiva (la legge 22 luglio 1997 n. 276, volta a definire i procedimenti civili pendenti avanti al Tribunale alla data dei 30 aprile 1995, fissa in cinque anni la durata dell'ufficio), in tal modo evitando, oltre tutto, la dispersione, a danno della “Giustizia”, perciò dell’intera collettività, di professionalità già ampiamente acquisite, che hanno prodotto buoni risultati.
Il “materiale” certo non manca.
L’arretrato presso i Tribunali è ancora notevolissimo, presso le Corti d’Appello i ritardi permangono endemici (e, come è logico, maggiori sentenze di primo grado, comportano maggiori “appelli”), la Sezione Lavoro è oberata da rilevantissimo carico ed arretrato, altrettanto la Sezione Fallimentare, quella Agraria, ecc..
E' tempo di comprendere, superando perniciosi “corporativismi” e complessi da “primi della classe”, che l’ampliamento temporale e funzionale che si propone offre, s’è dimostrato, indubbi, tangibili vantaggi per la rapidità delle decisioni e per l'alleggerimento del lavoro della magistratura togata, che potrebbe maggiormente dedicarsi alla parte per certi versi più delicata dell'attività giurisdizionale, quella penale, perché ad essa si connettono le misure restrittive della libertà delle persone.
Certo è illogico pretendere l’eventuale prosecuzione del lavoro dei giudici aggregati mantenendo l’attuale retribuzione che, pertanto, deve essere rivalutata alla luce degli anni trascorsi dalla legge istitutiva, delle professionalità dei soggetti nominati, della loro anzianità ed esperienza e dei positivi risultati conseguiti nell’interesse pubblico.
Ove si tenga presente che la maggior parte dei giudici aggregati, per bene servire, ha trascurato il proprio studio professionale (o, addirittura, ha scelto la cancellazione dall’Albo professionale), sembra doveroso un loro stabile inquadramento nell’ordinamento giudiziario, in una qualunque forma che, conservando l’attuale pressoché identità di compiti e funzioni con il giudice togato, faccia salva la dignità di anziani avvocati, e (pur se pochi) docenti universitari e notai.
A ciò non osta l’annunciato concorso per l’assunzione di 1.000 giudici togati: il tempo per l’espletamento del concorso, per l’immissione in servizio dei vincitori, per il periodo di “uditorato”, per l’assegnazione della Sede (presumibilmente non meno di 4 – 5 anni), in uno ai pensionamenti che frattanto interverrebbero, di certo ancor più “affosserebbe” il sistema Giustizia (e, tra l’altro, sia consentito affermare, giovani magistrati togati non conseguirebbero, nell’immediato, i medesimi risultati di anziani e selezionati giudici onorari aggregati, per legge istitutiva e per legge di natura, dotati di notevole esperienza).
L’occasione per il proficuo inserimento dei giudici onorari aggregati – certo, come si è detto, dignitosamente inquadrati e retribuiti – ben potrebbe essere rappresentata proprio dalla riforma, anch’essa annunciata, del processo civile.
Mi sia consentito concludere ricordando talune affermazioni, perché di certo non confliggenti con quanto prima ho esposto, stralciate da autorevoli interventi del Sig. Presidente della Repubblica e dall’allora Sig. Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Dott. Mario Cicala.
Il Sig. Presidente della Repubblica:
1) In occasione della seduta del Consiglio Superiore della Magistratura del 5 marzo 2001, così ebbe a dire: "Nell'immediato, il problema degli organici va affrontato con la più razionale utilizzazione dei meccanismi e delle risorse già disponibili. Il Consiglio Superiore potrebbe elaborare su questo tema il progetto di una nuova struttura degli uffici giudiziari fondato sull'impiego di principi e metodi propriamente "manageriali". Sullo sfondo dei problemi esaminati, va collocata la cultura dell'amministrazione della giustizia, ispirata al criterio della rigorosa valutazione della produttività dei singoli magistrati. Per quanto riguarda i Giudici onorari aggregati - sulla cui attività nel campo dello smaltimento dell'arretrato civile, la maggior parte delle relazioni dei Procuratori Generali formula giudizi positivi – debbo rilevare che da alcune di tali relazioni risultano preoccupanti scoperture degli organici”.
