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 10 LUGLIO 1943

  2° guerra - Occupazione della Sicilia.
 

77° anniversario 
dell’invasione alleata della Sicilia
(10 luglio 1943)
 

Ricorrendo il 77° anniversario dell’invasione alleata della Sicilia (10 luglio 1943), riteniamo opportuno riproporre un quadro riepilogativo degli avvenimenti - disastrosi e luttuosi - che segnarono i 46 giorni in cui l'Isola, dopo i passati secoli di invasioni, di dominazioni, di scontri egemonici, di finte "liberazioni", tornò ad essere un cruento campo di battaglia. Lo dedichiamo a quei siciliani che, pur a fronte della imperversante sciatteria epocale, sono ancora proclivi ad addentrarsi nella conoscenza della storia della propria terra.
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Premessa:

· Trattandosi di un tema a torto ritenuto “barboso”, è doveroso sottolineare che, alla pari delle diverse materie che a pieno titolo fanno parte dello scibile culturale (scienze, fisica, medicina, matematica, letteratura, poesia, narrativa, pittura, musica, arte, archeologia ecc.) anche la storia ha diritto ad attribuirsi un ruolo privilegiato.  Specie quando riguarda epoche recenti che hanno coinvolto il nostro Paese.

·        Chi non conosce la storia del proprio Paese è come una persona che sconosce i propri dati anagrafici e la propria provenienza. Molto peggio che un apolide. Chi per pura prevenzione o indifferenza non s’accosta alla storia non è altro che un “mediocre”, come ha detto giustamente un valente psicologo americano, riferendosi al livello culturale di moltissimi italiani. Sono parecchi, purtroppo, che non hanno compreso come tutto trae origine dalla storia e tutto fa capo ad essa. Benedetta ignoranza o maledetta presunzione?

· L’analisi e lo studio della storia andrebbero fortemente riproposti, oltre che nell'ambiente scolastico e accademico, nello specifico settore della informazione di massa, onde trasmettere un forte messaggio alle giovani generazioni che, non avendo ricevuto un adeguato e obiettivo apprendimento a livello scolastico, sono provatamente disinformate.

·        Non è vero che la storia la scrivono i vincitori;

·     Oggi, attraverso la libera consultazione degli archivi delle Forze Armate (non più coperti dal segreto militare, sia per volontaria concessione che per decadenza dei termini) e degli organi politici di riferimento di quasi tutte le Nazioni, al fine di ricercare la verità dei fatti storici, è  possibile avvalersi di una infinità di informazioni.

·        Fatti che possono essere studiati e analizzati a fondo anche se, talvolta, viene fuori un quadro di gran lunga diverso rispetto a quello comunemente noto o recepito per sentito dire.

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Entrando in argomento occorre soffermarsi, dati alla mano, sui seguenti punti riassuntivi:

·    Dalla data della dichiarazione di guerra (10 giugno 1940) la Sicilia ebbe a subire circa 460 incursioni aeree che,  specie nel primo semestre del 1943, assunsero carattere d’inaudita violenza;

·  Il primo bombardamento su Catania risale al giorno 6 luglio 1940 (reiterato il 10 luglio), a pochi giorni dalla dichiarazione di guerra. La prima città siciliana bombardata fu Augusta, il 2 luglio 1940. Nel corso degli anni, Catania subì ben 87 attacchi aerei, Palermo 63, Messina 59. Il centro storico di Catania fu gravemente danneggiato. Parimenti un po’ tutti i territori delle Provincie di Trapani, Caltanissetta, Enna, Siracusa, Agrigento)  finirono,  senza ritegno o scrupolo, sotto le bombe alleate.  Furono colpite anche piccole e bellicamente insignificanti frazioni, come - ad esempio -  Brucoli.  E’ ampiamente dimostrato che gli obiettivi militari venivano quasi sempre clamorosamente mancati mentre le bombe cadevano a grappoli sui centri urbani e colpivano abitazioni e popolazioni civili.  Era il criminale metodo dei cosiddetti “bombardamenti a tappeto”, effettuati da numerose e compatte formazioni di aerei inglesi e americani (fra cui le famose “fortezze volanti” B/17 – USA) capaci di trasportare, ognuno, parecchie tonnellate di quei micidiali ordigni che arrecavano, ovunque, morte e distruzione.

·     Fu un inumano e delittuoso modo di condurre la guerra (peraltro determinatamente voluto e autorizzato dai capi politici alleati dell’epoca (fra cui Roosevelt e Churchill (foto a destra), Stalin e Truman ecc.) e reso dettagliatamente operativo dai capi militari (Eisenhower, Harris, Alexander, Patton ecc.). Proprio loro che definivano il nazismo di Hitler come il male estremo e tacciavano i loro capi di essere una accozzaglia di pericolosi carnefici. I piloti della RAF e della USAF divennero autentici killer.  Esiste, in merito, un vasto carteggio che condanna, irreversibilmente, la follia omicida di chi decise e attuò tale tipo di guerra.  Il tutto in aperto dispregio del “trattato di Ginevra”.  Non si può accusare di crudeltà solo i nemici vinti (pur se rei dei feroci e diabolici sistemi di sterminio di massa e di ritorsione) quando, da parte dei vincitori, sono stati commessi altrettanto spregiudicati e ignobili crimini di guerra, determinando l’inumano massacro di centinaia di migliaia di inermi civili.

·   Solo in Italia le vittime civili furono 64.354 e i feriti e invalidi oltre 800/mila.  Le vittime civili della repressione tedesca dopo l’8 settembre, originate da ben altre motivazioni - pur se ugualmente ingiustificabili, feroci e indiscriminate - risultano essere, numericamente, di gran lunga inferiori.

·     I morti civili per gli attacchi condotti dagli alleati con migliaia di aerei su Berlino, Amburgo, Dresda e altri importanti centri abitati tedeschi si fanno ascendere (pur se approssimativamente) ad oltre 1/ milione; anche città olandesi, belghe e francesi furono duramente colpite, specie Rotterdam.

·     Il processo di Norimberga avrebbe dovuto accomunare tutti i criminali di guerra, non solo quelli marcati dalla croce uncinata del nazismo hitleriano.

