10
LUGLIO 1943
2°
guerra - Occupazione della Sicilia.
77°
anniversario
dell’invasione alleata della Sicilia
(10 luglio 1943)
Ricorrendo il 77°
anniversario dell’invasione alleata della Sicilia (10 luglio
1943), riteniamo opportuno riproporre un quadro riepilogativo degli
avvenimenti - disastrosi e luttuosi - che segnarono i 46 giorni
in cui l'Isola, dopo i passati secoli di invasioni, di
dominazioni, di scontri egemonici, di finte "liberazioni", tornò
ad essere un cruento campo di battaglia. Lo dedichiamo a quei
siciliani che, pur a fronte della imperversante sciatteria
epocale, sono ancora proclivi ad addentrarsi nella conoscenza
della storia della propria terra.
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Premessa:
· Trattandosi
di un tema a torto ritenuto “barboso”, è doveroso
sottolineare che, alla pari delle diverse materie che a pieno
titolo fanno parte dello scibile culturale (scienze, fisica,
medicina, matematica, letteratura, poesia, narrativa,
pittura, musica, arte, archeologia ecc.) anche la storia ha
diritto ad attribuirsi un ruolo privilegiato.
Specie quando riguarda epoche recenti che hanno coinvolto
il nostro Paese.
·
Chi
non conosce la storia del proprio Paese è come una persona che
sconosce i propri dati anagrafici e la propria provenienza.
Molto peggio che un apolide.
Chi per pura prevenzione o indifferenza non s’accosta alla
storia
non è altro che un “mediocre”, come ha detto giustamente un
valente psicologo americano, riferendosi al livello culturale di
moltissimi italiani. Sono parecchi, purtroppo, che non hanno compreso
come
tutto trae origine dalla storia e tutto fa capo ad essa. Benedetta ignoranza o maledetta presunzione?
· L’analisi
e lo studio della storia andrebbero fortemente riproposti, oltre che
nell'ambiente scolastico e accademico,
nello specifico settore della informazione di massa, onde trasmettere un forte messaggio alle giovani generazioni che,
non avendo ricevuto un adeguato e obiettivo apprendimento a
livello scolastico, sono provatamente disinformate.
·
Non
è vero che la storia la scrivono i vincitori;
· Oggi,
attraverso la libera consultazione degli archivi delle Forze
Armate (non più coperti dal segreto militare, sia per
volontaria concessione che per decadenza dei termini) e degli
organi politici di riferimento di quasi tutte le Nazioni,
al fine di ricercare la verità dei fatti storici, è
possibile avvalersi
di una infinità di informazioni.
·
Fatti che possono essere studiati e analizzati a fondo
anche se, talvolta, viene fuori un quadro di gran lunga diverso
rispetto a quello comunemente noto o recepito per
sentito dire.
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Entrando in argomento occorre soffermarsi, dati alla mano, sui seguenti punti
riassuntivi:
·
Dalla
data della dichiarazione di guerra (10 giugno 1940) la Sicilia
ebbe a subire circa 460 incursioni aeree che,
specie nel primo semestre del 1943, assunsero
carattere d’inaudita violenza;
· Il
primo
bombardamento su Catania risale al giorno 6 luglio 1940
(reiterato il 10 luglio), a pochi giorni dalla dichiarazione di
guerra.
La
prima città siciliana bombardata fu Augusta, il 2 luglio 1940.
Nel
corso degli anni, Catania subì ben
87
attacchi aerei, Palermo 63, Messina 59. Il centro storico di
Catania fu gravemente danneggiato. Parimenti
un po’ tutti i territori delle Provincie di Trapani,
Caltanissetta, Enna,
Siracusa, Agrigento) finirono,
senza ritegno o
scrupolo, sotto le bombe alleate. Furono
colpite anche piccole e bellicamente insignificanti frazioni, come - ad
esempio - Brucoli.
E’
ampiamente dimostrato che gli obiettivi militari
venivano
quasi sempre
clamorosamente mancati mentre le bombe cadevano a
grappoli sui centri urbani e colpivano abitazioni e popolazioni
civili.
Era
il criminale metodo dei cosiddetti “bombardamenti a tappeto”,
effettuati da numerose e compatte formazioni di aerei inglesi e
americani (fra cui le famose “fortezze volanti” B/17 –
USA) capaci di trasportare, ognuno, parecchie tonnellate di quei
micidiali ordigni che arrecavano, ovunque, morte e distruzione.
·
Fu
un inumano e delittuoso modo di condurre la
guerra (peraltro
determinatamente voluto e autoriz zato dai capi politici alleati
dell’epoca (fra cui Roosevelt e Churchill
(foto a destra),
Stalin
e Truman ecc.)
e reso dettagliatamente operativo dai capi militari (Eisenhower,
Harris, Alexander, Patton ecc.). Proprio loro che definivano il
nazismo di Hitler come il male estremo e tacciavano i loro capi
di essere una accozzaglia di pericolosi carnefici. I piloti
della RAF e della USAF divennero
autentici killer.
Esiste,
in merito, un vasto carteggio che condanna, irreversibilmente,
la follia omicida di chi decise e attuò tale tipo di guerra. Il
tutto in aperto dispregio del “trattato di Ginevra”.
Non
si può accusare di crudeltà solo i nemici vinti (pur se rei
dei feroci e diabolici sistemi di sterminio di massa e di
ritorsione) quando, da parte
dei vincitori, sono stati commessi altrettanto
spregiudicati e
ignobili crimini di
guerra, determinando l’inumano massacro di centinaia di migliaia
di inermi
civili.
· Solo
in Italia le vittime civili furono 64.354 e i feriti e invalidi
oltre 800/mila. Le
vittime civili della repressione tedesca dopo l’8 settembre,
originate da ben altre motivazioni - pur se ugualmente
ingiustificabili, feroci e indiscriminate - risultano essere,
numericamente, di gran lunga inferiori.
·
I
morti civili per gli attacchi condotti dagli alleati con
migliaia di aerei su Berlino, Amburgo, Dresda e altri importanti
centri abitati tedeschi si fanno ascendere (pur se
approssimativamente) ad oltre 1/ milione; anche città olandesi,
belghe e francesi furono duramente colpite, specie Rotterdam.
·
Il
processo di Norimberga avrebbe dovuto accomunare tutti i
criminali di guerra, non solo quelli marcati dalla croce uncinata
del nazismo hitleriano.
