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               CRISI e DISOCCUPAZIONE


Calo di produttività, scarsi e disordinati investimenti, normative non adeguate ai tempi, fatiscente tecnica innovativa e organizzativa.

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Associazione ETHOS – 8 maggio 2015 –
Intervento di Augusto Lucchese sul tema:
“Paure e ricerca di certezze nella società di oggi”
Relatore l’Avv. Pino Ferrante.
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Già all’inizio della sua dotta e brillante trattazione del tema enunciato, l’avv. Ferrante s’è soffermato, a ragion veduta, sui rischi della disoccupazione e dei licenziamenti e sulle conseguenti paure individuali e collettive, alla luce delle difficoltà economiche che attanagliano il nostro Paese. Nessuno può disconoscere, in merito, che la contingente crisi occupazionale è un perverso e debilitante fenomeno sociale. Essa, direttamente o indirettamente, riguarda  la vita della stragrande massa degli italiani e fa parte delle menzionate paure individuali e collettive. Ai dati statistici attestanti la grave piaga della disoccupazione (13% circa su base media nazionale che diviene 45% nel settore giovanile) (1) potrebbero aggiungersi a breve, ove non si trovino a tempo gli opportuni rimedi, gli annunciati consistenti licenziamenti da parte di industrie controllate da gruppi stranieri e di aziende nazionali in decozione, fallite o improduttive.
Molti sostengono che il tutto è conseguenza della crisi globale che ormai da più di un lustro coinvolge la fragile economia reale del nostro Paese.
Pur prendendo atto degli effetti degenerativi della recessione mondiale innescata nel 2007 – 2008 dal fragoroso e devastante irrompere negli Stati Uniti della cosiddetta “bolla immobiliare” (subprime), ciò è vero solo in parte.
E’ bene ricordare, per inciso, lo scenario internazionale venutosi a creare a seguito della crisi finanziaria USA seguita al dissesto di svariati istituti di credito americani, fra cui, il più importante, quello della “LEHMAN BROTHERS” per circa 613 miliardi di $. Non si poté evitare, in quel frangente, il collasso del sistema economico statunitense e gravi furono le ripercussioni a livello borsistico. In un solo giorno andarono in fumo circa 1.200 miliardi di capitalizzazioni. Il Tesoro americano e la FEDERAL RESERVE (Banca Centrale USA) dovettero accollarsi il complessivo peso di ben 7.700 miliardi di $. a sostegno del sistema creditizio e assicurativo USA e di taluni Paesi dell’area della Sterlina. Ne derivò anche una dura fase di depressione del sistema economico internazionale e il relativo sconvolgimento recessivo si trasmise, per contagio, a quasi tutti i Paesi legati a filo doppio alla influenza del dollaro. Solo la Cina e l’India rimasero pressoché indenni mentre il Brasile, in fase di sviluppo, avvertì ben poco il contraccolpo, così come avvenne, in una prima fase, nella Russia di "Gazprom" e in parecchi Stati del pool petrolifero arabo.

La generalizzata carenza di liquidità, il crollo dei consumi, la caduta degli investimenti e dei redditi aziendali, la pesante contrazione della produttività industriale, determinò il dilagare della recessione globale.
Molti valenti economisti di fama mondiale, non hanno avuto perplessità alcuna nel paragonare quest’ultimo disastro socio-economico-finaziario alla grande depressione del 1929, anch’essa generatasi, vedi caso, negli USA. Allora tutto iniziò con il crollo della Borsa di Wall Street, avvenuta il 24 ottobre, il famoso “giovedì nero”.
Sarebbe troppo lungo e sicuramente prolisso snocciolare cifre, parametri e raffronti inerenti l’evolversi della crisi, sia in campo mondiale che nazionale. E’ tuttavia da evidenziare che a surriscaldare la fase culminante della stessa influì, e non poco, l’azione speculativa (2) di affaristici gruppi multinazionali. Influì anche, in particolare, la crescita dei prezzi delle materie prime e dei beni di prima necessità (petrolio, cereali e granaglie, in particolare) cui s’aggiunse, inoltre, l’allarme ingeneratosi nel settore bancario sfociato nella necessità di massicci interventi pubblici al fine di evitare il collasso di radicati e importanti istituti di credito.