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Altri aspetti dell’invasione alleata della Sicilia, connessi con il 10 luglio 1943, sono i seguenti:

    Solo i tedeschi, mediante l'impiego delle divisioni corazzate "Goering" e "Sizilien" già di stanza in Sicilia integrate da parecchi agguerriti raggruppamenti motocorazzati e a due divisioni di paracadutisti - di cui una  trasferita dalla Francia in appena due giorni - disponevano di un valido potenziale bellico, in grado di fronteggiare l'indiscutibile strapotere alleato.

     Gli italiani, invece, (pur se numericamente superiori - circa 163.000 uomini - non avevano a disposizione che pochi mezzi antiquati e obsoleti. Non bastò, quindi, il valore e l’abnegazione dei reparti costieri che per primi affrontarono gli invasori. La Divisione “Livorno”  fu letteralmente distrutta nel corso dei duri scontri avvenuti nella piana di Gela (lapide apposta su Monte Castelluccio, il cui  testo è riportato più avanti, nel paragrafo che riguarda Gela)

-      Il comando della VI armata del Gen. Guzzoni (vedi foto a sinistra) (da meno di due mesi subentrato al Gen. Roatta, autore degli errati e inadeguati piani di difesa della Sicilia oltre che del famoso quanto deprecato proclama “voi siciliani e noi italiani”), affrettatamente trasferitosi da Enna a Randazzo il 12 di luglio, aveva in gran parte perso il controllo della situazione e si può dire che già dopo pochi giorni gran parte dei  reparti italiani erano allo sbando, sia organicamente che operativamente.  In definitiva solo i tedeschi, affiancati da quale autonomo e ancora efficiente reparto italiano, riuscirono ad opporre una valida resistenza al dilagare delle strapotenti forze anglo americane, dopo che erano riuscite a sbarcare nelle spiagge del litorale gelese e in quelle fra Pachino e Avola, nel siracusano.  In soli 46 giorni tutta l’Isola cadde in mani nemiche.  S’era delineata, oltretutto, una sorta di “gara” fra gli americani di Patton e gli inglesi di Montgomery per chi raggiungesse per primo Messina. Sul filo di lana (per poche ore) vinse Patton.

-      Il ripiegamento verso Messina delle unità combattenti tedesche e l'avventuroso traghettamento attraverso lo stretto di Messina - anche di gran parte dei mezzi pesanti oltre che degli uomini -  fu un autentico successo tedesco, da molti storici definito la Dunkerque siciliana”.

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Non va dimenticata la comprovata collusione fra i servizi segreti americani e la mafia siculo americana di Vito Genovese, Adonis, Costello, Anastasia, Profaci,  col beneplacito della quale giunse in Sicilia il famoso bandito Luki Luciano ( foto a destra), appositamente liberato dal carcere in cui si trovava.  Il pseudo colonnello POLETTI - capo dell’AMGOT, definito “l’emiro di Palermo” - in ossequio agli accordi segreti fra mafia e Servizi USA di Alan Dulles - fu l’artefice del rilancio del fenomeno mafioso in Sicilia e  nominò in posti di alto interesse istituzionale molti noti capi mafiosi (Genco Russo, Calogero Vizzini, Lucio Tasca, Michele Navarra, V.Di Carlo, Max Mugnani, Damiano Lumia e altri).

 

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                                Le operazioni militari in Sicilia

A maggior chiarimento dei fatti, degli avvenimenti e delle considerazioni sin qui esposti, non è fuor di luogo proporre un excursus riassuntivo della situazione bellica determinatasi in Sicilia nel luglio 1943. La cartina che segue può fornire, all’uopo, un quadro visivo delle varie fasi e delle direttrici d’attacco attraverso cui si concretizzò, da parte delle Armate anglo americane, l’occupazione dell’Isola.
Va detto, in merito, che i fatti smentirono clamorosamente l’affrettata affermazione del Gen. Eisenhower
(vedi foto a fianco)  e del Gen. Alexander (il primo comandante in capo delle forze alleate in Mediterraneo, il secondo responsabile diretto della operazione “HUSKY”) i quali avevano spavaldamente annunciato che la Sicilia sarebbe stata occupata "in dieci giorni al massimo". In effetti, pur a fronte della palese impreparazione italiana e della carenza di efficace cooperazione fra i Comandi italiani e tedeschi, di giorni ne occorsero ben 38. Parecchi negativi fattori dell’apparato difensivo delle forze dell’Asse, non permisero di fronteggiare tempestivamente e validamente i cruciali momenti della prima fase dell’attacco alleato alla Sicilia. Non servirono allo scopo gli eroici contrattacchi del 10 e 11 luglio nelle zone di Gela ad opera delle Divisioni “Livorno” e “Goering” e di Scoglitti ad opera dei Reparti costieri. Solo la strenua battaglia di Primosole, alle porte di Catania, essenzialmente sostenuta dai “parà” tedeschi, determinò il pesante arresto dell’avanzata della VIII Armata britannica del Gen.le Montgomery. Peraltro, il grosso dei reparti tedeschi, non appena delineatosi lo strapotere delle forze alleate, aveva ricevuto l’ordine di eseguire una manovra di sganciamento, senza impegnarsi in battaglie frontali. Ai reparti di retroguardia fu affidato il compito di ritardare al massimo l’avanzata nemica. Iniziò così l’arretramento su Messina delle divisioni germaniche, arretramento che aveva essenzialmente lo scopo di evitare un eventuale accerchiamento e la conseguente sicura distruzione dei preziosi mezzi corazzati in loro dotazione.
Le Divisioni "Assietta" (Gen. E. Papini ) e "Aosta" (Gen. G. Romano), in ripiegamento dalla zona occidentale, e ai resti della "Napoli" (Gen. G.C. Gotti Porcinari) e della "Livorno" (Gen.le D. Chirieleison), in disordinata ritirata da est e da sud, fecero ben poco per contrastare l'avanzata delle preponderanti forze anglo - americane. Furono gli accaniti combattimenti di Regalbuto e di Troina, in gran misura sostenuti dalla caparbia resistenza dei reparti germanici di retroguardia a permettere che il grosso delle forze dell’Asse riuscisse a raggiungere le zone del messinese da cui sarebbe stato possibile effettuare il graduale e ben riuscito trasferimento sulla costa calabrese. (“operazione Lerghang”).
Nel breve volgere di alcune settimane, tuttavia, malgrado la ricordata agguerrita resistenza e i ritardi di varia natura, la Sicilia cadde sotto l’assoluto controllo degli Alleati.  Fu creato, all'uopo, un organo d’amministrazione territoriale denominato A.M.G.O.T. "GOVERNO MILITARE ALLEATO PER I TERRITORI OCCUPATI" .