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Altri aspetti dell’invasione alleata
della Sicilia, connessi con il 10 luglio 1943, sono i seguenti:

Solo
i tedeschi, mediante l'impiego delle divisioni corazzate "Goering" e "Sizilien"
già di stanza in Sicilia integrate da parecchi agguerriti raggruppamenti motocorazzati e a due divisioni di
paracadutisti - di cui una trasferita dalla
Francia in appena
due giorni
- disponevano di un
valido potenziale bellico, in grado di
fronteggiare l'indiscutibile strapotere alleato.
Gli italiani, invece, (pur se numericamente superiori - circa 163.000 uomini
- non avevano a disposizione che pochi mezzi antiquati e obsoleti.
Non
bastò, quindi, il valore e l’abnegazione dei reparti costieri che per
primi affrontarono gli invasori. La Divisione “Livorno”
fu letteralmente distrutta nel corso dei duri scontri
avvenuti nella piana di Gela
(lapide
apposta su Monte Castelluccio, il cui testo è
riportato più avanti, nel paragrafo che riguarda Gela)
-
Il
com ando della VI armata del Gen. Guzzoni (vedi
foto a sinistra) (da meno di due mesi
subentrato al Gen. Roatta, autore degli errati e inadeguati
piani di difesa della Sicilia oltre che del famoso quanto deprecato proclama
“voi siciliani e noi italiani”),
affrettatamente
trasferitosi
da Enna a
Randazzo
il 12 di luglio, aveva in gran parte perso il controllo
della situazione e si può dire che già dopo pochi giorni gran
parte dei reparti
italiani erano allo sbando, sia organicamente che
operativamente. In
definitiva solo i tedeschi, affiancati da quale autonomo e
ancora efficiente reparto italiano, riuscirono ad opporre una valida
resistenza al dilagare delle strapotenti forze anglo americane,
dopo che erano riuscite a sbarcare nelle spiagge del litorale gelese e in quelle fra
Pachino e Avola, nel siracusano.
In
soli 46 giorni tutta l’Isola cadde in mani nemiche. S’era delineata,
oltretutto, una sorta di “gara” fra gli americani di Patton e
gli inglesi di Montgomery per chi raggiungesse per primo
Messina. Sul filo di lana (per poche ore) vinse Patton.
-
Il
ripiegamento verso Messina delle unità combattenti tedesche e
l'avventuroso traghettamento attraverso lo stretto di Messina -
anche di gran parte dei mezzi pesanti oltre che degli uomini - fu un autentico
successo tedesco, da molti storici definito “la
Dunkerque siciliana”.
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Non
va dimenticata la comprovata collusione fra i servizi segreti americani
e la mafia siculo americana di Vito Genovese, Adonis, Costello,
Anastasia, Profaci, col
beneplacito della quale
giunse in
Sicilia il famoso bandito Luki
Luciano
( foto a destra), appositamente liberato dal carcere in cui si trovava.
Il pseudo colonnello POLETTI - capo
dell’AMGOT,
definito “l’emiro di Palermo” - in ossequio agli accordi
segreti fra mafia e Servizi USA di Alan Dulles - fu l’artefice
del rilancio del fenomeno mafioso in Sicilia e
nominò in posti di alto interesse istituzionale molti
noti capi mafiosi (Genco Russo, Calogero Vizzini, Lucio Tasca,
Michele Navarra, V.Di Carlo, Max Mugnani, Damiano Lumia e
altri).
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Le operazioni militari in Sicilia
A maggior chiarimento dei fatti, degli avvenimenti e delle
considerazioni sin qui esposti, non è fuor di luogo proporre un
excursus riassuntivo della situazione bellica determinatasi in
Sicilia nel luglio 1943. La cartina che segue può fornire,
all’uopo, un quadro visivo delle varie fasi e delle direttrici
d’attacco attraverso cui si concreti zzò, da parte delle Armate
anglo americane, l’occupazione dell’Isola.
Va detto, in merito, che i fatti smentirono clamorosamente
l’affrettata affermazione del Gen. Eisenhower
(vedi foto a fianco)
e del Gen.
Alexander (il primo comandante in capo delle forze alleate in
Mediterraneo, il secondo responsabile diretto della operazione
“HUSKY”) i quali avevano spavaldamente annunciato che la Sicilia
sarebbe stata occupata "in dieci giorni al massimo". In effetti,
pur a fronte della palese impreparazione italiana e della
carenza di efficace cooperazione fra i Comandi italiani e
tedeschi, di giorni ne occorsero ben 38. Parecchi negativi
fattori dell’apparato difensivo delle forze dell’Asse, non
permisero di fronteggiare tempestivamente e validamente i
cruciali momenti della prima fase dell’attacco alleato alla
Sicilia. Non servirono allo scopo gli eroici contrattacchi del
10 e 11 luglio nelle zone di Gela ad opera delle Divisioni
“Livorno” e “Goering” e di Scoglitti ad opera dei Reparti
costieri. Solo la strenua battaglia di Primosole, alle porte di
Catania, essenzialmente sostenuta dai “parà” tedeschi, determinò
il pesante arresto dell’avanzata della VIII Armata britannica
del Gen.le Montgomery. Peraltro, il grosso dei reparti tedeschi,
non appena delineatosi lo strapotere delle forze alleate, aveva
ricevuto l’ordine di eseguire una manovra di sganciamento, senza
impegnarsi in battaglie frontali. Ai reparti di retroguardia fu
affidato il compito di ritardare al massimo l’avanzata nemica.
Iniziò così l’arretramento su Messina delle divisioni
germaniche, arretramento che aveva essenzialmente lo scopo di
evitare un eventuale accerchiamento e la conseguente sicura
distruzione dei preziosi mezzi corazzati in loro dotazione.
Le Divisioni "Assietta" (Gen. E. Papini ) e "Aosta" (Gen. G.
Romano), in ripiegamento dalla zona occidentale, e ai resti
della "Napoli" (Gen. G.C. Gotti
Porcinari) e della "Livorno" (Gen.le D. Chirieleison),
in disordinata ritirata da est e da sud, fecero ben poco per contrastare
l'avanzata delle preponderanti forze anglo - americane. Furono
gli accaniti combattimenti di Regalbuto e di Troina, in gran
misura sostenuti dalla
caparbia resistenza dei reparti germanici di retroguardia a
permettere che il grosso delle forze dell’Asse riuscisse a
raggiungere
le zone del messinese da cui sarebbe stato possibile effettuare
il graduale e ben riuscito trasferimento sulla costa
calabrese. (“operazione Lerghang”).