2) In occasione del saluto agli uditori giudiziari convenuti a Roma per la scelta delle sedi il 17 novembre 2000 ha affermato: “La "produttività" … del vostro lavoro è essenziale, pregiudiziale all'ordinato svolgimento della vita civile. La Costituzione è chiara: secondo la Costituzione nella vostra vita professionale dovrete essere autonomi, indipendenti e soggetti solo alla legge. Sulla tutela di questi valori fondamentali e irrinunciabili, coessenziali al nostro ordinamento, come sulla tutela della dignità della vostra funzione, vigila il Consiglio Superiore della Magistratura. Ma i primi garanti della autonomia e della indipendenza del vostro lavoro dovete essere voi stessi, con la vostra irreprensibile condotta, con l'astensione da comportamenti ed esternazioni non pienamente conformi all'etica della vostra missione, con la capacità anche - all'inizio ho parlato di umiltà - di accettare le critiche legittime al vostro operato e di riconoscere gli errori eventualmente compiuti.
Il processo civile, per quanto riguarda lo smaltimento del pesante arretrato, si sta attualmente giovando proficuamente del lavoro dei Giudici Onorari Aggregati che operano nelle Sezioni stralcio".
Il Dott. Mario Cicala in un articolo intitolato “Giustizia malata” apparso in "Il nostro tempo" del 28 gennaio 2001, ha affermato: “Le relazioni del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dei Procuratori Generali delle 23 Corti d'Appello italiane hanno ancora una volta sottolineato come il problema della efficienza costituisca ormai il nodo centrale della crisi della nostra giustizia e, quindi, del nostro stato che ormai è difficile definire uno "stato di diritto", così come invece vorrebbe l'art. 6 del Trattato Istitutivo della Comunità europea. Lo stato di diritto è costume di vita, prassi costante, modo di essere della Società; esso vive nella realtà concreta e pertanto non è mai compiutamente e definitivamente attuato, ma deve essere creato giorno per giorno dalle donne e dagli uomini che vi appartengono; incalzati dal "senso dello Stato", cioè da un impulso che induce a scavalcare egoismi e particolarismi in una visione di alta idealità, che accomuna, quasi in una religiosità laica, credenti e non credenti.
Tutti ogni giorno però dobbiamo amaramente constatare come simile modello -nonostante il generoso sforzo di molti che sovente hanno pagato con la vita il loro impegno- non sia attuato in Italia; quindi dobbiamo condividere le allarmate parole del Procuratore Generale della Cassazione Favara secondo cui il processo è il "grande malato" della nostra Società. Vi è del resto da sottolineare come dall'insieme delle relazioni emerga un tema di immediato spessore: la rilevanza del fattore tempo. Il decorso del tempo può vanificare lo steso oggetto del giudizio ... il decorso del tempo cancella, attraverso la prescrizione, la ragion d'essere della decisione punitiva. L'eccessiva durata del processo mina la certezza del diritto, e concorre a porre in forse la stessa prevedibilità delle decisioni. Perciò ben a ragione il Procuratore Generale della Cassazione ha criticato l'atteggiamento di molti magistrati che insieme agli avvocati "tendono a formalizzare ogni controversia in un processo di lunga durata e a rifugiarsi nei ritmi lenti e comodi". La coscienza della necessità di ritmi processuali più rapidi ed efficaci non è però rimasta nell'anno trascorso senza qualche risposta. Si tratta per ora di timidi segni di miglioramento - circoscritti al ramo civile- ma pur sempre di speranze per una "inversione di tendenza" nelle leggi, negli strumenti concreti per la gestione dei processi e nelle prassi.
Unanime è stato il giudizio positivo sull'opera del vasto numero di giudici non di carriera o "onorari" che è stato messo in campo da leggi recenti: giudici di pace e giudici onorari aggregati hanno smaltito una notevole mole di lavoro; e le preoccupazioni circa una insufficiente preparazione tecnica di questi magistrati si sono rivelate in gran parte infondate".