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A fronte dei citati fenomeni depressivi e disoccupazionali e in relazione all’onnipresente principio di “causa ed effetto”, non si può non essere d’accordo con quanto giustamente evidenziato dall’Avv.Ferrante in merito al ruolo della politica che si palesa determinante pur se, talvolta, in senso negativo. (3) Ruolo che diviene ancora più sfavorevole quando esso diviene prevalente espressione di provvedimenti demagogici o quando si manifesta l’impotenza, l’incapacità o il complice lassismo verso i diffusi comportamenti tornacontistici, a fini personali, di gruppo o elettorali di taluni appartenenti alla galassia partitica e di potere. Il tutto, almeno fra l’enorme massa di cittadini disinformati o plagiati, apporta la pericolosa perdita di credibilità verso le Istituzioni occupate, purtroppo, dai “poteri forti”. Il tutto apporta la contestazione più o meno incisiva a fronte della richiamata “colpevolizzazione” di talune categorie sociali. Apporta il dilagare della protesta avverso l'assillante, esorbitante e irrazionale estorsione fiscale che colpisce pesantemente e indiscriminatamente le fasce più deboli della società. (4) Non è bastevole, ovviamente, esprimere una più o meno forte condanna morale nei confronti dei molti politici (eletti o nominati, da sottobosco o da museo delle cere, che dir si voglia) che sono venuti meno ai sacrosanti principi di coscienza civica e di correttezza comportamentale.
Per converso è più che pertinente, riportare integralmente il pensiero dell’avv. Ferrante circa ciò che, invece, dovrebbe essere la politica. Egli afferma che “alla politica spetta curare, attraverso la cultura e la formazione scolastica, la percezione reale da parte dei cittadini dei fenomeni di natura sociale e non la loro fittizia rappresentazione; ad essa spetta adottare le necessarie pratiche della conoscenza e della precauzione dei rischi e di combattere contro la ricerca del consenso politico ad ogni costo che provoca la caduta dell’etica e della moralità pubblica e privata”.


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Ai fini di una esaustiva analisi dei fattori che influiscono sulle menzionate paure individuali e collettive, sarebbe uno sforzo improbo, per non dire impossibile, addentrarsi nella disamina dei vari aspetti del fenomeno. Almeno un accenno, però, va fatto circa le cause che palesemente determinano il cattivo funzionamento dei multiformi, farraginosi e burocratici comparti (statali o locali) del complessivo “sistema Italia”. Apparati che operano, spesso e volentieri, in regime di duplicazione di compiti e di lungaggini decisionali, quando non di sostanziale reciproco intralcio. E’ ovvio che tale cattivo funzionamento, a prescindere dalla confusione, dai disservizi e dalla onerosità che ingenera, incide pesantemente sulla vita delle comunità, delle famiglie e dei cittadini.
E’ bene, pur se a volo d’uccello, dare uno sguardo ad alcune delle principali disfunzioni segnalando la proposta dei relativi rimedi che una efficiente compagine governativa, a mio personale giudizio, dovrebbe adottare:

antiquato e irrazionale sistema di governo politico democratico della Nazione;
(attuare riforme non d’apparenza, di convenienza o “ad personam”; ridurre l’influenza dei partiti nella gestione dello Stato; accrescere nell’ambito della classe dirigente la professionalità e la meritocrazia);
strumentalizzazione dello stesso ad opera di partiti e di gruppi di potere;
(legge elettorale effettivamente democratica e doveroso ripristino della funzione costituzionale del Parlamento);
errata impostazione del vigente sistema fiscale e farraginosa gestione dello stesso;
(non è più differibile una riforma fiscale basata sul razionale equilibrio impositivo fra le varie fasce sociali, nessuna esclusa - anche se al minimo; introduzione di una equa patrimoniale progressiva; riduzione dell’indiscriminata imposizione fiscale indiretta (accise, IVA, bolli, pedaggi, diritti di segreteria a fronte di servizi di base ecc.); seri accertamenti fiscali su “illeciti arricchimenti”, beni di lusso e cumulo di indennità di liquidazione o pensionistiche di rilievo; detraibilità, anche se solo parziale, degli oneri fiscali su scontrini per servizi e consumi (comprovati mediante il codice fiscale) al fine di combattere seriamente l’evasione; agevolazioni fiscali, se non la graduale esenzione, per i lavoratori dipendenti che abbiano superato una certa età e che rientrino in una prestabilita fascia di reddito imponibile; (5)
• indebolimento della funzione sociale dei Sindacati;
(riforma del sistema dei contratti collettivi, delle vigenti prerogative sindacali e della legislazione sugli scioperi);
enormi sperequazioni nella disponibilità della ricchezza fra le diverse fasce sociali;
(armonizzazione del fenomeno con la riforma fiscale di cui sopra);
disarmonica, disattenta e imprevidente gestione dell’apparato industriale;
(intervenire per stimolare la ricerca innovativa; individuare nuovi settori produttivi; incentivare il consumo e il mercato di prodotti industriali nazionali nel rispetto delle restrizioni comunitarie; disciplinare il ricorso speculativo alla delocalizzazione; proteggere dalle scalate di gruppi esteri, pur se nei limiti delle leggi di mercato, le aziende di particolare rilevanza collettiva e occupazionale);
stravolgimento della tradizionale funzione del sistema bancario;
(le banche dovrebbero tornare ad agire in armonia con la “legge bancaria” di base, nel pieno rispetto della funzione sociale del credito e del risparmio; evitare per legge le interferenze politiche nella formazione dei C.d’A.; ridimensionare e disciplinare il campo d’azione delle Fondazioni bancarie di cui alla confusionaria legge delega Amato-Carli n°218 del 1990; evitare che le Banche diventino pure e semplici aziende commerciali che smerciano prodotti finanziari e onerosi servizi non bancari);
eccesso di indebitamento pubblico;