Nel breve volgere di alcune settimane, tuttavia, malgrado la
ricordata agguerrita resistenza e i ritardi di varia natura, la
Sicilia cadde sotto l’assoluto controllo degli Alleati. Fu
creato, all'uopo, un organo d’amministrazione
territoriale denominato A.M.G.O.T. "GOVERNO MILITARE ALLEATO PER
I TERRITORI OCCUPATI" .
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Si evidenzieran no presto gli effetti della
sconfitta subita in Sicilia dalle forze dell’Asse che, sostanzialmente, non
erano state in grado di difenderla. Un importante lembo del
territorio nazionale era ora in mani nemiche.
L’Isola, dopo essere stata occupata (non "liberata") venne praticamente divisa in due zone d’influenza.
Quella sotto controllo delle "benestanti" divisioni americane
(che si estendeva un po' a tutto il centro - ovest della
Sicilia, compresa buona parte della Provincia di Enna) fu in un
certo qual modo baciata dalla fortuna. Gli "Yankee", tranne
qualche indegno episodio di cui le cronache hanno parlato poco e
niente (eccidi americani di Biscari, Piano Stella e Comiso), tutto sommato si comportarono bene con la
popolazione civile, mostrandosi sostanzialmente comprensivi e
generosi.
(vedi foto a fianco) La stessa cosa non può dirsi per quegli altri
territori (prevalentemente della Sicilia Orientale) presi in
consegna dalle soldatesche inglesi e del Commonwealt. Queste
ultime, in
barba alla millantata qualifica di "liberatori", o più
semplicemente di “co-liberatori”, stante che da soli - senza l'immenso
e inesauribile potenziale industriale e bellico degli
Stati Uniti di Roosewelt - e
senza Stalin - con i “commissari del popolo”, il
“generale inverno” e le “Katiuscia” - non sarebbero stati in
grado di liberare un bel niente. Gli inglesi confermarono e avvalorarono,
invece, la pregressa vergognosa fama di truci "colonialisti",
dimostrando d’essere pressoché indifferenti, di massima, al basilare
concetto del rispetto delle popolazioni sottomesse.
Quest’ultima considerazione, del resto, trova ampia conferma
nelle vicende storiche riguardanti quei Paesi che, nei secoli, ebbero la
non felice ventura d’essere sottoposti alla “perfida Albione”.
Solo per carità di Patria, infine, è meglio non dilungarsi a
parlare del torbido comportamento dei raccogliticci reparti
della cosiddetta “Francia Libera” di De Gaulle (fra
cui i famigerati e selvaggi "marocchini" del Gen.le Giraud ),
responsabili di saccheggi e di ignobili violenze su donne e
bambini.
Per l'Isola l'unico tangibile, agognato e immediato vantaggio fu, in ogni caso, il
fatto che, fra paure, vittime civili, sofferenze e privazioni d'ogni
genere, il ciclone dei combattimenti e dei bombardamenti si
fosse definitivamente allontanato dalla Sicilia.
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10 luglio 1943 - GLI ALLEATI SBARCANO IN SICILIA

GELA - MONTE CASTELLUCCIO
Quello che avrebbe dovuto essere un qualsiasi mattino di quel
luglio di guerra, fu invece apportatore di gravi notizie. A
conferma delle avvisaglie che negli ultimi giorni non avevano
fatto presagire nulla di buono, scoccò l’ “ora X” dell’invasione
della Sicilia, frutto degli errori strategici e delle pesanti sconfitte dell’Asse in Libia
e in Tunisia e della quasi incontrastata occupazione, da parte degli anglo-americani,
dell’intera fascia mediterranea dell’Africa, dal Canale di Suez
al Marocco francese.
°°°°°°°°°°°°°
Mio padre, contrariamente alle sue abitudini, non aveva ancora
acceso la radio per ascoltare le prime notizie e in sua vece
m’ero premurato di farlo io, appena in tempo per captare il
cinguettio del familiare “usignolo” che annunciava il “segnale
orario” delle ore 8. Quando la nota voce dello "speaker" diede
inizio al “giornale radio” non potei non avvertire una strana
sensazione. Nello scandire le parole, il tono era
insolitamente teso, quasi accorato. Diede subito lettura di un
annuncio che destò in me ansia e preoccupazione: "...da
notizie appena pervenute, apprendiamo che stanotte, attorno alle
ore tre, consistenti forze anglo - americane sono sbarcate in
Sicilia. Precedute da intensi bombardamenti navali ed aerei,
sembra abbiano preso terra lungo il litorale sud dell’Isola, tra Scoglitti, Gela e Licata, oltre che lungo la costa orientale,
tra Pachino e Avola. Le nostre truppe s’oppongono validamente
all'urto delle forze avversarie, ma le frammentarie notizie sino
ad ora giunte, non permettono di tracciare un esauriente quadro
della situazione. Maggiori particolari verranno forniti con il
bollettino del Comando Supremo delle FF.AA. che, come di
consueto, sarà diramato alle ore 13 di oggi”.
Ero già vicino all’apparecchio radio ma, istintivamente,
m’accostai ancor più, come se ciò permettesse d’ascoltare meglio ulteriori
dettagli. La notizia appena diffusa non poteva non determinare
apprensione e costernazione. La tensione s’aggravò ancor più
quando, dopo pochi minuti, la trasmissione s’interruppe, come se
si fosse persa nel nulla. Evidentemente, era saltato il
collegamento con il ripetitore EIAR di Caltanissetta e quindi
con la rete nazionale. Era ben facile intuire, a tal punto, che
in relazione all’emergenza determinatasi sulle vicine spiagge
dell’Isola, tale collegamento non sarebbe
stato più ripristinato. Ma come suole dirsi “non c’è due senza
tre” e, a peggiorare ogni cosa, venne a mancare anche la
corrente elettrica.
La notizia, ovviamente, era foriera di gravi e imprevedibili
conseguenze. Oltremodo emozionato mi precipitai nella stanza
accanto, ove si trovavano i miei genitori, e concitatamente
riferii quanto appena ascoltato alla radio. Sulle prime ebbi,
però, l’immediata sensazione che non avessero dato soverchia
importanza al fatto e solo a seguito della reiterata
insistenza potei notare una maggiore predisposizione ad
ascoltarmi. Mio padre, alla fine, non senza manifestare una qual
certa incredulità, prese la decisione di scendere in strada per
attingere eventuali conferme dai vicini o da qualche mattiniero
passante.