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Si evidenzieranno presto gli effetti della sconfitta subita in Sicilia dalle forze dell’Asse  che, sostanzialmente, non erano state in grado di difenderla. Un importante lembo del territorio nazionale era ora in mani nemiche. L’Isola, dopo essere stata occupata (non "liberata") venne praticamente divisa in due zone d’influenza. Quella sotto controllo delle "benestanti" divisioni americane (che si estendeva un po' a tutto il centro - ovest della Sicilia, compresa buona parte della Provincia di Enna) fu in un certo qual modo baciata dalla fortuna. Gli "Yankee", tranne qualche indegno episodio di cui le cronache hanno parlato poco e niente (eccidi americani di Biscari, Piano Stella e Comiso), tutto sommato si comportarono bene con la popolazione civile, mostrandosi sostanzialmente comprensivi e generosi
. (vedi foto a fianco) La stessa cosa non  può dirsi per quegli altri territori (prevalentemente della Sicilia Orientale) presi in consegna dalle soldatesche inglesi e del Commonwealt. Queste ultime, in barba alla millantata qualifica di "liberatori", o più semplicemente di “co-liberatori”, stante che da soli - senza l'immenso e inesauribile potenziale industriale  e bellico degli Stati Uniti di Roosewelt - e senza Stalin - con i  “commissari del popolo”, il  “generale inverno” e le  “Katiuscia” - non sarebbero stati in grado di liberare un bel niente. Gli inglesi confermarono e avvalorarono, invece, la pregressa vergognosa fama di truci "colonialisti", dimostrando d’essere pressoché indifferenti, di massima, al basilare concetto del rispetto delle popolazioni sottomesse.
Quest’ultima considerazione, del resto, trova ampia conferma nelle vicende storiche riguardanti quei Paesi che, nei secoli, ebbero la non felice ventura d’essere sottoposti alla “perfida Albione”.

Solo per carità di Patria, infine, è meglio non dilungarsi a parlare del torbido comportamento dei raccogliticci reparti della cosiddetta “Francia Libera” di De Gaulle (fra cui i famigerati e selvaggi "marocchini" del Gen.le Giraud ), responsabili di saccheggi e di ignobili violenze su donne e bambini.
Per l'Isola l'unico tangibile, agognato e immediato vantaggio fu, in ogni caso, il fatto che, fra paure, vittime civili, sofferenze e privazioni d'ogni genere, il ciclone dei combattimenti e dei bombardamenti si fosse definitivamente allontanato dalla Sicilia.

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                                  10 luglio 1943 - GLI ALLEATI SBARCANO IN SICILIA

 

                                                                     GELA - MONTE CASTELLUCCIO


Quello che avrebbe dovuto essere un qualsiasi mattino di quel luglio di guerra, fu invece apportatore di gravi notizie. A conferma delle avvisaglie che negli ultimi giorni non avevano fatto presagire nulla di buono, scoccò l’ “ora X” dell’invasione della Sicilia, frutto degli errori strategici e delle pesanti sconfitte dell’Asse in Libia e in Tunisia e della quasi incontrastata occupazione, da parte degli anglo-americani, dell’intera fascia mediterranea dell’Africa, dal Canale di Suez al Marocco francese. 

                                                                                  °°°°°°°°°°°°°
Mio padre, contrariamente alle sue abitudini, non aveva ancora acceso la radio per ascoltare le prime notizie e in sua vece m’ero premurato di farlo io, appena in tempo per captare il cinguettio del familiare “usignolo” che annunciava il “segnale orario” delle ore 8. Quando la nota voce dello "speaker" diede inizio al “giornale radio” non potei non avvertire una strana sensazione. Nello scandire le parole, il tono  era insolitamente teso, quasi accorato. Diede subito lettura di un annuncio che destò in me ansia e preoccupazione: "...da notizie appena pervenute, apprendiamo che stanotte, attorno alle ore tre, consistenti forze anglo - americane sono sbarcate in Sicilia. Precedute da intensi bombardamenti navali ed aerei, sembra abbiano preso terra lungo il litorale sud dell’Isola, tra Scoglitti, Gela e Licata, oltre che lungo la costa orientale, tra Pachino e Avola. Le nostre truppe s’oppongono validamente all'urto delle forze avversarie, ma le frammentarie notizie sino ad ora giunte, non permettono di tracciare un esauriente quadro della situazione. Maggiori particolari verranno forniti con il bollettino del Comando Supremo delle FF.AA. che, come di consueto, sarà diramato alle ore 13 di oggi”.
Ero già vicino all’apparecchio radio ma, istintivamente, m’accostai ancor più, come se ciò permettesse d’ascoltare meglio ulteriori dettagli. La notizia appena diffusa non poteva non determinare apprensione e costernazione. La tensione s’aggravò ancor più quando, dopo pochi minuti, la trasmissione s’interruppe, come se si fosse persa nel nulla. Evidentemente, era saltato il collegamento con il ripetitore EIAR di Caltanissetta e quindi con la rete nazionale. Era ben facile intuire, a tal punto, che in relazione all’emergenza determinatasi sulle vicine spiagge dell’Isola, tale collegamento non sarebbe stato più ripristinato. Ma come suole dirsi “non c’è due senza tre” e, a peggiorare ogni cosa, venne a mancare anche la corrente elettrica.
La notizia, ovviamente, era foriera di gravi e imprevedibili conseguenze. Oltremodo emozionato mi precipitai nella stanza accanto, ove si trovavano i miei genitori, e concitatamente riferii quanto appena ascoltato alla radio. Sulle prime ebbi, però, l’immediata sensazione che non avessero dato soverchia importanza al fatto e solo a seguito della reiterata insistenza potei notare una maggiore predisposizione ad ascoltarmi. Mio padre, alla fine, non senza manifestare una qual certa incredulità, prese la decisione di scendere in strada per attingere eventuali conferme dai vicini o da qualche mattiniero passante.
Da parte mia pensai che l’unica cosa da fare fosse quella di rintracciare l’amico Sergente Maggiore Armando Papadia che, facendo parte del Reparto “Genio Trasmissioni”, allocato nel vicino edificio "Perna", avrebbe potuto essere in grado, forse, di fornire più precisi ragguagli. Purtroppo, non era rientrato dal servizio notturno e nessuno dei commilitoni interpellati sembrava propenso a rispondere alla mia richiesta di notizie. Non fu difficile rendersi conto, però, del come un po’ tutti fossero in preda ad una palese agitazione.
Li pregai, comunque, di recapitare un messaggio ad Armando, sperando che si facesse vivo al più presto.
Sembrava inverosimile, in ogni caso, che non si riuscisse ad ottenere esaurienti informazioni su un fatto tanto importante, specie considerando che solo un centinaio di chilometri ci separava dalla zona in cui, stando alla notizia poco prima diffusa dalla radio, stava accadendo qualcosa di grave e di determinante per il nostro immediato futuro.

