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  Presidente Mattarella e Ammiraglio Cavo Dragone

              ISTITUZIONI, PARLAMENTO
             e
             AMMIRAGLI.


Giorni or sono, del tutto casualmente, mi sono imbattuto nel filmato YOUTUBE - datato 30 luglio 2019 - riguardante l’audizione del nuovo Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio di Squadra Giuseppe Cavo Dragone, nell’ambito delle Commissioni congiunte Difesa Senato e Camera. Audizione che avrebbe dovuto esporre le linee attuali e programmatiche del complesso e dispendioso comparto della Marina Militare.
Ho ascoltato con interesse sia le alquanto lacunose note introduttive dell’Ammiraglio Cavo Dragone che i successivi stereotipati interventi di alcuni degli illustri onorevoli (i presenti erano ben pochi, meno di una decina) iscritti a parlare. Questi ultimi, di massima, hanno dato dimostrazione di scarsa specifica competenza e men che meno di capacità di analisi, oltre che di una qualsivoglia forma di concreta attitudine critica, indagatoria o propositiva.
Si sono susseguiti, dall’una e dall’altra parte, discorsi ridontanti e poco esplicativi che non hanno certo focalizzato l’odierno quadro complessivo della Marina Militare, atteso che esistono, oltre che parecchie luci - passate e recenti - anche non poche ombre. La Marina Militare è una importante e primaria realtà nazionale che andrebbe rivisitata a fondo in relazione ai normali compiti istituzionali e costituzionali e alle realistiche, ipotetiche e un po’ fantasiose probabilità d’impiego. Molti ritengono, peraltro, che in ogni caso andrebbe riequilibrata - se non proprio ridimensionata - in relazione ai previsti esorbitanti “piani di spesa”, chiaramente stridenti con le notorie difficoltà di bilancio che hanno condotto la Nazione ai margini di un pericolosissimo baratro economico e sociale.
E’ evidente, invece, che nelle alte sfere politiche e di comando, oltre che nell’ambito di taluni gruppi lobbistici facenti capo a manager industriali, si corre dietro a “programmi di ammodernamento” parecchio impegnativi e abbondantemente sperequati rispetto ad altre Nazioni con bilanci e PIL di gran lunga migliori del nostro (Nota 1).
Sono in ballo rilevanti spese (circa 5,8 miliardi, pur se diluiti in più esercizi) destinate alla costruzione di nuove navi di superficie - anche di rilevante tonnellaggio - e di battelli subacquei di ultima generazione. Spese che s’intersecano con l’onerosa ristrutturazione di talune altre navi maggiori - tuttora in servizio - per porle al passo, a livello interforze e NATO, con le nuove tecniche e con i nuovi sistemi d’arma fra cui primeggia la componente aerea V/STOL (F.35B a decollo verticale). Occorre mettere in conto, altresì, gli oneri di armamento e di manutenzione dei moderni mezzi navali, oltre che quelli, diretti e indiretti, attinenti il personale da addestrare in funzione delle nuove esigenze altamente specialistiche.
A livello politico governativo s’è addivenuto con strana facilità al finanziamento in debito (pur se attraverso il fumoso paravento del “Fondo per gli investimenti del Ministero dello Sviluppo Economico”) dei programmi riguardanti le nuove avveniristiche costruzioni navali militari (di cui alla discussa “Legge Navale” del 2014) pur se, come s’afferma da più parti, esse non rappresentano un qualcosa di primaria importanza nel quadro della odierna dissestata situazione economica dell’Italia. Di contro, si è parecchio tirati (se non addirittura assenti) negli stanziamenti rivolti alle ben note e prioritarie esigenze dei settori di primo impatto sociale, ambientale e territoriale. Il Ministro della Difesa, il Parlamento, il Quirinale, i Generali e gli Ammiragli che siedono ai vertici delle Forze Armate, non possono certo affermare di non essere consapevoli di tale stato di cose. Per altro verso non sembra che rappresenti una valida motivazione il fatto che talune rilevanti spese militari siano in buona parte destinate, come detto, ad agevolare e assecondare - in funzione dello spauracchio di crisi aziendali e occupazionali - l’industria cantieristica, l’industria degli armamenti e delle forniture di base che, notoriamente, stentano ad essere competitive a livello globale. A parte i maggiori costi progettuali e realizzativi, si potrebbe configurare, in merito, una mascherata forma di “aiuti di Stato”, risaputamente non ammessi in sede europea.