Da parte mia pensai che l’unica cosa da fare fosse quella di
rintracciare l’amico Sergente Maggiore Armando Papadia che, facendo parte del
Reparto “Genio Trasmissioni”,
allocato nel vicino edificio "Perna", avrebbe potuto essere in
grado, forse, di fornire più precisi ragguagli. Purtroppo, non
era rientrato dal servizio notturno e nessuno
dei commilitoni interpellati sembrava propenso a rispondere alla
mia richiesta di notizie. Non fu difficile rendersi conto, però,
del come un po’ tutti fossero in preda ad una palese agitazione.
Li pregai, comunque, di recapitare un messaggio ad Armando,
sperando che si facesse vivo al più presto.
Sembrava inverosimile, in ogni caso, che non si riuscisse ad
ottenere esaurienti informazioni su un fatto tanto importante,
specie considerando che solo un centinaio di chilometri ci
separava dalla zona in cui, stando alla notizia poco prima
diffusa dalla radio, stava accadendo qualcosa di grave e di
determinante per il nostro immediato futuro.
°°°°°°°°°°°°°
La minuziosa ricostruzione, in chiave cronologica, delle
operazioni d’attacco alla Sicilia (operazione “HUSKY”) ci ha
fatto sapere, pur se solo a posteriori, l'insicura e
imprevidente realtà operativa
in cui, nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943, vennero a
trovarsi le forze italo tedesche cui era affidata la difesa
dell’Isola, con particolare riferimento ai settori costieri
interessati dallo sbarco.
L’assalto delle preponderanti forze anglo americane,
sviluppatosi nel corso di quella notte d’apocalisse, era
verosimilmente finalizzato ad avere ragione al più presto
possibile del debole "apparato difensivo della Sicilia". Tutto
si svolse con una azione travolgente
e del tutto ineluttabile, pur se i tempi e le difficoltà risulteranno,
alla fine, di gran lunga superiori rispetto alle ottimistiche
previsioni del Comando di Algeri. In proposito,
pur se parecchie avvisaglie avevano fatto intuire che l’attacco
fosse ormai imminente, è da dire che quasi tutti i reparti costieri, chi più e
chi meno, non erano stati informati e allertati a tempo e, quindi,
finirono con l’essere colti di sorpresa e, quindi, non poterono
porre in atto una valida reazione.
Appena pochi giorni prima, nel corso di un incontro svoltosi ad
Enna, il 28 giugno, presso il Comando della 6° Armata italiana,
la situazione era stata vagliata oltre che dal Gen. Alfredo
Guzzoni (che da poche settimane aveva assunto il Comando in
sostituzione del Gen. Mario Roatta), dal Maresciallo
Albert Kesserling (comandante in capo delle Forze tedesche in
Italia) e dal Gen. Frido Von Serger und Etterlin . Quest’ultimo
ricopriva, in quel momento, l’incarico di ufficiale di
collegamento con il Comando Supremo Tedesco.
Il Gen.le Guzzoni, nella qualità di comandante delle forze italo
tedesche in Sicilia, fece presente d’avere potuto solamente
prendere atto dei piani di difesa predisposti dal suo
predecessore Gen. Roatta. Essi, a suo dire, erano
“disperatamente insufficienti” e sostanzialmente "inadeguati alla
bisogna".
Nel prestabilito giorno dell’invasione, una imponente flotta di
oltre 2000 navi da trasporto di tutti i tipi, protette da più di
duecento navi guerra - fra cui alcune navi da battaglia e
parecchi incrociatori pesanti -, si presentò al largo delle
coste siciliane e, sostanzialmente incontrastata, diede avvio
all’operazione “HUSKY”.
Quell’immenso brulicare di navi
“Liberty”, di mezzi da sbarco, di zatteroni traghetto
(vedi foto a fianco), prese a
riversare a terra gli effettivi di due Armate, la VIII inglese,
del Gen. Montgomery, e la VII americana del Gen. Patton, in uno
a tonnellate e tonnellate di materiali, di automezzi e mezzi
corazzati d’ogni tipo. L’operazione era stata preceduta da un
massiccio lancio di paracadutisti e dall’impiego di due gruppi
aviotrasportati (la 82° divisione statunitense del Gen. Ridgway
e la 1° Brigata inglese) che, per l’insufficiente conoscenza dei
luoghi e per i macroscopici errori di rotta dei piloti, ebbero a
subire ingenti perdite, al limite di un vero e proprio disastro.
Centinaia di “ali anti” “Waco” e “Horsa” (questi ultimi
con a bordo anche automezzi e armi pesanti) si schiantarono su
sconosciuti rilievi delle zone prescelte per l’atterraggio o sui
robusti muretti confinari degli appezzamenti
agricoli. Parecchi altri finirono addirittura
parecchio lontani, al largo dalla costa e furono inghiottiti
dai flutti del mare. Le perdite in uomini e mezzi furono tanto
rilevanti da indurre il Comando Alleato a sospendere ulteriori
azioni del genere.
La forza di contrasto a disposizione degli italiani era
essenzialmente basata sulle divisioni mobili “Livorno”, “Assietta”,
“Aosta” e “Napoli”, in aggiunta a “nove gruppi costieri
autonomi” la cui singola consistenza era pressoché quella di un
Reggimento. I tedeschi potevano contare su alcuni “Gruppi mobili
da combattimento”, oltre che sulle divisioni corazzate
“Sizilien” e “Goering”.
Senza entrare nel merito dell’esame qualitativo e quantitativo
delle forze contrapposte e senza soffermarsi in chiave critica
sul notevole divario tecnico e logistico esistente fra i reparti
italiani e quelli tedeschi
(vedi foto a fianco), è doveroso, in ogni caso,
sottolineare il magnifico ardimento con cui taluni
raggruppamenti divisionali e costieri italiani si sacrificarono
nel sovrumano tentativo di ostacolare se non di ricacciare a
mare gli Anglo Americani.
Nella piana di Gela (l’antica città greca ove il poeta Eschilo
concluse la sua vita terrena), esattamente nella zona di "Monte
Castelluccio" e di Ponte Olivo, si consumò uno dei più eroici
episodi di tutta la campagna. Le commoventi parole incise su una
lapide apposta su una delle diroccate pareti del vetusto maniero
federiciano di Monte Castellucio, ne tramanda ai posteri
l’imperituro ricordo.