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La minuziosa ricostruzione, in chiave cronologica, delle operazioni d’attacco alla Sicilia (operazione “HUSKY”) ci ha fatto sapere, pur se solo a posteriori, l'insicura e imprevidente realtà operativa in cui, nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943, vennero a trovarsi le forze italo tedesche cui era affidata la difesa dell’Isola, con particolare riferimento ai settori costieri interessati dallo sbarco.

L’assalto delle preponderanti forze anglo americane, sviluppatosi nel corso di quella notte d’apocalisse, era verosimilmente finalizzato ad avere ragione al più presto possibile del debole "apparato difensivo della Sicilia". Tutto si svolse con una azione travolgente e del tutto ineluttabile, pur se i tempi e le difficoltà risulteranno, alla fine, di gran lunga superiori rispetto alle ottimistiche previsioni del Comando di Algeri. In proposito, pur se parecchie avvisaglie avevano fatto intuire che l’attacco fosse ormai imminente, è da dire che quasi tutti i reparti costieri, chi più e chi meno, non erano stati informati e allertati a tempo e, quindi, finirono con l’essere colti di sorpresa e, quindi, non poterono porre in atto una valida reazione.
Appena pochi giorni prima, nel corso di un incontro svoltosi ad Enna, il 28 giugno, presso il Comando della 6° Armata italiana, la situazione era stata vagliata oltre che dal Gen. Alfredo Guzzoni (che da poche settimane aveva assunto il Comando in sostituzione del Gen. Mario Roatta), dal Maresciallo Albert Kesserling (comandante in capo delle Forze tedesche in Italia) e dal Gen. Frido Von Serger und Etterlin . Quest’ultimo ricopriva, in quel momento, l’incarico di ufficiale di collegamento con il Comando Supremo Tedesco.
Il Gen.le Guzzoni, nella qualità di comandante delle forze italo tedesche in Sicilia, fece presente d’avere potuto solamente prendere atto dei piani di difesa predisposti dal suo predecessore Gen. Roatta. Essi, a suo dire, erano “disperatamente insufficienti” e sostanzialmente "inadeguati alla bisogna".
Nel prestabilito giorno dell’invasione, una imponente flotta di oltre 2000 navi da trasporto di tutti i tipi, protette da più di duecento navi guerra - fra cui alcune navi da battaglia e parecchi incrociatori pesanti -, si presentò al largo delle coste siciliane e, sostanzialmente incontrastata, diede avvio all’operazione “HUSKY”. Quell’immenso brulicare di navi “Liberty”, di mezzi da sbarco, di zatteroni traghetto
(vedi foto a fianco), prese a riversare a terra gli effettivi di due Armate, la VIII inglese, del Gen. Montgomery, e la VII americana del Gen. Patton, in uno a tonnellate e tonnellate di materiali, di automezzi e mezzi corazzati d’ogni tipo. L’operazione era stata preceduta da un massiccio lancio di paracadutisti e dall’impiego di due gruppi aviotrasportati (la 82° divisione statunitense del Gen. Ridgway e la 1° Brigata inglese) che, per l’insufficiente conoscenza dei luoghi e per i macroscopici errori di rotta dei piloti, ebbero a subire ingenti perdite, al limite di un vero e proprio disastro. Centinaia di “alianti” “Waco” e “Horsa”  (questi ultimi con a bordo anche automezzi e armi pesanti) si schiantarono su sconosciuti rilievi delle zone prescelte per l’atterraggio o sui robusti muretti confinari degli appezzamenti agricoli. Parecchi altri finirono addirittura parecchio lontani,  al largo dalla costa e furono inghiottiti dai flutti del mare. Le perdite in uomini e mezzi furono tanto rilevanti da indurre il Comando Alleato a sospendere ulteriori azioni del genere.
La forza di contrasto a disposizione degli italiani era essenzialmente basata sulle divisioni mobili “Livorno”, “Assietta”, “Aosta” e “Napoli”, in aggiunta a “nove gruppi costieri autonomi” la cui singola consistenza era pressoché quella di un Reggimento. I tedeschi potevano contare su alcuni “Gruppi mobili da combattimento”, oltre che sulle divisioni corazzate “Sizilien” e “Goering”. Senza entrare nel merito dell’esame qualitativo e quantitativo delle forze contrapposte e senza soffermarsi in chiave critica sul notevole divario tecnico e logistico esistente fra i reparti italiani e quelli tedeschi
(vedi foto a fianco), è doveroso, in ogni caso, sottolineare il magnifico ardimento con cui taluni raggruppamenti divisionali e costieri italiani si sacrificarono nel sovrumano tentativo di ostacolare se non di ricacciare a mare gli Anglo Americani.

