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Selvinia - lettera a Luigi e Fily - 2011

di Pino Ferrante

 

“Cari amici, voi conoscete soltanto la parte esteriore delle mie vicende familiari. Ora vi racconto e vi confesso, perché ho le mie colpe, come sono andate effettivamente le cose nella mia famiglia da quando ci trasferimmo al nord. Sono certo che non vi scandalizzerete se vi dico che la vita degli uomini è una storia di droga, ma delle anime.
Ciascuno di noi subisce il fascino delle idee; si avvitano nella mente e penetrano facili e veloci tutte le volte trovano chi è ben disposto ad accoglierle, come accade con l’eros. 
Mia moglie Graziella, quando ci trasferimmo a Selvinia, fu subito aggredita dalla smania dei consumi, mentre io continuai a credere, come avevo fatto a Roccadisopra, da ingenuo o immaturo, scegliete voi, nelle mie utopie, pur essendo immerso fino al collo nelle necessità del vivere quotidiano come marito e come padre. Il nostro legame coniugale fu sereno fino a quando Graziella non ebbe la sventura, così continuo a chiamarla nonostante i miei ricorrenti ripensamenti, di essere catturata dal desiderio morboso di possesso delle cose e dal vivere il quotidiano ubbidendo all’apparenze, in cui il rapporto con gli altri veniva dopo quello con i beni. Gli altri, cioè l’umanità, secondo la mia scala di valori, per evitare di tornare alla giungla, non dovrebbero mai essere posti per ultimi. L’essere non è funzione dell’avere o viceversa. Questa banale opinione l’ho sempre coltivata, anche se negli anni ’60 si è discusso e scritto su tale argomento fino alla noia. A sconfiggere il socialismo, sostiene un politico, sono stati i supermercati. Da allora da coniugi diventammo estranei, coltivando ciascuno il nostro credo o vizio. Per fortuna riuscimmo a tener fuori i figli dalle nostre malattie, che hanno probabilmente a loro suggerito di non drammatizzare i loro inevitabili dubbi; hanno un buon lavoro, sono sereni e vivono il loro tempo accettandone i tratti aspri e difficili come eventi fisiologici. 
Cresciuti i figli, decidemmo di porre fine, anche ufficiale, al nostro matrimonio. Ciascuno, da allora, costruì una vita affettiva fatta su misura dei suoi bisogni. Lei inseguì, prossima ai quaranta anni, i suoi sogni, puntando su una separazione coniugale come ad un atto di consumo da espletare anche nelle formalità, per me del tutto inutili, a difesa della roba, la cui accumulazione innervò fino a qualche anno fa le sue azioni, imprigionandola entro schemi di vita parossistici.
Gli amici pensano che la mia passione per la politica non abbia gli elementi di volgarità del consumare, ma si sbagliano. Le mie opinioni, se non sono sorrette dal mio esempio, pur se incidono positivamente sugli altri, hanno un limitato valore, perché allontanano l’individuo dalla coerenza tra idee e azione, tra teoria e prassi. Nella specie, avendo in Italia la politica sia di destra che di sinistra accettato l’economia di mercato e, quindi, anche i modi di produrre e la necessità di consumare, non ha modo di offrire radicali diversità di comportamenti, che siano di esempio agli elettori. Se ci pensate bene e vi guardate attorno, la politica in senso lato, ivi compresa quella economica, è solo idea e il consumo o produrre è solo prassi, fenomeno che riguarda tutti i settori della società. Anche la chiesa ed il clero. La pace dell’anima che dà una messa o la processione del Cristo morto con le sue musiche tristi non è forse una forma di droga, il cui effetto finisce, generalmente, al termine dei riti? Avete mai visto cambiar vita a un malvagio che frequenti la chiesa con la stessa disposizione d’animo di chi va al cinema o a teatro? L’uno spettacolo vale l’altro e tutti, in diversa misura, influiscono provvisoriamente sullo spettatore commuovendolo o educandolo verso qualcosa cui diamo la definizione di bene. Ma sono proposte di bontà che rimangono tali, se non inseriti e tradotti in un progetto concreto di vita, che riguardi anche gli altri, la comunità, da attuare nella vita quotidiana con sacrificio di sé e del proprio egoismo. Anche a voi certamente capita di assistere in televisione a programmi o pubblicità che invitano a donare denaro ad organizzazioni filantropiche. Quante volte, tuttavia, avete tradotto questi “input” in azione concreta?
Non ha avuto grandi colpe Graziella, né gli altri come lei. Il suo connubio con la parte peggiore del mondo moderno è stato a lei imposto dai modelli di vita divenuti diffusi e prevalenti perché in mano a chi aveva interesse e gli strumenti per imporli. E’ stato facile gioco convincerla perché le si proponeva, come fosse una bambina, un giocattolo al posto della fatica dei libri e della ragione. Il solo suo torto è stato forse di aver voluto, per sua comodità, rimanere, di fatto, bambina e, in quanto tale, incapace ad opporsi consapevolmente alla violenza dell’accumulazione e del dover consumare per poter produrre e viceversa, fino all’infinito, costi quel che costi al bene comune e all’umanità. 