(il testo della lapide è fedelmente riportato più avanti)
Il primo tentativo di contrattacco venne operato dal Gruppo
Mobile “E” (appartenente al 34° Rgt. della Divisione “Livorno”)
formato da due colonne rispettivamente provenienti da Butera e
da Niscemi. Il “gruppo” comprendeva, oltre ad alcuni reparti di
Bersaglieri, di Fanteria e di Artiglieria leggera, una
quarantina di carri “Renault” (preda bellica), di “Fiat T3”
(antiquati e poco affidabili) e “Ansaldo L3” (dotati solamente
di due mitragliatrici da 8 mm.). La pur debole puntata
controffensiva fece si che un centinaio di soldati e nove di
quei malandati pseudo carri armati (al comando del Cap. Giuseppe
Ranieri) riuscissero a penetrare (ore 10,30 circa dell’ 11
luglio) nell’abitato di Gela - già nella notte occupata dalle
forze da sbarco -, addentrandosi sin nella piazza principale. Si
trattò, purtroppo, solo del coraggioso slancio di un pugno
d’uomini e non di una vera e propria controffensiva coordinata e
sufficientemente sostenuta da forze di rincalzo. E’ provato,
tuttavia, che tale inaspettata azione mise in crisi l’ancor
debole schieramento nemico ancora impegolato nelle operazioni di
sbarco.
Dall’odierna minuziosa ricostruzione degli avvenimenti, s’è
potuto accertare, infatti, che il Comandante della VII Armata
Americana, il tronfio texano Gen. Patton, preoccupato che quelle
"pulci" potessero essere l'avanguardia di chissà quale forza di
reazione, aveva ritenuto opportuno diramare urgenti e precisi
ordini per l’eventualità che si palesasse la necessità di
procedere al reimbarco dei reparti e allo sgombero della testa
di ponte.
I bersaglieri e i fanti del citato Gruppo Mobile “E”, pur nella
consapevolezza dell’impari lotta, portarono coraggiosamente
avanti il contrattacco seguendo le direttrici di “Capo Soprano”
(la colonna proveniente da Butera) e della foce del fiume
Dirillo (la colonna proveniente da Niscemi), riuscendo a fare
arretrare le avanguardie della 1a Divisione statunitense già
attestate nella piana.
Un secondo contrattacco, condotto dai reparti della Divisione
“Livorno” (Gen. Domenico Chirieleison) vide anche l’apporto,
purtroppo con circa 12 ore di ritardo, di alcuni reparti della
Divisione corazzata tedesca “H. Goering” (Gen. Conrath) che,
provenienti da Caltagirone, s’erano concentrati nella zona
dell’aeroporto di Ponte Olivo a circa otto chilometri da Gela. A
prescindere del ritardo di cui sopra, lo sforzo controffensivo,
pur in mancanza di un adeguato appoggio aereo e di una idonea
preparazione di artiglieria, portò nuovamente i reparti
attaccanti a poca distanza dall’abitato di Gela, sin nelle
vicinanze di “casa Aliotta” e del passaggio a livello della
ferrovia. Una delle cause determinanti dell’insuccesso anche
della seconda ondata controffensiva, sebbene portata avanti con
valoroso slancio, fu il micidiale intervento delle artiglierie
navali che, setacciando l’intera pianura gelese sino a Ponte
Olivo ed al bivio per Niscemi, decimarono le colonne avanzanti e
distrussero un buon numero di carri “Tiger” tedeschi.
E’ oggi ampiamente documentato che, dalle ore 9 alle ore 18
dell'11 luglio, i grossi calibri e i cannoni da “152” degli
incrociatori "Boise" e "Savannah" e del caccia “Glennon”,
spararono ben 3494 colpi, di cui oltre 500 giunsero a segno sui
reparti della "Livorno" e della “Goering” mentre erano in pieno
slancio offensivo.
Dopo due giorni di sanguinosa lotta, ogni azione di contrattacco
s’esaurì e la Divisione "Livorno” cessò praticamente d’esistere
quale unità combattente. Aveva perso ben 7414 uomini, fra cui
molti ufficiali, su un organico di 11.400, oltre alla quasi
totalità della dotazione di mezzi motorizzati e d’armamento
pesante.
Tutto si svolse proprio a ridosso di quelle spiagge che, a detta
dell’ Alto Comando di Roma, non avrebbero potuto essere
“impunemente superate”. La citata gratuita affermazione fu
peraltro ripresa, appena pochi giorni prima dello sbarco (24
giugno), dallo stesso Mussolini il quale, facendo ricorso alla
consueta baldanza dialettica, aveva affermato che “nessun nem ico
avrebbe messo piede, da vivo, sul bagnasciuga del nostro
territorio nazionale”.
A parte la sfacciata spacconeria insita nel suo dire, non s’era
reso conto, bontà sua, d’avere adoperato impropriamente il
termine "bagnasciuga" che, come è noto, sta ad indicare nella
terminologia marinaresca la “fascia a pelo d'acqua della carena
di un natante” e non la “battigia” della spiaggia o, tanto meno,
una scogliera. L’Italia, poteva ben vantarsi dei suoi capi.
Non va dimenticato, a tal proposito, che il livello qualificante
dell’Alto Comando romano dell’epoca era tutt’alto che “alto”.
Nel suo ambito aleggiava pur sempre la torva immagine del
“maestro” d’inettitudine che lo aveva diretto per circa 20 anni,
l’insigne Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Quell’Alto Conado avrebbe potuto essere benissimo inserito, di contro, al
primo posto di una apposita classifica di lassismo e
d’impreparazione. Per attribuirgli tale primato sarebbe bastato
mettere in evidenza la palese congenita incapacità nel
fronteggiare a tempo opportuno e adeguatamente le disavventure
militari.
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Il glorioso 3° Btg. del Ten. Col. Dante Ugo Leonardi (siciliano,
originario di Acireale, vedi foto a sisnistra) fu quasi
annientato. Ridotto a poco più di una compagnia riuscì tuttavia
a respingere un tentativo di accerchiamento e a tenere la
posizione sino a mezzanotte circa, allorquando giunse l’ordine
di ripiegamento sulle più difendibili posizioni di “Monte Castelluccio”.
Ivi, per molte ore ancora, seguitò a sostenere l’impari lotta .
Nel 1950, trovandomi a Gela, per ragioni di lavoro, ebbi
l’occasione di leggere le toccanti parole incise sulla lapide
apposta sulle rovine dell'antico maniero di Monte Castellucio e ne
copiai fedelmente il testo:
IN RICORDO
DELLE EROICHE GESTA
DEI FANTI DELLA DIVISIONE “LIVORNO
10 LUGLIO 1943
RUDERE ANTICO DI MONTE CASTELLUCCIO,
M U T O.