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MOZIONE DEI GIUDICI ONORARI AGGREGATI
DELLE SEZIONI STRALCIO DEL TRIBUNALE DI CATANIA
Magistratura Onoraria nell'Ordinamento Giudiziario: quali prospettive? “Cui prodest " il modo col quale, a volte, la Magistratura si misura con questi problemi ?
Da un sommario esame del "pensiero" della Magistratura di carriera in ordine ai problemi relativi alla collocazione dei Magistrati laici nella Giurisdizione emerge la preoccupazione, sovrana su ogni altra, che siano chiamati a collaborare in questa attività persone di buona preparazione professionale ed, in qualche modo, dotate di regole idonee a salvaguardarne la autonomia ed indipendenza e, quindi, di uno status diverso e più articolato di quello vigente.
Troviamo fondata e legittima tale preoccupazione, ma rileviamo come a volte sia errato e maldestro il tipo di approccio nei confronti dei problemi, certamente gravi, di questa categoria da parte di chi, pensando di difendere i principi dell'autonomia e dell'indipendenza, lancia inconsapevolmente pesanti sassi nel lago, già procelloso, dei numerosi Giudici laici.
Si dimentica, così, che senza la loro innegabile collaborazione, l'amministrazione della Giustizia in Italia sarebbe in una crisi probabilmente senza uscite; è infatti sconveniente chiamare i pompieri e farli entrare nel Palazzo per salvarlo dalle fiamme, e poi contestarne l'opera o l'utilità.
Questo giudizio si trae dalla concreta chiusura, di chiara conservazione pur mascherata da una disponibilità verbale, a ricercare future ed incerte soluzioni, dimostrata da settori della Magistratura di carriera e della politica, verso i problemi dei Giudici onorari.
Motivi di convenienza dovrebbero suggerire maggiore cautela, atteso che questi giovani e meno giovani Magistrati laici, reclutati nei modi più diversi ed impropri, in molti casi amministrano con pienezza la Giurisdizione allo stesso modo dei Giudici di carriera, della cui sicurezza sociale, professionale ed economica sono quotidiani testimoni ma non fruitori.
E' inevitabile che i Magistrati laici traggano da questa loro obiettiva condizione di lavoro i motivi per pretendere che nell'agenda politica, insieme alle altre grandi tematiche della Giurisdizione, entrino a far parte la scelta dei criteri per uscire dalla loro evidente precarietà e, per quanto riguarda i giovani, una riforma dei modi di reclutamento dei Giudici.
Ciò premesso, sorgono naturali le seguenti riflessioni:
1) se non sia il caso, in questo particolare momento di evidente e gravissima emergenza della Giustizia, osservare soprattutto la qualità, l'entità ed il costo del prodotto Giustizia comunque reso dai Magistrati laici, così capovolgendo, in modo chiaramente scientifico ed empirico, il senso delle indagini indirizzate prevalentemente sui criteri, assai diversi fra loro, di reclutamento dei Giudici onorari, ponendo invece sul tappeto seri e concreti modi di proseguire nella loro massiccia utilizzazione e fissando regole certe dei loro "status".
Per evitare una demagogica ed inammissibile sanatoria relativamente ai Giudici Onorari di Tribunale ed ai Vice Procuratori Onorari, si potrebbero mutuare dall'Ordinamento Universitario regole e prassi ed, in particolare, il metodo iniziale di cooptazione o selezione fra i migliori, da inserire nel costituendo Ufficio dei Giudice con funzione gregaria e, dopo non meno tre anni, un concorso per Giudice per titoli ed esami, nel quale i titoli sono rappresentati dal prodotto intellettuale ( provvedimenti giurisdizionali ed ogni altra attività effettivamente svolta).
Tale operazione, corretta per i giovani, non ha alcun senso ovviamente, anche per quanto si dirà appresso, nel caso degli anziani Giudici aggregati di Tribunale, che hanno adeguatamente svolto il lavoro a loro affidato.