Nella piana di Gela (l’antica città greca ove il poeta Eschilo concluse la sua vita terrena), esattamente nella zona di "Monte Castelluccio"  e di Ponte Olivo, si consumò uno dei più eroici episodi di tutta la campagna. Le commoventi parole incise su una lapide apposta su una delle diroccate pareti del vetusto maniero federiciano di Monte Castellucio, ne tramanda ai posteri l’imperituro ricordo.  
(il testo della lapide è fedelmente riportato più avanti)

Il primo tentativo di contrattacco venne operato dal Gruppo Mobile “E” (appartenente al 34° Rgt. della Divisione “Livorno”) formato da due colonne rispettivamente provenienti da Butera e da Niscemi. Il “gruppo” comprendeva, oltre ad alcuni reparti di Bersaglieri, di Fanteria e di Artiglieria leggera, una quarantina di carri “Renault” (preda bellica), di “Fiat T3” (antiquati e poco affidabili) e “Ansaldo L3” (dotati solamente di due mitragliatrici da 8 mm.). La pur debole puntata controffensiva fece si che un centinaio di soldati e nove di quei malandati pseudo carri armati (al comando del Cap. Giuseppe Ranieri) riuscissero a penetrare (ore 10,30 circa dell’ 11 luglio) nell’abitato di Gela - già nella notte occupata dalle forze da sbarco -, addentrandosi sin nella piazza principale. Si trattò, purtroppo, solo del coraggioso slancio di un pugno d’uomini e non di una vera e propria controffensiva coordinata e sufficientemente sostenuta da forze di rincalzo. E’ provato, tuttavia, che tale inaspettata azione mise in crisi l’ancor debole schieramento nemico ancora impegolato nelle operazioni di sbarco.
Dall’odierna minuziosa ricostruzione degli avvenimenti, s’è potuto accertare, infatti, che il Comandante della VII Armata Americana, il tronfio texano Gen. Patton, preoccupato che quelle "pulci" potessero essere l'avanguardia di chissà quale forza di reazione, aveva ritenuto opportuno diramare urgenti e precisi ordini per l’eventualità che si palesasse la necessità di procedere al reimbarco dei reparti e allo sgombero della testa di ponte.
I bersaglieri e i fanti del citato Gruppo Mobile “E”, pur nella consapevolezza dell’impari lotta, portarono coraggiosamente avanti il contrattacco seguendo le direttrici di “Capo Soprano” (la colonna proveniente da Butera) e della foce del fiume Dirillo (la colonna proveniente da Niscemi), riuscendo a fare arretrare le avanguardie della 1a Divisione statunitense già attestate nella piana.
Un secondo contrattacco, condotto dai reparti della Divisione “Livorno” (Gen. Domenico Chirieleison) vide anche l’apporto, purtroppo con circa 12 ore di ritardo, di alcuni reparti della Divisione corazzata tedesca “H. Goering” (Gen. Conrath) che, provenienti da Caltagirone, s’erano concentrati nella zona dell’aeroporto di Ponte Olivo a circa otto chilometri da Gela. A prescindere del ritardo di cui sopra, lo sforzo controffensivo, pur in mancanza di un adeguato appoggio aereo e di una idonea preparazione di artiglieria, portò nuovamente i reparti attaccanti a poca distanza dall’abitato di Gela, sin nelle vicinanze di “casa Aliotta” e del passaggio a livello della ferrovia. Una delle cause determinanti dell’insuccesso anche della seconda ondata controffensiva, sebbene portata avanti con valoroso slancio, fu il micidiale intervento delle artiglierie navali che, setacciando l’intera pianura gelese sino a Ponte Olivo ed al bivio per Niscemi, decimarono le colonne avanzanti e distrussero un buon numero di carri “Tiger” tedeschi.
E’ oggi ampiamente documentato che, dalle ore 9 alle ore 18 dell'11 luglio, i grossi calibri e i cannoni da “152” degli incrociatori "Boise" e "Savannah" e del caccia “Glennon”, spararono ben 3494 colpi, di cui oltre 500 giunsero a segno sui reparti della "Livorno" e della “Goering” mentre erano in pieno slancio offensivo.
Dopo due giorni di sanguinosa lotta, ogni azione di contrattacco s’esaurì e la Divisione "Livorno” cessò praticamente d’esistere quale unità combattente. Aveva perso ben 7414 uomini, fra cui molti ufficiali, su un organico di 11.400, oltre alla quasi totalità della dotazione di mezzi motorizzati e d’armamento pesante.
Tutto si svolse proprio a ridosso di quelle spiagge che, a detta dell’ Alto Comando di Roma, non avrebbero potuto essere “impunemente superate”. La citata gratuita affermazione fu peraltro ripresa, appena pochi giorni prima dello sbarco (24 giugno), dallo stesso Mussolini il quale, facendo ricorso alla consueta baldanza dialettica, aveva affermato che “nessun nemico avrebbe messo piede, da vivo, sul bagnasciuga del nostro territorio nazionale”. A parte la sfacciata spacconeria insita nel suo dire, non s’era reso conto, bontà sua, d’avere adoperato impropriamente il termine "bagnasciuga" che, come è noto, sta ad indicare nella terminologia marinaresca la “fascia a pelo d'acqua della carena di un natante” e non la “battigia” della spiaggia o, tanto meno, una scogliera. L’Italia, poteva ben vantarsi dei suoi capi.
Non va dimenticato, a tal proposito, che il livello qualificante dell’Alto Comando romano dell’epoca era tutt’alto che “alto”. Nel suo ambito aleggiava pur sempre la torva immagine del “maestro” d’inettitudine che lo aveva diretto per circa 20 anni, l’insigne Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Quell’Alto Conado avrebbe potuto essere benissimo inserito, di contro, al primo posto di una apposita classifica di lassismo e d’impreparazione. Per attribuirgli tale primato sarebbe bastato mettere in evidenza la palese congenita incapacità nel fronteggiare a tempo opportuno e adeguatamente le disavventure militari.

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Il glorioso 3° Btg. del Ten. Col. Dante Ugo Leonardi (siciliano, originario di Acireale, vedi foto a sisnistra) fu quasi annientato. Ridotto a poco più di una compagnia riuscì tuttavia a respingere un tentativo di accerchiamento e a tenere la posizione sino a mezzanotte circa, allorquando giunse l’ordine di ripiegamento sulle più difendibili posizioni di “Monte Castelluccio”.  Ivi, per molte ore ancora, seguitò a sostenere l’impari lotta .
                                     


Nel 1950, trovandomi a Gela, per ragioni di lavoro, ebbi l’occasione di leggere le toccanti parole incise sulla lapide apposta sulle rovine dell'antico maniero di Monte Castellucio e ne copiai fedelmente il testo:


                                                                                                                                           IN RICORDO
                                                                                                                                  DELLE EROICHE GESTA

 DEI FANTI DELLA DIVISIONE “LIVORNO

10 LUGLIO 1943

                                             
  RUDERE ANTICO DI MONTE CASTELLUCCIO,
  M U T O.
NELLA NOTTE DEL 10 LUGLIO 1943
     VEDESTI I FANTI D’ITALIA SULLE TUE PENDICI
  ATTESTARSI
    E POI ANELI BALZAR,
    ALL’ ATTACCO,
      CONTRO L'OSTE INVASOR !
        --------------

     RUDERE ANTICO DI MONTE CASTELLUCCIO
        NON PIU' MUTO.
       A TE LE OMBRE DI QUEI FANTI
        TORNARON A RACCONTAR:
         PUGNAMMO POCHI CONTRO MOLTI,
         INERMI CONTRO MOSTRI D’ACCIAIO
         E CADEMMO !