NELLA NOTTE DEL 10 LUGLIO 1943
VEDESTI I FANTI D’ITALIA SULLE TUE PENDICI
ATTESTARSI
E POI ANELI BALZAR,
ALL’ ATTACCO,
CONTRO L'OSTE INVASOR !
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RUDERE ANTICO DI MONTE CASTELLUCCIO
NON PIU' MUTO.
A TE LE OMBRE DI QUEI FANTI
TORNARON A RACCONTAR:
PUGNAMMO POCHI CONTRO MOLTI,
INERMI CONTRO MOSTRI D’ACCIAIO
E CADEMMO !
ITALIA,
FU L'ESTREMO NOSTRO SOSPIR !
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Il massacro di una Compagnia del Genio Guastatori.
Qui di seguito è riportato il resoconto del tragico destino cui
andò incontro, in quel di Enna, l’ 11° Compagnia Genio
Guastatori.
Ecco il testo ufficiale del documento approntato dall’
”Associazione Nazionale Genio Guastatori”, mediante l’utilizzo
della pertinente documentazione storica.
“A fine maggio 1943, lo Stato Maggiore aveva disposto che, con
il personale rientrato da Banne (Tunisia), doveva essere
costituita una compagnia organica, l'11^ Compagnia Genio
guastatori, da porre alle dipendenze della VI Armata della
Sicilia . Nell'ultima decade di giugno la ricostituita Compagnia
riceve l'ordine di trasferirsi a Prizzi (Pa), una località sulle
Madonie, a circa 1000 metri sul mare, per predisporsi ad essere
impiegata, con altre forze disponibili, nel prevedibile
imminente sbarco in Sicilia degli anglo-americani. Come
risaputo, detto sbarco avviene nelle spiagge di Gela - Licata e
Pachino – Avola, nella notte fra il 9 e 10 luglio. Il 12 luglio
1943, l'11° Compagnia si trasferisce da Prizzi ad Enna ove
giunge in serata. Riceve l'ordine di sistemarsi,
provvisoriamente, sotto tenda e le viene indicata, come area
disponibile, la zona ovest della parte alta della città,
adiacente al “boschetto” della G.I.L. e al "macello comunale".
Il nome della zona dove la compagnia si attenda non è,
purtroppo, di buon auspicio per il reparto. A tarda notte, un
massiccio attacco aereo investe l'intera area e l' 11^ Compagnia
subisce ingenti perdite fra il personale, oltre alla completa
distruzione dei mezzi e dei materiali in dotazione.
Praticamente annientata, l’11° Compagnia non è più da
considerare quale Unità combattente e viene sciolta.”
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Gli eccidi americani di Biscari e Piano Stella.
In palese dispregio dei principi sanciti dalla Convenzione di
Ginevra, alcuni reparti delle forze americane sbarcate il 10
luglio 1943 sulle spiagge della Sicilia (operazione Husky), si
macchiarono di autentici “crimini di guerra”. A sangue freddo,
fucilarono militari prigionieri e civili. E’ assodat o che su
tali inqualificabili manifestazioni di crudeltà, influì
parecchio il pensiero del loro comandante in capo, il generale
George Patton il quale, rivolgendosi ai suoi subordinati prima
che iniziasse lo sbarco, pare abbia affermato: “kill, kill, and
kill some more….”, che in italiano significa: “uccidi, uccidi, e
uccidi, anche se si arrendono”. Esprimendo appieno il suo modo
d’intendere la guerra, sembra che abbia anche aggiunto: “…quando
tu sei a due - trecento metri da loro, non badare alle mani
alzate: mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si
fottano tutti e non si faccia nessun prigioniero; è finito il
momento di giocare, è ora di uccidere! Voglio delle divisioni
killer …!”.
Il texano Patton impersonava a pieno titolo l’arrogante figura
del “cow boy” americano che disprezza la vita umana. Manifestava
sovente, come risaputo, il proprio carattere tendenzialmente
violento. Per conferire maggiore peso alla sua autoritaria
personalità, andava in giro armato di una “Colt” da Far West
(fuori ordinanza) con manico in tartaruga.
Gli efferati eccidi commessi dalle truppe americane appena dopo
lo sbarco riguardarono militari (prigionieri) italiani e
tedeschi, braccianti e agricoltori. Tutto si svolse nelle
adiacenze dell’aeroporto di Biscari (Acate) e a Piano Stella, in
provincia di Ragusa.
Ecco la sintetica ricostruzione di quel che avvenne:
“ … Il 14 luglio 1943 il 180° fanteria USA va all’assalto
dell’aeroporto (…di Acate), difeso da un reparto italiano e dai
paracadutisti tedeschi della “Hermann Goering”: i fanti del 180°
non hanno mai combattuto e l’attacco al piccolo aeroporto è il
loro battesimo del fuoco. Lo scontro è aspro e solo verso
mezzogiorno le truppe dell’Asse iniziano a cedere: un gruppo di
38 soldati italiani s’arrende e gli uomini s’accoccolano nella
polvere bruciata dal sole siciliano, stanchi, stufi, pronti a
finire dietro al filo spinato. Ma il capitano John T. Compton dà
un ordine che sulle prime non è nemmeno compreso ma che viene
prontamente attuato: i 38 italiani vengono allineati al bordo
della strada e fucilati all’istante in oltraggio a tutte le
leggi di guerra. Poco dopo s’arrendono altri 45 italiani e 3
tedeschi, 38 dei quali (quelli in grado di camminare) sono
affidati al sergente Horace T. West per essere portati nelle
retrovie ed essere interrogati. Ci sono 14 chilometri da
percorrere a piedi per giungere alla meta. Forse plagiato dal
comportamento del superiore, forse disturbato dalla lunga marcia
sotto il sole cocente, il sergente West, dopo un paio di
chilometri, si gira e sventaglia con il mitra la colonna dei
prigionieri”.
A raccontare, invece, cosa accadde a Piano Stella, è Gianfranco
Ciriacono, unico sopravvissuto di quel misfatto e autore del
libro “Le Stragi Dimenticate - Gli eccidi americani di Biscari e
Piano Stella”.- (Cdb Editore, 2005):
… “Verso il pomeriggio tardi sentimmo qualcuno che chiamava
dall’esterno del rifugio: "uscite fuori, uscite fuori", la voce
gridava. Così uscimmo fuori e trovammo un soldato che parlava
bene l’italiano e ci chiese di entrare a casa per vedere se vi
erano soldati tedeschi. Mio padre si apprestò a fare perlustrare
la casa, ma quando arrivammo davanti alla porta ci accorgemmo
che già i soldati avevano sfondato la porta ed erano entrati.