Premesso ciò, sembrano tantomeno accettabili, ai fini della giustificazione dello sforzo finanziario chiesto al Bilancio statale, le argomentazioni addotte, in materia, dal Capo di Stato Maggiore della Marina, nel corso della citata “audizione”.
L’Ammiraglio Cavo Dragone ha detto: “viviamo una fase storica di forte accentuazione della dimensione strategica del mare. Attori globali come Stati Uniti, Cina e Russia, e attori regionali come i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, l’Iran, l’Egitto, la Turchia sono oggi impegnati in una corsa per acquisire il controllo delle SLOC, indispensabile per la protezione delle forze militari e degli interessi economici, nonché per la deterrenza nei confronti di fenomeni di instabilità, quali pirateria, traffici illeciti, movimenti jihadisti e terrorismo in generale ….”.
Con parecchia nonchalance, ha aggiunto che “ …. analizzando gli scenari militari marittimi nel Mediterraneo e nell’area del Golfo Persico, senza voler volgere lo sguardo a quanto sta accadendo nel Pacifico, stiamo assistendo a un diffuso rafforzamento dello strumento navale, come non accadeva da molto tempo … ”
Ha rafforzato il discorso asserendo che “ … Francia, Spagna, Turchia, Algeria, Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi hanno programmato ed effettuato importanti investimenti nell’industria navale e subacquea della difesa. La legge navale del 2014 mantiene l’Italia allineata sul piano dello strumento militare a una tendenza oramai più che generalizzata nel cosiddetto Mediterraneo allargato. Tuttavia una Marina Militare all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte non può prescindere da alcune premesse che riguardano il suo funzionamento”.
Sembra che Il Capo della Marina militare italiana, oltre ad essere ben poco incline alle lapalissiane regole di base di ogni raffronto, trascuri a cuor leggero la disastrosa situazione del bilancio nazionale. Taluni paragoni non possono essere pertinenti senza averli preventivamente sottoposti ad una attenta valutazione circa l’oggettiva situazione di ciascuno Stato, sia rispetto alle disponibilità di bilancio che alle rispettive occorrenze operative nei diversi scenari nazionali o aggregati, di influenza economica o coloniali ed ex coloniali. Non basta mettere a confronto aridi numeri o semplici statistiche. Che altri Stati spendano in campo militare somme magari superiori a quelle dell’Italia, non è un buon motivo per cui li si debba imitare. Non va dimenticata, in ogni caso, la difficile congiuntura economica nostrana, il rapporto deficit PIL poco rispettoso dei parametri europei, il pauroso debito pubblico accumulatosi negli anni proprio a causa di dilaganti esborsi in deficit, rispetto alle accertate scarse disponibilità. Tutti sanno, e anche il Capo di un settore tanto importante dovrebbe esserne doverosamente a conoscenza, che sull’Italia aleggia il torvo spettro del “default” economico, oltre che la tangibile probabilità di una pericolosa “procedura di infrazione” rispetto ai citati parametri europei. Da più parti s’afferma che al cospetto della odierna situazione economica e di bilancio, l’Italia non sembra onestamente in grado di correre dietro a spropositate spese di natura militare. Non sarebbe male, tanto più, che in certi tradizionali ambienti, ove seguitano a proliferare concetti di esasperato militarismo, la si smettesse di “giocare alla guerra” sulla pelle degli italiani che di problemi bellici e di una politica da “8 milioni di baionette”, da “110 sommergibili” o da “Armada Invencible” ce ne hanno fin sopra i capelli e preferirebbero non sentirne parlare così a cuor leggero, specie da chi lo fa per professione.