        
ITALIA,
         FU L'ESTREMO NOSTRO SOSPIR !

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  Il massacro di una Compagnia del Genio Guastatori.

 

 

Qui di seguito è riportato il resoconto del tragico destino cui andò incontro, in quel di Enna, l’ 11° Compagnia Genio Guastatori.
Ecco il testo ufficiale del documento approntato dall’ ”Associazione Nazionale Genio Guastatori”, mediante l’utilizzo della pertinente documentazione storica.
“A fine maggio 1943, lo Stato Maggiore aveva disposto che, con il personale rientrato da Banne (Tunisia), doveva essere costituita una compagnia organica, l'11^ Compagnia Genio guastatori, da porre alle dipendenze della VI Armata della Sicilia . Nell'ultima decade di giugno la ricostituita Compagnia riceve l'ordine di trasferirsi a Prizzi (Pa), una località sulle Madonie, a circa 1000 metri sul mare, per predisporsi ad essere impiegata, con altre forze disponibili, nel prevedibile imminente sbarco in Sicilia degli anglo-americani. Come risaputo, detto sbarco avviene nelle spiagge di Gela - Licata e Pachino – Avola, nella notte fra il 9 e 10 luglio. Il 12 luglio 1943, l'11° Compagnia si trasferisce da Prizzi ad Enna ove giunge in serata. Riceve l'ordine di sistemarsi, provvisoriamente, sotto tenda e le viene indicata, come area disponibile, la zona ovest della parte alta della città, adiacente al “boschetto” della G.I.L. e al "macello comunale".
Il nome della zona dove la compagnia si attenda non è, purtroppo, di buon auspicio per il reparto. A tarda notte, un massiccio attacco aereo investe l'intera area e l' 11^ Compagnia subisce ingenti perdite fra il personale, oltre alla completa distruzione dei mezzi e dei materiali in dotazione.
Praticamente annientata, l’11° Compagnia non è più da considerare quale Unità combattente e viene sciolta.”

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                                                         Gli eccidi americani di Biscari e Piano Stella.

In palese dispregio dei principi sanciti dalla Convenzione di Ginevra, alcuni reparti delle forze americane sbarcate il 10 luglio 1943 sulle spiagge della Sicilia (operazione Husky), si macchiarono di autentici “crimini di guerra”. A sangue freddo, fucilarono militari prigionieri e civili. E’ assodato che su tali inqualificabili manifestazioni di crudeltà, influì parecchio il pensiero del loro comandante in capo, il generale George Patton il quale, rivolgendosi ai suoi subordinati prima che iniziasse lo sbarco, pare abbia affermato: “kill, kill, and kill some more….”, che in italiano significa: “uccidi, uccidi, e uccidi, anche se si arrendono”. Esprimendo appieno il suo modo d’intendere la guerra, sembra che abbia anche aggiunto: “…quando tu sei a due - trecento metri da loro, non badare alle mani alzate: mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano tutti e non si faccia nessun prigioniero; è finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Voglio delle divisioni killer …!”.  Il texano Patton impersonava a pieno titolo l’arrogante figura del “cow boy” americano che disprezza la vita umana. Manifestava sovente, come risaputo, il proprio carattere tendenzialmente violento. Per conferire maggiore peso alla sua autoritaria personalità, andava in giro armato di una “Colt” da Far West (fuori ordinanza) con manico in tartaruga.
Gli efferati eccidi commessi dalle truppe americane appena dopo lo sbarco riguardarono militari (prigionieri) italiani e tedeschi, braccianti e agricoltori. Tutto si svolse nelle adiacenze dell’aeroporto di Biscari (Acate) e a Piano Stella, in provincia di Ragusa.   Ecco la sintetica ricostruzione di quel che avvenne:
“ … Il 14 luglio 1943 il 180° fanteria USA va all’assalto dell’aeroporto (…di Acate), difeso da un reparto italiano e dai paracadutisti tedeschi della “Hermann Goering”: i fanti del 180° non hanno mai combattuto e l’attacco al piccolo aeroporto è il loro battesimo del fuoco. Lo scontro è aspro e solo verso mezzogiorno le truppe dell’Asse iniziano a cedere: un gruppo di 38 soldati italiani s’arrende e gli uomini s’accoccolano nella polvere bruciata dal sole siciliano, stanchi, stufi, pronti a finire dietro al filo spinato. Ma il capitano John T. Compton dà un ordine che sulle prime non è nemmeno compreso ma che viene prontamente attuato: i 38 italiani vengono allineati al bordo della strada e fucilati all’istante in oltraggio a tutte le leggi di guerra. Poco dopo s’arrendono altri 45 italiani e 3 tedeschi, 38 dei quali (quelli in grado di camminare) sono affidati al sergente Horace T. West per essere portati nelle retrovie ed essere interrogati. Ci sono 14 chilometri da percorrere a piedi per giungere alla meta. Forse plagiato dal comportamento del superiore, forse disturbato dalla lunga marcia sotto il sole cocente, il sergente West, dopo un paio di chilometri, si gira e sventaglia con il mitra la colonna dei prigionieri”.
A raccontare, invece, cosa accadde a Piano Stella, è Gianfranco Ciriacono, unico sopravvissuto di quel misfatto e autore del libro “Le Stragi Dimenticate - Gli eccidi americani di Biscari e Piano Stella”.- (Cdb Editore, 2005):
… “Verso il pomeriggio tardi sentimmo qualcuno che chiamava dall’esterno del rifugio: "uscite fuori, uscite fuori", la voce gridava. Così uscimmo fuori e trovammo un soldato che parlava bene l’italiano e ci chiese di entrare a casa per vedere se vi erano soldati tedeschi. Mio padre si apprestò a fare perlustrare la casa, ma quando arrivammo davanti alla porta ci accorgemmo che già i soldati avevano sfondato la porta ed erano entrati. Dopo qualche ora arrivarono altri soldati… ormai era l’imbrunire. Ci fecero segno di uscire, ma nessuno parlava italiano. eravamo in sei persone e ci fecero segno di seguirli verso Acate. Il nostro podere confinava con il territorio della provincia di Ragusa e, dopo aver camminato un po’, giungemmo presso una casa che apparteneva a un certo Puzzo… Gli americani ci portarono in questa casetta, il terreno circostante era piantato a vigneto e lì ci fecero segno di sederci… Poi i soldati imbracciarono delle armi, dei fucili mitragliatori, e si misero ad angolo, uno da un lato e l’altro dall’altro. Ricordo che quando assunsero questa posizione il signor Curciullo, che era accanto a me, disse: "Compari Pippinu haiu ‘mprissioni che ci vogliono uccidere" . A questo punto, mentre parlavano, mi sentii prendere da qualcuno per il bavero della camicia e tirarmi su… allora ero ragazzino, andavo ancora alle elementari e sentivo i racconti dei fratelli Bandiera e cose del genere e pensai che il primo ad essere ucciso sarei stato proprio io… Quando mi sentii tirare per il bavero, girandomi vidi questo americano che aveva il fucile abbrancato, con la mano sinistra teneva un’anguria e con la destra mi tirava. Mi girai a guardarlo disse delle frasi che a mio parere volevano dire di allontanarmi. Non appena mi allontanai 20, 30 passi circa, sentii una raffica di mitra e le urla di mio padre, del mio amico e degli altri. Li avevano uccisi tutti…..”.
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I vertici militari statunitensi, venuti a conoscenza dei fatti e superando ogni limite di scorrettezza, ritennero che la cosa migliore fosse quella di impartire disposizioni acchè la relazione ufficiale dei fatti fosse artatamente rimaneggiata: - “dite all’ufficiale responsabile delle fucilazioni di riferire che gli uomini uccisi erano dei cecchini, o qualcos’altro; altrimenti la stampa farà il diavolo a quattro e anche i civili si infurieranno !”
Appare opportuno, in proposito, riportare un significativo stralcio tratto dal libro di Carlo D'Este - Lo sbarco in Sicilia - Mondadori 1990 - :
''Dai documenti venuti alla luce si evince un interessamento delle alte sfere militari per non far trapelare nulla agli organi di stampa. Pare che esista un carteggio tra il Generale Patton e il suo vice Bradley in cui il primo cerca di dissuadere Bradley dal rendere pubblica la vicenda di Biscari. Tra i documenti si trovano anche lettere del futuro Presidente Eisenhower e di alcuni membri del Congresso riguardanti la conduzione dei relativi procedimenti di accertamento delle responsabilità. Nei due processi celebrati si cercò di salvaguardare gli ufficiali e, infatti, l’unico ad essere condannato fu il sergente West''.
Tale spregiudicato comportamento, indicativo del sistema adottato da chi pensa di potere condurre la guerra con metodi sicuramente barbari e inumani, è più che sufficiente per dimostrare che gli eserciti degli “invasori” (solo ipocritamente si può attribuire loro la qualifica di “liberatori”) agivano alla stregua di quegli stessi “nemici” da loro giudicati “feroci ed incivili”. Come si fa, così facendo, a gloriarsi d’essere i paladini di quel sistema democratico che dovrebbe essere - ma molto spesso non lo è - la forma istituzionale più civile e moderna del mondo?