   - 2135 miliardi di euro, pari al 132,6 % del PIL -
(attuare la dismissione dell’inutile patrimonio demaniale; accantonamento annuo di una quota degli introiti fiscali; destinare alla graduale diminuzione del debito il ricavato di una seria  e vera “Spending review”; promuovere la sottoscrizione di quote di un “fondo straordinario pubblico” - non in titoli di Stato - incentivandone l'adesione attraverso compatibili agevolazioni fiscali, gestionali e familiari ( riducendo, ad esempio, gli indiscriminati odierni oneri sanitari e assicurativi); compensare le eventuali minori entrate fiscali con il graduale abbattimento dell’alta onerosità del debito, oggi valutata in circa 100 miliardi annui); (6)
paurosi disavanzi nei bilanci degli Enti Locali, in aggiunta a mutui, obbligazioni e derivati;
(imporre per legge agli amministratori di Enti Locali - a fronte di specifiche sanzioni personali - il rispetto di precisi limiti di spesa da fissare in relazione al PIL prodotto localmente, al numero degli abitanti, ai servizi essenziali; limitazione e controllo delle spese generali; razionale ristrutturazione e impiego degli organici, sia come numero di dipendenti che come professionalità; bloccare spese superflue e sciupii vari);
oneri spropositati e corruzione nel sistema degli appalti per opere pubbliche;
(azzerare l’attuale legislazione in materia di lavori pubblici e varare un “testo unico” inequivocabile e conciso che non si presti più all’attuale scandalistica conduzione del settore e alle strategie speculative in materia di appalti).

Circa le disfunzioni prettamente italiane che, come detto, contribuiscono ad arrecare ansie, fobie e reazioni nevrotiche, si potrebbe anche discutere (a parte la paura dell’incalzante terrorismo) del fenomeno della massiccia immigrazione (clandestina o non), del mancato rilancio della agricoltura intensiva (possibile fonte di incremento occupazionale e di significativi redditi), della promessa ma non attuata riqualificazione del turismo (parchi archeologici e musei, in particolare), dell’inadeguatezza della rete di comunicazione ferroviaria, stradale e marittima (stimolare, all'uopo, il funzionale piccolo cabotaggio di merci e passeggeri lungo i 7458 km. di coste), riequilibro del volume di merci trasportate su rotaia rispetto al trasporto su gomma, tenuto presente la pericolosità dei TIR e l’intasamento del traffico stradale e autostradale. E infine, alla stregua della ciliegina sulla torta, occorrerebbe trattare a fondo lo spinoso, diseducativo e talvolta fraudolento settore delle telecomunicazioni via etere in cui operano i colossi televisivi e telefonici. Manca, in merito, una valida regolamentazione che non si presti a speculazioni, ad approfittamenti e abusi in danno del vastissimo campo della utenza. Il lettore, volendo, potrebbe rifarsi all’inserto “i mali oscuri della società tecnologica” cliccando qui.