Occorrerebbe, quindi, andarci piano con le esorbitanti spese in campo militare, con nuovi stanziamenti, con la stesura di nuovi piani “di ammodernamento” della Flotta (sarebbe più veritiero e corretto parlare di “potenziamento” o “ampliamento” della Flotta), con la consequenziale richiesta d’incremento degli organici. Occorrerebbe, viceversa, evitare eccessi nell’approntamento di costosi apparati bellici (per i quali non è facile stabilire quando finiscono di essere “difensivi” per divenire, di fatto, “offensivi”, in aperto contrasto con il “ripudio” di cui all’art.11 della Costituzione), nell’acquisto di un cospicuo numero di aerei “F.35B mach 2” super armati e sofisticati, il cui costo unitario ascende alla bella cifretta flyaway (vola via - chiavi in mano) di 123 milioni di US$, pari a circa 110 milioni di €. (anch’essi progettati e realizzati per svolgere compiti altamente “offensivi”), nella costruzione di costosissime unità navali di alto rango, con intrinseca potenzialità d’attacco, nell’onerosa gestione di apparati non indispensabili o solo di facciata, nel mantenimento di organici gerarchicamente super affollati, specie nei gradi medio-alti, oltre che nell’impiego incontrollato, talvolta non attinente, di costosi mezzi aerei e di preziose risorse umane.
Da parecchie fonti, peraltro, s’asserisce che nella ipotesi di malaugurati eventi bellici di dimensione mondiale, il nostro “limitato” dispiegamento navale (per quanto talune unità siano dotate di sofisticati sistemi d’arma e di qualche decina d’aerei di ultima generazione o di F35B) sarebbe ben poco o niente opponibile - pur se solo a livello marginale e difensivo - allo schieramento missilistico (probabilmente nucleare) a medio e lungo raggio e alla surclassante potenzialità strategica, offensiva e distruttiva di cui dispongono le note superpotenze mondiali. In assenza di una equiparabile potenzialità deterrente, quanto mai fantomatica per un apparato pur sempre limitato come quello italiano, sussisterebbero ben poche probabilità di una efficace azione difensiva.
Non va dimenticato, a tal proposito, che l’Italia, nella misura in cui costituzionalmente “ripudia la guerra”, non ha potenziali nemici confinari e quindi non avrebbe motivo di mantenere “potenti” e “agguerrite” Forze Armate. Pur nell’ambito dei trattati internazionali sottoscritti in un momento storico ben diverso e con altre finalità, ci si dovrebbe limitare a schemi operativi ben più modesti, limitati ed essenziali. Risparmiando, ovviamente, un bel po’ di quei preziosi miliardi che, come risaputo, sono difficili da reperire.
Nel quadro odierno di una irrefrenabile corsa verso una sempre più estrema capacità disruttiva degli armamenti di ultima generazione, l’unica valida alternativa, sembrerebbe essere quella di mantenere le Forze Armate entro le dimensioni di un limitato, funzionale e addestrato apparato in grado di proteggere, nei limiti del possibile, il proprio spazio territoriale. Una sorta di neutralità armata stile Svizzera. Per perseguire tale risultato, pur nel rispetto dei trattati, occorrerebbe però dismettere, innanzi tutto, le concessioni di basi a potenze straniere preventivamente schierate (piccole o grandi, delle quali non occorre citare la ben nota attuale localizzazione), ridimensionando o evitando, altresì, l’impegnativa e massiccia partecipazione a missioni militari in lontani Paesi. E’ augurabile che talune zone del territorio italiano, in presenza di un possibile sciagurato conflitto fra gli opposti attuali schieramenti mondiali, non vengano ad essere incluse fra gli importanti “obiettivi militari” previsti dai piani d’attacco, preventivi o strategici, di ipotetici assalitori. Cosa che in atto, come molti sostengono, sembra abbastanza possibile.
Quanto sin qui esposto starebbe a dimostrare, viceversa, l’attuale inverosimile politica di tacita o strumentale accondiscendenza a egemoniche aspirazioni di predominio economico e militare da parte di un ben preciso settore del cosiddetto “Mondo Occidentale”. Politica oggi maggioritariamente invalsa a tutti i livelli decisionali e operativi dei vari settori Istituzionali. Essa, fra l’altro, porta a privilegiare talune gravose poste negative dei bilanci militari (a parte quelle scaturenti dal mantenimento in esercizio di vetuste tradizionali strutture operative o di sontuosi e ostentativi complessi di rappresentanza), rispetto a ben altre e più impellenti occorrenze della comunità nazionale.