2) Se non sia a questo punto utile e necessario agli interessi della Comunità, una volta accertata la bontà o almeno la sufficienza dei prodotto dei Giudici aggregati, già avvocati con adeguata esperienza professionale e selezionati con apposito concorso per titoli, prorogare la loro attività migliorandone il trattamento, anziché disquisire sull'assurdo ed inutile quesito se i Giudici Aggregati delle Sezioni Stralcio debbano essere inquadrati o meno nei ranghi della Magistratura, atteso che gli interessati non hanno ritenuto, pur possedendo idonei e certi meriti, di chiedere una tale collocazione, estranea alle loro aspirazioni.
Questa saggezza degli aggregati doveva essere motivo sufficiente per recidere ogni motivo di sospetto o di timore chiaramente paventato dai Giudici di carriera, che non perdono occasione, però, contrariamente alle aspettative, per farne paludata denuncia, di fatto opponendosi ad ogni ulteriore collaborazione, e per chiedere che alla scadenza prevista i Giudici aggregati cessino velocemente dal loro mandato.
Era ed è naturale aspettarsi dai Magistrati di carriera la loro solidarietà per le richieste formulate dagli aggregati, ma, al contrario, si spara stranamente sulla "Croce Rossa", laddove si consideri che il compenso annuale medio al netto delle imposte, lavorando a tempo pieno, non supera per costoro € 15.493,71 – 18.075.99 (30 35 milioni), importo che in molti casi viene utilizzato per ottenere una misera pensione forense di vecchiaia di £.1.200.000 mensili.
Non reca meraviglia il fatto che gli aggregati e gli altri reagiscano energicamente e con astio a queste assurde posizioni, atteso che essi mai hanno espresso opposizione alle legittime richieste sindacali della Magistratura di carriera.
3) Se sia utile ed abbia senso, quindi, da parte di non pochi sprovveduti, non si trova altra definizione, continuare velatamente a domandarsi se i Giudici Aggregati possiedano o meno i "quarti di nobiltà" necessari per entrare a far parte della Magistratura di carriera, così provocando banalmente lo sconcerto tra gli aggregati e le condizioni di un meschino confronto, che certamente non facilita la soluzione degli urgenti problemi della Giustizia. Confronto che vede schierata da un lato parte maggioritaria della Magistratura e dall'altro parte dell'Avvocatura, a difesa ciascuna delle proprie creature rispettivamente Giudice di Pace e Giudici aggregati dei Tribunali. Sta di fatto che per costoro gli accertati e cospicui risultati delle Sezioni Stralcio non hanno alcuna valenza, anche se ottenuti duramente in presenza di ingenerose critiche e nere previsioni, espresse con convinzione da opposti versanti sin dal loro sorgere.
4) Se i parlamentari, già Magistrati di carriera, vogliano anzitutto, nell'interesse dei cittadini, la concreta ed ottimale soluzione dei problemi della Giustizia, come è nel loro attuale mandato, assumendo i provvedimenti relativi alla utilizzazione al meglio in futuro, con l'eventuale taglio di rami secchi, come è auspicabile e corretto avvenga in tutti i settori della P.A., le Sezioni Stralcio oppure, anche nello specifico caso, intendano schierarsi, al di là di ogni altro interesse ed in modo dei tutto irragionevole ed incomprensibile, insieme a chi si oppone al riuscito esperimento.
Queste considerazioni si propongono di spingere il dibattito su temi scarsamente trattati nei convegni ma ampiamente discussi nei corridoi, sui quali occorre fare definitiva chiarezza.
Gli anziani avvocati, prestati temporaneamente ed eccezionalmente alla Magistratura, hanno infatti il diritto di sapere con la necessaria tempestività se il positivo esperimento delle Sezioni Stralcio avrà un futuro e con quali prospettive, atteso che finora lo Stato, in un atteggiamento di chiaro sapore mercantilista, ha dato a costoro poco e preso da loro molto, in termini di gratificazione morale ed economica.
Essi avvertono "uti cives", infatti, il palese pericolo che venga disperso inutilmente un patrimonio di risorse professionali a tutto danno della Comunità, con un'operazione volgarmente definita di "usa e getta", pur di venire incontro ad una forte, ma immotivata e, per molti versi irragionevole, opposizione di consistenti settori della Magistratura e dell'Avvocatura.
 

Marzo 2002
 

 Giudici Onorari Aggregati

 1^ e 2^ Sezione Stralcio del Tribunale di Catania




 

 


 

 

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