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Credo che quanto detto basti e avanzi, specie perché, in genere, è venuta a mancare l’azione salutare e propulsiva di una classe politica e manageriale all’altezza del compito e dotata di vero amor di Patria oltre che di irrinunciabili regole morali, di sani principi di legalità e di rispetto degli interessi della collettività nazionale.
Nella misura in cui l’ambiente politico istituzionale e manageriale di casa dimostra di appartenere ad un mondo a se stante e dimostra di essere sempre più avulso dalle vere problematiche che assillano la gente comune e la stragrande maggioranza delle famiglie, non è cosa facile sperare che si adottino, almeno nel breve  periodo, determinati possibili rimedi. L'odierna classe politica e manageriale è chiaramente più impegnata ad elaborare le strategie di potere e di conservazione dei macroscopici privilegi acquisiti che ad affrontare alla radice le disfunzioni di cui sopra. Quanto enunciato non è frutto di una pura e semplice visione pessimistica della situazione, ma è espressione di un crudo - magari non condivisibile - realismo.
Specie perché, si dice, il vero sordo è chi non vuol sentire.
Oggi, nel secolo dell’esasperata tecnologia, del vacuo consumismo, della violenza adottata come regola di vita, cambiare in meglio le coscienze e i comportamenti, chiedere a tutti (cittadini di serie “A” o appartenenti alle classi piccolo borghesi o proletarie agiate) un maggiore senso di responsabilità e di civile convivenza, non appare facilmente realizzabile, pur a disquisire dei vari aspetti dei problemi con spirito ottimistico o con enunciazioni da pulpito chiesiastico.

A detta di molti attenti e valenti studiosi della “realtà” in cui oggi vive l’umanità, escludendo il gattopardiano pensiero di parecchi esponenti di specifici settori del tradizionale e conservatoristico mondo accademico e intelluale, il peggio deve ancora venire.
Non volendo essere tacciati di catastrofismo circa il divenire della vita sul pianeta Terra, si spera che i fatti possano smentire ogni nera previsione, augurando alle giovani generazioni un futuro con meno ansie, paure e difficoltà esistenziali.

8 maggio 2015                                       Augusto Lucchese

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NOTE esplicative:

1 – Disoccupazione : (Media europea 9,9% – Germania 4,8%
1960 - 4%
2014 - 12,7%
2015 - 13,4% Ci supera solo la Spagna con il 21%

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE:
2014 - 43,1% / 2015 - 44,2 % (GERMANIA 7,2%) (SPAGNA 51,4%)

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE SICILIA :
2014 - 51,4 / 2015 - 60,4 % -
TRENTINO ALTO ADIGE : 10,1% (1970 11%) (GERMANIA 7,2% / AUSTRIA 9%)

Nel 2013 - 2014 SI SONO PERSI, in Sicilia, BEN 182/MILA POSTI DI LAVORO, mentre  DAL 2007 AD OGGI I CONSUMI SONO CALATI DEL 14,5%.

2 – Domanda e offerta.  (mercato libero)
Mediante la regola della “domanda e dell’offerta” si dovrebbe determinare, teoricamente, il PREZZO delle merci nell'ambito del mercato. Per domanda s'intende la quantità di merce al consumo richiesta dal mercato e dai consumatori di un certo bene servizio a fronte di un determinato prezzo.

3 – Interventi statali sul mercato.
John Maynard Keynes (Cambridge, 5 giugno 1883 - Tilton, 21 aprile 1946), padre della teoria keynesiana.
Tale teoria si rifà più che alla “produzione di beni” alla “domanda” degli stessi, osservando come quest’ultima, in talune circostanze, non è in grado di garantire l’assorbimento della produzione e quindi la piena occupazione. Di qui la necessità di un intervento pubblico statale (anche in condizioni di deficit pubblico) a sostegno della domanda, dando per scontato che, altrimenti, il prezzo da pagare è l'eccessiva disoccupazione. Nei periodi di crisi, quando la domanda diminuisce, è assai probabile, inoltre, che le reazioni degli operatori economici, al cospetto del calo dei consumi, producano le condizioni per ulteriori diminuzioni della domanda aggregata, cioè la quota di profitto da indirizzare a nuovi investimenti, che dovrebbe portare ad un aumento dei consumi e, quindi, dell'occupazione.
Questa teoria non è condivisa da chi, invece, sostiene la capacità del mercato di riequilibrare domanda e offerta grazie alla teoria enunciata dall'economista francese Jean Baptiste SAY. Quest’ultimo sosteneva che in regime di libero scambio non dovrebbero verificarsi crisi prolungate. L'offerta dovrebbe essere sempre in grado di creare la domanda. Il rimedio delle crisi perciò non deve ricercarsi in misure restrittive dell'importazione, quanto nell'incremento di quelle produzioni che servono all'esportazione. In ogni caso, poi, il libero scambio fungerebbe di per sé da rimedio. Questa legge è detta pure legge degli sbocchi, poiché il mercato lasciato a se stesso dovrebbe tendere a raggiungere l'equilibrio produttivo e la piena occupazione.
Keynes ebbe a criticare la teoria di Say sostenendo che il detentore di disponibilità monetaria può essere motivato, in funzione della crisi, a trattenerla invece che a spenderla; il consumatore, quindi, non sempre apporta una domanda aggregata. Tale ipotesi si basa sul concetto di tesaurizzazione che consiste nell’escludere parte del reddito di salario o di profitto dal circuito della circolazione monetaria.