Predominante formalismo burocratico del sistema, parecchio radicato sussiego dei “capoccia” di turno, scarsa parsimonia e incontrollati sciupii, irrazionale o distorto impiego del pubblico denaro, condizionano la sana gestione dello Stato. Un sistema di eccessiva prodigalità, manovrato da una classe politica oltremodo mediocre e settaria e da una scala gerarchica e burocratica sovraffollata verso l’alto (carrierismo per anzianità), spesso egocentrica e divergente rispetto agli interessi primari e collettivi della società nazionale. E non va sottaciuta la poco attenta valutazione delle note obiettive difficoltà di bilancio, come se le disponibilità dello stesso provenissero dal “campo dei miracoli” di Pinocchio e non dalle tasche dei contribuenti onesti.
Riprendendo il discorso della “audizione”, è risultato evidente che nel corso della stessa è stata messa in campo, prevalentemente, una barbosa sequela di formalistiche “belle parole” e di frasi ad effetto, infarcite con termini e sigle (ASW – PPA – FREMM – SLOC - LHD - ecc. ecc.) che non si ha mai la buona educazione di tradurre in italiano, per quegli italiani magari non addetti ai lavori ma ugualmente in diritto di capire di cosa si sta parlando. S’è pensato, forse, più a come giustificare il tempo impiegato che ad affrontare alla radice un problema tanto importante e scottante quale è quello delle spese militari.
Non è facile pervenire al significato pratico di cotanta altolocata “audizione”, tenuto conto peraltro che la seduta è stata articolata sulla “preziosa” presenza “in plancia” di altri due Ammiragli insigniti dal Capo di Stato Maggiore, in un paio d’occasioni e quindi non casualmente o per effetto di un semplice refuso discorsivo, del sarcastico epiteto di “pretoriani”. Avevano l’incarico, pur se le telecamere quasi mai li hanno inquadrati, di scendere eventualmente in campo per “difendere” il loro “superiore”, anche in assenza di qualsivoglia forma di costruttivo contraddittorio, per il caso si fossero palesate incompletezze o errate informazioni relativamente alla striminzita “relazione di base” o alle “risposte” agli interlocutori. Tale “precauzione” era stata assunta a fronte del brevissimo periodo appena trascorso dal suo insediamento sul ponte di comando della Marina Militare, avvenuto il 21 giugno u.s.
Insediamento che, come da prassi consolidata, è stato preceduto e seguito da molte polemiche sulla scelta dell’uomo più adatto a ricoprire l’importante carica di Capo di Stato Maggiore della Marina Militare. Non è mancato neppure il consueto braccio di ferro tra Lega e Movimento Pentastellato. Si dice che nella disfida siano intervenuti la Ministra della Difesa e parecchi altolocati personaggi dell’Olimpo istituzionale e militare. Il tutto con l’accorta regia arbitrale del Capo dello Stato (una discreta opera di moral suasion, dicono i giornali), nella qualità di Comandante Supremo delle Forze Armate.
Sembra, tuttavia, che nella scelta del nuovo Capo di Stato Maggiore della Marina sia prevalsa la volontà degli ambienti militari e parzialmente di quelli politici di proseguire, imperterriti, nella attuazione del programma di cui alla citata “Legge Navale” (sancita nella “finanziaria” del 2014) definita e varata dai precedenti Governi. Si dice anche che ha avuto la meglio il discutibile intendimento di incrementare - in campo interforze e NATO - la partecipazione militare italiana ai piani già operativi e a quelli in corso di valutazione e approntamento.
8 agosto 2019 Luau-
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N.B - Sarebbe prolisso riportare per intero il testo dell’intervento dell’Ammiraglio Cavo Dragone nel corso della richiamata audizione. Chi eventualmente volesse prenderne atto può consultarne il riassunto (integralmente tratto dalla “rete”) su www.ethosassociazione.com > Home > Attualità.


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