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                                  Sgombero della Sicilia (Agosto 1943).

Lo sgombero ebbe inizio con il traghettamento dei reparti Italiani, iniziatosi il 3 agosto e protrattosi sino al 12, pur se alcuni reparti poterono raggiungere la Calabria solo il giorno 15. Le operazioni di trasferimento furono coordinate dal generale di brigata Ettore Monacci e dal colonnello Salamo, coadiuvati dal capitano di fregata Casoria, comandante della difesa marittima dello Stretto, e dal capitano di fregata Morra. I Tedeschi, invece, iniziarono il trasferimento giorno 10 agosto ed esso si concluse il 17 agosto, proprio in concomitanza con l’arrivo a Messina degli Americani. La difesa dell’ultima linea di difesa era stata affidata ad alcuni reparti della 29° Panzergrenadier Division, comandata dal maggior generale W. Fries. Esaurito il proprio compito, anche tali reparti furono in grado, nella stessa notte, di trasferirsi sul continente. Per assicurare la buona riuscita dell’operazione venne approntata una imponente difesa antiaerea, coordinata dall’abile colonnello Ernst Günther Baade - Kommandeur der Messina - Straße, alle dirette dipendenze dal Gen.le Hube - comandante il XIV corpo corazzato - e del Ten. Gen. Von Senger und Etterlin che, a sua volta, era stato comandante delle truppe tedesche in Sicilia sino al 16 luglio. Tra la sponda sicula e quella calabra furono piazzati, lungo la costa e sopra le alture circostanti, circa 300 cannoni di vario calibro (fra cui parecchi dei temibili “88 mm.” della FLAK tedesca) oltre a diverse centinaia di mitragliere fra cui le efficacissime “Flakvierling 20/65” a canna quadrupla.
(vedi foto accanto)
Lo spiegamento di artiglierie e mitragliere fu, a detta degli stessi avversari, il più potente sistema antiaereo dell’intera guerra, paragonabile solo a quello approntato a difesa della Rhur e di gran lunga superiore a quello che aveva difeso Londra durante la “Battaglia d’Inghilterra”.
Tale giudizio fu anche espresso dai piloti inglesi e americani che tentarono di forzare il muro di fuoco che ad ogni allarme si ergeva a difesa dello Stretto.
Gli italiani s’avvalsero di tre battelli a vapore, di un traghetto ferroviario e di 10 gommoni a motore che, con continue traversate diurne e notturne, riuscirono a portare in Calabria circa 62/mila uomini (altri 32/mila circa erano già stati traghettati prima), 227 veicoli, 300 motocicli, alcuni cannoni da 122/45 e 12 muli. Andò persa una sola imbarcazione.
Per quanto concerne le forze tedesche, i servizi di traghettamento erano alle dipendenze del capitano di fregata Gustav Von Liebenstein, mentre il comando dei mezzi navali era stato assunto, dal 22 luglio, dal capitano di vascello Gerhard Von Kamptz. La difesa antinave era affidata a 8 pezzi da 170 mm., posti sul versante calabro. Essi respinsero più d’una volta i tentativi di alcune motosiluranti alleate di contrastare l’andirivieni delle motozattere.
La fase più importante si svolse tra il 14 e 16 agosto, nel corso della quale furono effettuate ben 4700 traversate.
Il risultato fu stupefacente: i Tedeschi riuscirono a traghettare un totale di 39.570 soldati (inclusi 4.400 feriti), 9605 autoveicoli, 47 carri armati, 94 pezzi d’artiglieria, 15.700 tonnellate di attrezzature e rifornimenti, 1.100 tonnellate di munizioni e 960 di carburante, contro il danneggiamento d’appena 13 imbarcazioni e di un solo morto.
Furono i Tedeschi, per inciso e senza commenti, a lasciare per ultimi l’Isola.
Nel complesso si trattò di un clamoroso successo tattico e organizzativo che, in relazione all’intenso e spasmodico sforzo logistico posto in atto, farà dire anche agli avversari che il traghettamento dello Stretto di Messina - “operazione Lerghang” - fu "la Dunkerque italiana".

