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Contributo al dibattito sull’amicizia

di Pino Ferrante
 

Quando sono stato invitato dalla ASSOCIAZIONE ETHOS e da Angelo Gentile ad intervenire su questo tema impegnativo mi sono sentito lusingato e, insieme, emotivamente coinvolto, perché mi sarebbe toccato parlare, anzitutto, di quest’ultimo,  mio amico. Sin dall’inizio della nostra conoscenza per motivi professionali, erano gli anni 80’, ebbi a sperimentare la sua correttezza, la sua umanità e il suo modo  di relazionarsi col prossimo “gentile” quasi a conferma del suo casato. Sottolineo “prossimo” perché Angelo si comportava e continua a comportarsi con i suoi simili, senza alcuna distinzione, allo stesso modo e con i medesimi delicati sentimenti. Egli, semplicemente, è stato ed è vicino agli altri, pronto a spendersi  con i suoi consigli e con le sue premure.

Ciò detto, questo, per me, è l’aspetto caratteristico o antico dell’amicizia, pregnante atteggiamento dello spirito; sembrano, queste parole, impegnative  e importanti; sono invece inadeguate o addirittura banali stante la scarsa o impossibile esatta perimetrazione  o interpretazione concettuale del fenomeno amicale.

Come è facile desumere,  l’amicizia a me appare, prevalentemente,  quale vicinanza non solo all’altro o ad alcuni ma a tutti gli esseri umani. Sembrerà esagerata e semplicistica questa affermazione ma la considero, forse utopisticamente,  la rappresentazione più ampia ed espressiva dell’essenza stessa e del valore semantico del termine “amicizia”.

 Sottolineo il termine “ampiezza” perché la nobiltà del sentire amicale  appare filiazione naturale o estensione del concetto di fratellanza umana, nel senso laico e religioso più condiviso.

Trovo giusto e utile, come hanno fatto con successo gli altri relatori, perché si abbia migliore comprensione, che si torni a discutere della perimetrazione del tema o del rapporto amicale, inteso  in generale “interpersonale” o tra singoli individui o collocato entro ambiti di gruppi sociali o di compagnie sodali, più o meno organizzati. Si corre il rischio, in caso contrario, di rendere ostico e difficile legare il concetto di amicizia a quello di fratellanza.  

Mi accorgo che sto volando troppo in alto, ma non riesco, come mi è solito, evitarlo.

Torno sulla terra sottolineando come in questo momento storico, caratterizzato da lacerazioni individuali e sociali e da contrasti ideologici dirompenti, emerga con prepotenza la crisi profonda di tale nobile sentimento, nella sua versione antica universalmente accettata, e del suo lento e perdurante deteriorarsi.

Un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti, che ci angoscia e ci atterrisce.

Questo incontro o dibattito, per questo motivo, ritengo che sia utile nella misura in cui si indaghi sulle cause di tale tragica e negativa metamorfosi.

E’ mia opinione anche che questo sia il tema principale che ci debba emotivamente coinvolgere.

Sarebbe facile, infatti, essere retorici come lo fu Cicerone, per il quale l’amicizia è il più bel dono che un uomo possa ricevere.  Ma non voglio tediarvi con considerazioni consolidate e cristallizzate da secoli, anche se sono frutto di grandi pensatori del passato. Sono costoro, comunque, per la ricchezza del loro pensiero universale, rimanendo nel tema assegnato, i nostri migliori amici e suggeritori.

Desidero invece attivare il vostro interesse sul rapporto che intercorre tra l’empatia e l’amicizia, essendo  la prima istinto naturale, immedesimazione dell’uomo nel proprio simile o, come la definì Robert Vischer, la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura ed essendo la seconda, l’amicizia, il frutto della formazione e dell’educazione degli individui nel corso dei secoli, indirizzata, positivamente, nel culto del bene comune, della solidarietà e dei valori universali o, al contrario e negativamente, in quello della violenza, della xenofobia, dell’egocentrismo individuale e sociale, delle corruttele familistiche e clientelari e, in generale, degli antivalori.

L’empatia vive dentro di noi e nelle nostre viscere ( neuroni specchio) e subisce quotidianamente gli influssi della mediazione culturale attraverso le sue varie forme e fonti, di ordine comunitario, statuale, partitico, scolastico, religioso e così via.  Molto banalmente affermo che ci sono “buoni” rapporti di amicizia laddove c’è una società nella quale siano vincenti o almeno prevalenti i valori universali positivi e la cultura del bene comune. Oggi essi appaiono, per buona parte, quasi del tutto assenti. Il perseverante richiamo di Papa Francesco al loro recupero rappresenta il più importante e autorevole segnale della tragica gravità del decadimento etico e morale dell’umanità.