Graziella si è illusa d’essere così felice; purtroppo non lo è mai stata, pur inseguendo e cercando con il bastone dei ciechi la strada per esserlo. Ha percorso un itinerario in cui erano assenti o estranei gli altri con i loro sentimenti, i loro bisogni, la loro spiritualità. Ha speso così l’intera sua vita inutilmente, chiusasi nel modo più tragico. Due anni fa le fu stato diagnosticato il morbo di alzaimer e tutti, ivi compresa la mia compagna Anna, l’abbiamo assistito fino alla fine avvenuta un mese fa. La sua morte ha ridato a lei la sua innocenza. Tuttavia, seppure aiutata in questa triste circostanza dalle cure amorevoli di figli, nipoti, marito ed estranei, non ha avuto la buona sorte di scoprire come abbia per lei funzionato quella scala di valori, da lei rinnegata, in cui l’umanità e l’amore vengono prima di ogni altra cosa. Gli uomini possono cambiare la storia di questa terra non solo proclamando le rivoluzioni ma facendole, con la fatica, con l’organizzazione e con le rinunce ch’esse richiedono; declamare ai quattro venti – come io ho fatto finora - costa poco o niente, pur se mi sento appagato; potrei essere indicato come uno dei numerosi mestieranti della politica e delle religioni, intenti a mantenere il consenso delle folle, vittime della demagogia delle parole. Da questo fenomeno perenne di incoerenza nasce l’antipolitica dei nostri giorni e degli innumerevoli don Chisciotte della storia; non è altro che una chiara forma di opposizione ai comitati di affari di qualsiasi colore e tendenza e reazione convulsa e anarcoide alle coriacee alleanze degli immensi interessi dei ceti dominanti. 
La droga del potere riguarda tutti, anche gli oppositori, siano essi veri o finti; insieme trovano comodo starsene in parlamento o in altri consessi lustro dopo lustro a goderne i privilegi, allo stesso modo di come accade ai chierici da millenni. Sono affetti gli uni e gli altri da quegli elementi di fragilità e tossicità che imputano agli avversari. Celebrano e parlano ogni giorno del pensiero e dell’esempio di San Francesco, di Luter King e di altri martiri, ma nulla fanno per somigliargli. Nessuno si converte, traducendo l’idea in fatto. Per questo si continua a discutere di utopia e di utopisti, i soli che nei momenti cruciali della storia pagano con il sangue le loro scelte. Fra essi, pochi in verità, il Gesù della storia è l’esempio più luminoso, insieme agli eroi delle variegate lotte di liberazione in ogni parte del mondo per la pace e per la giustizia, contro la fame, l’ignoranza e tutti i mali del mondo.
Io, come la maggior parte dell’umanità, non ho avuto occasione per misurare la mia fragilità e non so come mi comporterei nel caso fossi posto dagli eventi di fronte al dilemma di Galilei. Posso dire soltanto di avere, fino ad oggi, resistito alle tentazioni. Ma è poca cosa di fronte agli esempi luminosi di quei pochi intellettuali degli anni ’30 che non si arresero al fascismo, perdendo carriere, prestigio e cattedre. 
Come vedete, siamo un po’ tutti drogati dalla parola, che da sola non fa l’uomo. Solo la scienza e la natura, forse, potrebbero liberarci dal malanno; ci affrancherebbero dai bisogni e dall’egoismo stampato nel dna degli uomini, la prima scoprendo criteri di produzione illimitata di energia e di beni per l’intera umanità senza danni per il pianeta e la seconda accettando tali criteri come espressione del divino e del materno che gli antichi ravvisarono nella “gea” della mitologia greca. Solo così, forse, si darebbe realizzazione al disegno dei vari eroi e l’umanità sarebbe indotta, finalmente, a riconoscere in quei segni la mano dell’ultimo liberatore o Messia.
Prima che sulla scena riappaiano le ombre di D’Annunzio, Giovanni Papini, Marinetti ed altri della medesima tempra, pronti a scalzare quelle di Leone Ginzburg, di Antonio Gramsci, dei fratelli Rosselli, di Amendola, di Gobetti e di numerosi martiri del pensiero, è auspicabile che gli illuminati di oggi, se ci sono, non attendano, prima di muoversi con la parola e con l’esempio, che accada l’irreparabile; diano subito vita ad un nuovo rinascimento che ponga queste due “entità” in cima alla conoscenza. Quale strada percorrere? Sono ormai vecchio; mi limito soltanto, come ho sempre fatto senza umiltà, a sollevare il problema e a riaprire la più antica disputa di tutti i tempi. Ma agli uomini si consentirà di confrontarsi in assoluta libertà politica e religiosa o torneranno a funzionare medievali tribunali e arderanno altri roghi? Il processo di liberazione sarà ancora una volta interrotto da nuovi Hitler della conservazione e dell’ignoranza?

Pino Ferrante

 

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