4 – Fattori distorsivi.
Sono le scelte del consumatore a fronte delle variazioni dei prezzi e in relazione alla disponibilità di denaro.

5 – Evasione fiscale, lavoro nero.
Secondo i dati della Corte dei Conti e di quelli del Parlamento europeo, in Italia l'evasione fiscale equivale a circa il 30% del prodotto interno lordo. Per ogni 100 euro fatturati o comunque dichiarati, si pensa che esistano tra i 34 e i 38 euro di giro monetario nascosto al Fisco.
In Germania l'evasione è di circa il 16% del Pil, in Francia il 15%, in Spagna il 22%, come in Belgio, in Gran Bretagna il 12%. Ove potesse valere una qualche regola che permettesse di computare nel Pil anche gli affari in nero, l'economia italiana potrebbe aspirare ad essere considerata più ricca pur legalizzando così, in un certo qual senso, l'evasione.
Il Lavoro sommerso è valutabile ad un terzo dell’economia italiana.   Il flusso di denaro generato dal lavoro sommerso, s’attesta a 280 miliardi di euro circa. E’ stato ipotizzato, inoltre, che almeno il 35% dei lavoratori dipendenti effettui un doppio lavoro per far quadrare i conti personali o familiari, producendo un sommerso di altri 90 miliardi di euro. Aggiungasi la quota di lavoro nero degli immigrati clandestini, per circa 10 miliardi di euro, e quello degli immigrati con permesso di soggiorno per circa 12 miliardi di euro. Per di più su un totale di 16,5 milioni pensionati, circa 5,3 milioni hanno un’età che va dai 40 ai 65 anni ed è plausibile che all’incirca un terzo di essi svolga lavori in nero. Si presume che da ciò derivi un ulteriore gettito di circa 43,5 miliardi di euro, senza tenere conto di circa 156 miliardi di euro di sommerso generato delle imprese. Il tutto equivale a circa 550 miliardi di euro, all'incirca il 30% del Pil ufficiale. Esiste inoltre il sommerso annidato nel mercato degli affitti valutato in 93 miliardi di euro. La differenza tra ricchezza ‘dichiarata’ e ricchezza reale trova conferma nel raffronto tra l’esigua percentuale di redditi elevati dichiarati da persone fisiche (meno dell’1% supera la soglia dei 100.000 euro) e le dimensioni del mercato dei beni di lusso.
Per combattere l'arretratezza e disarmonia nella politica fiscale è stato da più parti evidenziato che …. “diventa urgente e vitale cambiare rapidamente il mix della politica di bilancio, usando al meglio i tagli di spesa pubblica derivanti dalla spending review per creare lo spazio fiscale necessario ad abbassare in primo luogo quelle tasse che pesano maggiormente sullo sviluppo”.

Intanto, il debito pubblico continua a salire.
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha detto:
"le riduzioni di imposte, necessarie nel medio termine e pianificabili fin d’ora, non possono che essere selettive, privilegiando il lavoro e la produzione: il cuneo fiscale che grava sul lavoro frena l’occupazione e l’attività d’impresa”.

6 – Spesa pubblica amplificata per fini speculativi o di corruzione.
E’ stato ipotizzato che nel nostro paese le tangenti assommano a circa 60 miliardi. La naturale conseguenza è che la spesa pubblica è amplificata almeno per il doppio. Pertanto, ove si riuscisse ad intervenire efficacemente sulla CORRUZIONE, non ci sarebbe bisogno di ricorrere a sempre nuove entrate fiscali. Il settore delle pubbliche commesse è impostato su norme e regolamenti di accesso che dovrebbero essere modificate in toto e alla base.

 

 

Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  Via Lavina, 368 – 95025 Aci Sant’Antonio
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