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ll premio Nobel per l'Economia 2008 è stato assegnato allo statunitense Paul Krugman. L'Accademia reale svedese delle Scienze ha conferito all'economista il premio di 1,4 milioni di euro per i suoi studi sui modelli di commercio e sulla localizzazione delle attività economiche

 

''Credo molto nel proseguimento del mio lavoro'', è stato il commento a caldo di Krugman all'assegnazione del prestigioso premio.    55 anni, docente di Economia e affari internazionali all'Università di Princeton, è noto nel mondo accademico per i suoi studi riguardanti la teoria del commercio, e in particolare per i modelli in base ai quali i paesi potrebbero guadagnare dall'imposizione di barriere protezionistiche. Noto anche per i suoi libri di testo sulle crisi valutarie e sull'economia internazionale, Krugman è stato critico della New Economy degli anni novanta del XX secolo, dei regimi di cambio fisso dei paesi insulari asiatici e della Thailandia prima della crisi del 1997, dell'affidamento ai governi per difendere i cambi fissi sul quale si sono basati investitori (quali i gestori di capitali a lungo termine) prima della crisi debitoria russa del 1998. Il suo testo "Economia internazionale: Teoria e Politica" (scritto insieme a Maurice Obstbeld) è un libro di testo molto diffuso riguardante, appunto, l'economia internazionale. Nel 1991 ha ottenuto il prestigioso riconoscimento denominato John Bates Clark Medal dall'Associazione americana per l'economia. La filosofia economica di Krugman può essere descritta come neo-keynesiana.   Krugman, che è anche editorialista del "New York Times", è stato uno dei maggiori critici delle scelte - in economia e politica estera - dell'amministrazione Bush.   Paul Krugman, infatti, è stato ed è uno storico oppositore della politica economica ed estera del Presidente Bush.  Quale sostenitore della linea neo-keynesiana, teorizza l'intervento dello Stato per regolare il mercato e gli scambi commerciali internazionali. Krugman è anche uno dei pochi studiosi che aveva osservato con largo anticipo i rischi che hanno poi generato la crisi finanziaria. Profetico il suo libro scritto nel 2001 "Il ritorno dell'economia della depressione. Stiamo andando verso un nuovo '29?'. Nel 1991 ha ottenuto il prestigioso riconoscimento John Bates Clark Medal dall'Associazione americana per l'economia. E' diventato molto popolare, molto conosciuto al grande pubblico, soprattutto per i suoi attacchi a Bush, in particolare in occasione della guerra in Iraq.  Ma non bisogna confondere l'assegnazione del Nobel da parte dell'Accademia delle scienze svedese con una discesa in campo contro il presidente americano e a favore di un intervento statale nell'economia, afferma Francesco Daveri, professore ordinario di Politica Economica presso la Facoltà di Economia dell'Università di Parma e redattore di un importante sito economico. 

 "Non credo che l'Accademia delle Scienze faccia scelte di campo, - osserva Daveri -, semplicemente ha dato il premio Nobel a chi ha cambiato il modo in cui gli economisti pensavano alla globalizzazione. Dopo le sue pubblicazioni, lo studio dell'economia internazionale non è stato più lo stesso.  I suoi studi dimostrano anche che il mondo globale è molto più soggetto alle crisi. Ma è riuscito a valutarlo in tutta la sua complessità scoprendo, ad esempio, che non valeva più la teoria dei rendimenti costanti di scala, in base alla quale che un'azienda fosse piccola o grande non faceva differenza ai fini della competizione. Invece quelle che riescono a esportare meglio delle altre, e quindi a competere, sono proprio le grandi aziende che diventano multinazionali. Una considerazione che sembra banale, però prima di lui per qualche strana ragione gli economisti non ci avevano pensato, e se ci avevano pensato non avevano superato le difficoltà di ordine tecnico che impedivano di sviluppare dei modelli". Analizzatore della globalizzazione e del commercio internazionale, ma non paladino delle barriere doganali (qualcuno per un certo tempo ha erroneamente interpretato le sue teorie economiche  come un modo per fornire un supporto a politiche protezioniste), a suo giudizio - ricorda Daveri -  “quello che conta è avere aziende grandi, ma occorre proteggerle finché non sono grandi, sulla scorta della teoria dell'infant industry.  

Però lui ha anche spiegato che si trattava di una vecchia tesi degli anni '50, non più valida. Un'efficienza protetta produrrà Alitalia, non certo Wal-Mart o Nokia".  Altra scoperta fondamentale della teoria economica di Krugman è quella relativa alla concorrenza nei mercati globali: "Prima dei suoi studi - spiega Daveri - l'ipotesi era che tutti i mercati fossero in concorrenza perfetta. Krugman ha dimostrato che molto spesso sono invece oligopoli, ognuno vende un prodotto un po' differente dagli altri e questo lo rende oligopolista, anche perché i consumatori si affezionano ad alcuni beni, che comprano più volentieri. E allora come fanno le imprese a commerciare? Questa teoria dimostra che, pertanto, esistono buone ragioni per specializzarsi e per commerciare con molti Paesi, e per avere economie aperte, non difese dai dazi. I gusti delle persone sono variegati, ecco perché conviene il commercio internazionale".
Al di là del peso delle sue teorie economiche, Krugman è decisamente un economista 'alla moda', i suoi commenti sono molto letti.

E tutto sommato, nonostante gli attacchi a Bush e la vicinanza al Partito democratico, può essere considerato in parte politicamente 'trasversale', essendo stato, anche se per un breve periodo, consigliere dell'allora presidente repubblicano Ronald Reagan. "La sua posizione di fustigatore di taluni tagli di tasse di Bush, le forti critiche verso l'atteggiamento repubblicano che nega anche l'esistenza di una spesa pubblica e il ruolo del governo dell'economia, non c'entrano niente con la sua teoria sul commercio internazionale - chiarisce Daveri -. 

Però, sicuramente, c'è un collegamento tra le sue teorie e la crisi internazionale che in questo momento sta attraversando i mercati. Krugman ha studiato come possano insorgere molto rapidamente e in modo improvviso crisi là dove per molto tempo non è emerso niente, come situazioni che sembravano tollerabili possano diventare drammatiche. In questi casi, le sue 'ricette' sono però molto ortodosse. In questi giorni ha mostrato di apprezzare gli interventi dei governi europei, meno quello di Paulson. In generale, Krugman ha una buona fiducia nell'intervento statale di carattere temporaneo".

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