Dopo qualche ora arrivarono altri soldati… ormai era
l’imbrunire. Ci fecero segno di uscire, ma nessuno parlava
italiano. eravamo in sei persone e ci fecero segno di seguirli
verso Acate. Il nostro podere confinava con il territorio della
provincia di Ragusa e, dopo aver camminato un po’, giungemmo
presso una casa che apparteneva a un certo Puzzo… Gli americani
ci portarono in questa casetta, il terreno circostante era
piantato a vigneto e lì ci fecero segno di sederci… Poi i
soldati imbracciarono delle armi, dei fucili mitragliatori, e si
misero ad angolo, uno da un lato e l’altro dall’altro. Ricordo
che quando assunsero questa posizione il signor Curciullo, che
era accanto a me, disse: "Compari Pippinu haiu ‘mprissioni che
ci vogliono uccidere" . A questo punto, mentre parlavano, mi
sentii prendere da qualcuno per il bavero della camicia e
tirarmi su… allora ero ragazzino, andavo ancora alle elementari
e sentivo i racconti dei fratelli Bandiera e cose del genere e
pensai che il primo ad essere ucciso sarei stato proprio io…
Quando mi sentii tirare per il bavero, girandomi vidi questo
americano che aveva il fucile abbrancato, con la mano sinistra
teneva un’anguria e con la destra mi tirava. Mi girai a
guardarlo disse delle frasi che a mio parere volevano dire di
allontanarmi. Non appena mi allontanai 20, 30 passi circa,
sentii una raffica di mitra e le urla di mio padre, del mio
amico e degli altri. Li avevano uccisi tutti…..”.
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I vertici militari statunitensi, venuti a conoscenza dei fatti e
superando ogni limite di scorrettezza, ritennero che la cosa
migliore fosse quella di impartire disposizioni acchè la
relazione ufficiale dei fatti fosse artatamente rimaneggiata: -
“dite all’ufficiale responsabile delle fucilazioni di riferire
che gli uomini uccisi erano dei cecchini, o qualcos’altro;
altrimenti la stampa farà il diavolo a quattro e anche i civili
si infurieranno !”
Appare opportuno, in proposito, riportare un significativo
stralcio tratto dal libro di Carlo D'Este - Lo sbarco in Sicilia
- Mondadori 1990 - :
''Dai documenti venuti alla luce si evince un interessamento
delle alte sfere militari per non far trapelare nulla agli
organi di stampa. Pare che esista un carteggio tra il Generale
Patton e il suo vice Bradley in cui il primo cerca di dissuadere
Bradley dal rendere pubblica la vicenda di Biscari. Tra i
documenti si trovano anche lettere del futuro Presidente
Eisenhower e di alcuni membri del Congresso riguardanti la
conduzione dei relativi procedimenti di accertamento delle
responsabilità. Nei due processi celebrati si cercò di
salvaguardare gli ufficiali e, infatti, l’unico ad essere
condannato fu il sergente West''.
Tale spregiudicato comportamento, indicativo del sistema
adottato da chi pensa di potere condurre la guerra con metodi
sicuramente barbari e inumani, è più che sufficiente per
dimostrare che gli eserciti degli “invasori” (solo ipocritamente
si può attribuire loro la qualifica di “liberatori”) agivano
alla stregua di quegli stessi “nemici” da loro giudicati “feroci
ed incivili”. Come si fa, così facendo, a gloriarsi d’essere i
paladini di quel sistema democratico che dovrebbe essere - ma
molto spesso non lo è - la forma istituzionale più civile e
moderna del mondo?
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Sgombero della Sicilia (Agosto 1943).
Lo sgombero ebbe inizio con il traghettamento dei reparti
Italiani, iniziatosi il 3 agosto e protrattosi sino al 12, pur
se alcuni reparti poterono raggiungere la Calabria solo il
giorno 15. Le operazioni di trasferimento furono coordinate dal
generale di brigata Ettore Monacci e dal colonnello Salamo,
coadiuvati dal capitano di fregata Casoria, comandante della
difesa marittima dello Stretto, e dal capitano di fregata Morra.
I Tedeschi, invece, iniziarono il trasferimento giorno 10 agosto
ed esso si concluse il 17 agosto, proprio in concomitanza con
l’arrivo
a Messina degli Americani. La difesa dell’ultima linea
di difesa era stata affidata ad alcuni reparti della 29° Panzergrenadier Division, comandata dal maggior generale W.
Fries. Esaurito il proprio compito, anche tali reparti furono in
grado, nella stessa notte, di trasferirsi sul continente. Per
assicurare la buona riuscita dell’operazione venne approntata
una imponente difesa antiaerea, coordinata dall’abile colonnello
Ernst Günther Baade - Kommandeur der Messina - Straße, alle
dirette dipendenze dal Gen.le Hube - comandante il XIV corpo
corazzato - e del Ten. Gen. Von Senger und Etterlin che, a sua
volta, era stato comandante delle truppe tedesche in Sicilia
sino al 16 luglio. Tra la sponda sicula e quella calabra furono
piazzati, lungo la costa e sopra le alture circostanti, circa
300 cannoni di vario calibro (fra cui parecchi dei temibili “88
mm.” della FLAK tedesca) oltre a diverse centinaia di
mitragliere fra cui le efficacissime “Flakvierling 20/65” a
canna quadrupla.
(vedi
foto accanto)
Lo spiegamento di artiglierie e mitragliere fu, a detta degli
stessi avversari, il più potente sistema antiaereo dell’intera
guerra, paragonabile solo a quello approntato a difesa della
Rhur e di gran lunga superiore a quello che aveva difeso Londra
durante la “Battaglia d’Inghilterra”.
Tale giudizio fu anche espresso dai piloti inglesi e americani
che tentarono di forzare il muro di fuoco che ad ogni allarme si
ergeva a difesa dello Stretto.
Gli italiani s’avvalsero di tre battelli a vapore, di un
traghetto ferroviario e di 10 gommoni a motore che, con continue
traversate diurne e notturne, riuscirono a portare in Calabria
circa 62/mila uomini (altri 32/mila circa erano già stati
traghettati prima), 227 veicoli, 300 motocicli, alcuni cannoni
da 122/45 e 12 muli. Andò persa una sola imbarcazione.
Per quanto concerne le forze tedesche, i servizi di
traghettamento erano alle dipendenze del capitano di fregata
Gustav Von Liebenstein, mentre il comando dei mezzi navali era
stato assunto, dal 22 luglio, dal capitano di vascello Gerhard
Von Kamptz. La difesa antinave era affidata a 8 pezzi da 170
mm., posti sul versante calabro. Essi respinsero più d’una volta
i tentativi di alcune motosiluranti alleate di contrastare
l’andirivieni delle motozattere.