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                                                 A.M.G.O.T.
          ALLIED MILITARY GOVERNMENT of OCCUPIED TERRITORIES
         - GOVERNO MILITARE ALLEATO PER I TERRITORI OCCUPATI -


Gli Alleati, una volta messo piede da vincitori sul suolo italico e in aperta contraddizione con la strumentale propaganda da cui s’erano fatti precedere (avevano ipocritamente sbandierato ai quattro venti che avrebbero portata la “libertà”), rinnegarono ogni promessa e optarono per la creazione un organismo cui affidare l’amministrazione dei “territori occupati” dalle proprie forze armate e lo contrassegnarono con una terminologia non consona e affatto degna per dei Paesi che si vantavano d’essere libertari e democratici. Il “governo” fu definito “militare” piuttosto che “civile”, mentre i “territori” vennero considerati "occupati" piuttosto che "liberati".
A riprova di tale incoerente atteggiamento, basta leggere le sgrammaticate affermazioni contenute in parecchi volantini e manifesti (vedi “documento” n° ”4” e “5”) ove, con assoluta sfrontatezza, si fece ricorso ad espressioni di assoluto sapore demagogico, quali, ad esempio: ..."siamo venuti a ridare la libertà", …."nessuno dichiarò guerra all'Italia"; …..”nessuno ha aggredito l’Italia”; …."ieri Hitler condannò gli italiani d'Africa, oggi condanna gli italiani d'Italia" (sic); …."stiamo dalla parte della libertà del Mondo"; …."combattiamo per liberarvi dal giogo nazi - fascista", ecc. ecc.
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Nel primi giorni dell’occupazione della Sicilia, la sede "provvisoria" dell’ A.M.G.O.T. venne approntata, per pochi giorni, ad Enna, da dove, appena attuata la “liberazione” della “capitale” dell’Isola, fu poi trasferita a Palermo. A capo della stessa, era stato posto il “Colonnello" Charles POLETTI,
(foto a destra) in effetti un semplice ufficiale di complemento. Era uno strano personaggio che, si disse, era giunto in Sicilia, ancora prima dello sbarco, munito di adeguate credenziali rilasciate dai "boss" della radicata e potente "mafia siculo - americana". Egli gestì il potere con sistemi autoritari e “assurda durezza”, a suon di "proclami" e "ordinanze", dimostrando scarso senso di comprensione e di civile rispetto verso le comunità siciliane. E’ stato acclarato che durante il suo lungo soggiorno palermitano condusse un tenore di vita degno di un emiro (in tutti i sensi, anche esibendosi nella squallida parte di “sciupa femmine”) ed ebbe frequenti contatti con i maggiorenti della mafia siciliana. Parecchi noti “uomini d’onore” furono da lui nominati sindaci d’importanti centri come, ad esempio, Genco Russo a Mussomeli, Calogero Vizzini a Villabate, Lucio Tasca a Palermo. Pensò bene, a cuor leggero e senza scrupolo alcuno, d’insediare Michele Navarra (noto capo mafia di Corleone) nell’incarico di “sovrintendente all’amministrazione dei trasporti in Sicilia”.
Durante il brevissimo soggiorno ennese, forse per un misterioso impulso del suo subconscio ma non certo per distrazione, fece sistemare il proprio ufficio nella ex “Casa del Fascio" (già sede del Federale), l’ex "Convento dei Benedettini".
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                                                                                 Invasione della Sicilia - 10 luglio 1943
                                                                                      ANEDDOTI, FATTI E MISFATTI


Una barzelletta raccolta a Racalmuto, “città della ragione” e paese natale di Leonardo Sciascia.

Poco prima della guerra un gruppo d'amici è alle prese con un interessante ragionamento politico del momento.
Parla il primo: "C'è 'a disoccupazioni, non c'è sale pe' saliera, non si campa 'a iurnata, qua' l'unica cosa 'a fari è la guerra all'America".
Risponde il secondo: "….va beni, va, ma….con tutti i guai che avimu, ci mettiamo a fari guerra all'America".
Ragiona ancora il primo: "appunto, così li costringiamu a viniri, per occuparci, ... e tra “food” e discoteche ci portano 'u binesseri".
"Giusto, bella idea" replica il secondo, ma un terzo obietta: "scusati, l'idea è bellissima, ma se poi duvissimo vincere 'a guerra, cumu imu nui in America ...  a disoccuparli?"

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"Attraverso la folla che ci dava il benvenuto, una colonna di soldati italiani prigionieri marciavano, su un lato della strada, con le braccia alzate sulla testa. Ne vidi uno che guardava rabbiosamente un civile che aveva gettato con gioia un cocomero sul mio sedile. Un altro soldato camminava con le lacrime che gli scorrevano sulla faccia…, mai avevo visto uno spettacolo più pietoso.

I soldati italiani devono essersi sentiti veramente amareggiati mentre passavano attraverso la folla dei loro connazionali che acclamavano i soldati di un altro paese… ".
Così scrive Jack Belden, corrispondente di guerra della rivista statunitense “Life”.

La scena descritta, coi soldati italiani incamminati verso la prigionia e con gli italiani che acclamano i soldati americani, fino a poche ore prima "nemici", si era svolta a Giacalone, un paesino nei pressi di Monreale.  Era il 21 luglio 1943.
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    Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  
Presidente Augusto Lucchese
  e-mail: augustolucchese@virgilio.it