L’empatia viene, concettualmente e cronologicamente, prima della nascita del rapporto di amicizia; amicizia che, per essere virtuosa, deve essere coesione culturale in stretto e diretto rapporto con i processi educativi e formativi, anch’essi sempre positivi e virtuosi. In sintesi sono le “virtù”, in senso lato, fondamento della buona amicizia, contro la quale da sempre congiurano i molti fattori testè elencati.

La franchezza, ad esempio, è un valore ormai desueto. Capita raramente dire no o saper negare all’amico qualcosa il cui costo sarebbe il violare la legge o un giuramento.

Ciascuno di noi possiede una quantità o spessore di umanità e una capacità di offrire amicizia che è  in diretta, direi proporzionale, relazione alla prima. Il problema dei problemi che l’uomo deve risolvere è quello di favorire, alzandola sempre di più con la sua opera faticosa e quotidiana, l’asticella che misura l’altezza o la dimensione complessiva del sapere e dei valori dello spirito, da depurare dagli interessi mercantili, dall’istinto meschino di accumulazione e dagli altri malanni cui l’uomo è stato antropologicamente guidato nel corso dei secoli con l’applicazione di regole che hanno premiato l’egoismo, il nazionalismo, il razzismo, i pregiudizi politici e religiosi e le altre infinite malattie sociali, tutte fonti di inquinamento delle coscienze e, quindi, sorgive cicliche dei conflitti. Rammento, a tal proposito,il fenomeno assai recente del nazismo.

Faccio accenno ora a qualche aspetto scientifico, oggetto di  vasta letteratura, evidenziando che se si dovesse allargare la trattazione di un tema così spinoso anche alle recenti teorie psico - biologiche e alla recente scoperta dei cosiddetti “neuroni specchio” non basterebbero giorni e giorni di dibattito e sarebbe necessaria una conoscenza specialistica su questi temi, che io non possiedo. Mi limito perciò ad un appunto riferendovi, allo scopo di pura divulgazione, che lo studioso Giacomo Rizzolatti considera l’empatia “come parte del corredo genetico della specie”; essa non nasce, quindi, da uno sforzo intellettuale. Affermazione, come facilmente appare, di una radicalità e importanza scientifica assoluta.

L’amicizia non è un pianeta da esplorare, sarebbe limitato, mentre, emblematicamente, è l’universo con la sua infinitezza da osservare. Per molti versi, esso rappresenta l’armonia quale fondamento e contenuto di questo sentire naturale ed empatico degli uomini. Su esso, infatti, opino che si regga l’equilibrio fra gli astri, cioè il nostro sistema universale, la sua continuità e la sua eventuale fine. Questo sentimento, torno a ripetere empatico e amicale, è talmente profondo che lo definiamo viscerale, forse perchè intuiamo l’esistenza di quelle connessioni, testè prospettate, con la psicologia, con la medicina, con l’antropologia e con le altre scienze sociali. A tale proposito leggo alcuni concetti di un saggio dal titolo “La civiltà dell’empatia” del 2010 del grande economista degli USA Jeremy Rifkin, premettendo comunque una definizione di carattere generale:

“L’empatia è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui che si tratti di gioia che di dolore. Empatia significa “sentire dentro” ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale. Si tratta di un forte legame interpersonale e di un potente mezzo di cambiamento. Il concetto può prestarsi al facile riduttivismo del mettersi nei panni dell’altro, mentre invece significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo.

Per Rifkin “l’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia”, così come sopra definita. Sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo emphaticus. Leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi……Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute e la creatività. Quando una di queste tre colonne o l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo …. .Poi, però, ci pentiamo di aver fatto del male, perché non è proprio nella nostra natura”. 

La mia ignoranza su queste tematiche scientifiche mi inducono banalmente a chiudere il mio contributo con l’auspicio di sapere difendere dal male i nostri neuroni specchio e la civiltà “sana” dell’empatia.

Preferisco, però, concludere, con lo stesso fervore di Papa Francesco ma non con la sua autorevolezza, con un appello: cerchiamo in ogni modo di essere virtuosi “conditio sine qua non” per essere anche buoni amici. O ancor meglio fratelli.

 

Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  Via Lavina, 368 – 95025 Aci Sant’Antonio
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