La fase più importante si svolse tra il 14 e 16 agosto, nel
corso della quale furono effettuate ben 4700 traversate.
Il risultato fu stupefacente: i Tedeschi riuscirono a
traghettare un totale di 39.570 soldati (inclusi 4.400 feriti),
9605 autoveicoli, 47 carri armati, 94 pezzi d’artiglieria,
15.700 tonnellate di attrezzature e rifornimenti, 1.100
tonnellate di munizioni e 960 di carburante, contro il
danneggiamento d’appena 13 imbarcazioni e di un solo morto.
Furono i Tedeschi, per inciso e senza commenti, a lasciare per
ultimi l’Isola.
Nel complesso si trattò di un clamoroso successo tattico e
organizzativo che, in relazione all’intenso e spasmodico sforzo
logistico posto in atto, farà dire anche agli avversari che il
traghettamento dello Stretto di Messina - “operazione Lerghang”
- fu "la Dunkerque italiana".
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A.M.G.O.T.
ALLIED MILITARY GOVERNMENT of OCCUPIED TERRITORIES
- GOVERNO MILITARE ALLEATO PER I TERRITORI OCCUPATI -
Gli Alleati, una volta messo piede da vincitori sul suolo
italico e in aperta contraddizione con la strumentale propaganda
da cui s’erano fatti precedere (avevano ipocritamente
sbandierato ai quattro venti che avrebbero portata la
“libertà”), rinnegarono ogni promessa e optarono per la
creazione un organismo cui affidare l’amministrazione dei
“territori occupati” dalle proprie forze armate e lo
contrassegnarono con una terminologia non consona e affatto
degna per dei Paesi che si vantavano d’essere libertari e
democratici. Il “governo” fu definito “militare” piuttosto che
“civile”, mentre i “territori” vennero considerati "occupati"
piuttosto che "liberati".
A riprova di tale incoerente atteggiamento, basta leggere le
sgrammaticate affermazioni contenute in parecchi volantini e
manifesti (vedi “documento” n° ”4” e “5”) ove, con assoluta
sfrontatezza, si fece ricorso ad espressioni di assoluto sapore
demagogico, quali, ad esempio: ..."siamo venuti a ridare la
libertà", …."nessuno dichiarò guerra all'Italia"; …..”nessuno ha
aggredito l’Italia”; …."ieri Hitler condannò gli italiani
d'Africa, oggi condanna gli italiani d'Italia" (sic); …."stiamo
dalla parte della libertà del Mondo"; …."combattiamo per
liberarvi dal giogo nazi - fascista", ecc. ecc.
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Nel primi giorni dell’occupazione della Sicilia, la sede
"provvisoria" dell’ A.M.G.O.T. venne approntata, per pochi giorni,
ad Enna, da dove, appena attuata la “liberazione” della
“capitale” dell’Isola, fu poi trasferita a Palermo.
A capo della stessa, era stato posto il “Colonnello" Charles POLETTI,
(foto a destra) in effetti un semplice ufficiale di complemento. Era
uno strano personaggio che, si disse, era giunto in Sicilia,
ancora prima dello sbarco, munito di adeguate credenziali
rilasciate dai "boss" della radicata e potente "mafia siculo -
americana". Egli gestì il potere con sistemi autoritari e
“assurda durezza”, a suon di "proclami" e "ordinanze",
dimostrando scarso senso di comprensione e di civile rispetto
verso le comunità siciliane. E’ stato acclarato che durante il
suo lungo soggiorno palermitano condusse un tenore di vita degno
di un emiro (in tutti i sensi, anche esibendosi nella squallida
parte di “sciupa femmine”) ed ebbe frequenti contatti con i
maggiorenti della mafia siciliana. Parecchi noti “uomini
d’onore” furono da lui nominati sindaci d’importanti centri
come, ad esempio, Genco Russo a Mussomeli, Calogero Vizzini a
Villabate, Lucio Tasca a Palermo. Pensò bene, a cuor leggero e
senza scrupolo alcuno, d’insediare Michele Navarra (noto capo
mafia di Corleone) nell’incarico di “sovrintendente
all’amministrazione dei trasporti in Sicilia”.
Durante il brevissimo soggiorno ennese, forse per un misterioso
impulso del suo subconscio ma non certo per distrazione, fece
sistemare il proprio ufficio nella ex “Casa del Fascio" (già
sede del Federale), l’ex "Convento dei Benedettini".
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Invasione della Sicilia - 10 luglio 1943
ANEDDOTI, FATTI E MISFATTI
Una barzelletta raccolta a Racalmuto, “città della ragione” e
paese natale di Leonardo Sciascia.
Poco prima della guerra un
gruppo d'amici è alle prese con un interessante ragionamento politico del
momento.
Parla il primo: "C'è 'a disoccupazioni, non c'è sale pe'
saliera, non si campa 'a iurnata, qua' l'unica cosa 'a fari è
la guerra all'America".
Risponde il secondo: "….va beni, va, ma….con tutti i guai che
avimu, ci mettiamo a fari guerra all'America".
Ragiona ancora il primo: "appunto, così li costringiamu a
viniri, per occuparci, ... e tra “food” e discoteche
ci portano 'u binesseri".
"Giusto, bella idea" replica il secondo, ma un terzo obietta:
"scusati, l'idea è bellissima, ma se poi duvissimo vincere
'a guerra,
cumu imu nui in America ... a disoccuparli?"
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"Attraverso la folla che ci dava il benvenuto, una colonna di
soldati italiani prigionieri marciavano, su un lato della
strada, con le braccia alzate sulla testa. Ne vidi uno che
guardava rabbiosamente un civile che aveva gettato con gioia un
cocomero sul mio sedile. Un altro soldato camminava con le
lacrime che gli scorrevano sulla faccia…, mai avevo visto uno
spettacolo più pietoso.
I soldati italiani devono essersi
sentiti veramente amareggiati mentre passavano attraverso la
folla dei loro connazionali che acclamavano i soldati di un
altro paese… ".
Così scrive Jack Belden, corrispondente di guerra della rivista
statunitense “Life”.
La scena descritta, coi soldati italiani
incamminati verso la prigionia e con gli italiani che acclamano
i soldati americani, fino a poche ore prima "nemici", si era
svolta a Giacalone, un paesino nei pressi di Monreale. Era il 21
luglio 1943.
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