GLI
“ISMI” DELLA SECONDA REPUBBLICA
di Enzo Palumbo
Nella generale e forse prematura convinzione che l’era di
Berlusconi stia volgendo al tramonto, si è acceso il dibattito
se gli sopravvivrà il c.d. “berlusconismo”, e cioè quel
“meltingpot” piuttosto sgradevole –originato dalla mescolanza di
interessi personali e politici, vizi privati e pubblici,
messaggi demagogici e contradditori, sguaiatezza
comportamentale, ruberie generalizzate, approssimazione
intellettuale, incapacità operativa– che ha crescentemente
caratterizzato la seconda repubblica e che induce a fare
dell’attualità italiana una sconfortante diagnosi.
Francamente, penso che la domanda sia mal posta, e che siano
quindi sostanzialmente inutili le tante dotte risposte che da
ogni parte si tenta di darvi.
Credo infatti che all’origine delle mutazioni genetiche della
c.d. seconda repubblica non ci sia tanto il “berlusconismo”, che
semmai ne è una conseguenza, quanto piuttosto il suo sistema
elettorale, il bipolarismo per l’appunto, che nasce dalle
macerie della prima Repubblica,nella convinzione che fosse
necessario individuare una sbrigativa scorciatoia per transitare
velocemente alla terra promessa della democrazia
dell’alternanza, ormai resa possibile anche in Italia, non più
terra di frontiera rispetto al blocco orientale egemonizzato
dall’URSS.
L’ipotesi posta a base della riforma elettorale del 1993 era
che, sotto la spinta di una legge bipolare e tendenzialmente
bipartitica, i protagonisti della prima repubblica si sarebbero
via via accorpati in ragione della loro pregressa affinità
ideologica e della prospettiva di comuni obiettivi; e così, per
stare al caso che qui più interessa, i liberali si sarebbero
uniti ai repubblicani, e poi ai radicali ed ai laici in genere;
analogamente si sarebbero comportati a loro volta i socialisti
delle varie confessioni, unendosi prima tra di loro e poi coi
postcomunisti divenuti anch’essi socialisti; ed a quel punto
anche i postdemocristiani avrebbero per necessità subìto un
processo di forte omologazione tra le tante correnti del
passato, magari collegandosi a quelle aree cattoliche, attive
nell’impegno sociale, che si erano sin lì sottratte ad ogni
impegno politico.
Alla luce dei fatti, oggi possiamo constatare che quel progetto
era sbagliato o comunque è fallito, il che poi è la stessa cosa:
piuttosto che l’unione di ciascuna cultura politica, il
bipolarismo ne ha provocato la divisione ed addirittura la
frammentazione, mentre la ricomposizione necessitata dal nuovo
sistema elettorale è avvenuta secondo una logica che non era più
quella della rappresentanza degli interessi di ciascuna area
politica, quanto piuttosto quella dell’ostilità verso gli altri,
e, nell’un campo come nell’altro, sotto l’alibi costituito dal “programmismo”,
quasi sempre fantasioso e velleitario, in un crescendo di
promesse a cui ciascun soggetto politico si faceva lecito di
lasciarsi andare, senza porsi neppure il problema della loro
intima coerenza e concreta praticabilità.
Ciò che prima era unito sulla base di una comune concezione
della società, si è andato così scomponendo per le più diverse
ragioni (talvolta politiche, più spesso personali), e si è poi
ricomposto secondo una logica che non era più quella della
rappresentanza (con le sue regole naturali, alle quali ciascun
elettore prestava quasi naturale consenso in ragione delle
convinzioni che nascevano dalla sua personale formazione
culturale), ma piuttosto secondo la logica del “programmismo”
(con l’unica regola della cattura occasionale del consenso per
la conquista del potere, e, ancora di più, per impedirne la
conquista agli avversari divenuti nemici): in breve, al voto
“per” qualcosa e “per” qualcuno si è sostituito il voto “contro”
qualcos'altro e qualcun altro.
La proposta politica è quindi totalmente cambiata:
all’affermazione “io sono” (che consentiva una valutazione sulla
credibilità e coerenza rispetto ai comportamenti del passato ed
alla affidabilità per il futuro), si è sostituita l’affermazione
“io propongo” (che obbliga ad una scommessa al buio sul futuro
anche prescindendo dal passato), e su questo nuovo scenario si è
costruita la cattedrale delle aspettative, quasi sempre andate
deluse proprio perché basate su promesse impossibili da
realizzare..
Sulla scia del “programmismo”, a seguire, sono venuti gli altri
“ismi” tipici della seconda repubblica, che hanno malamente
sostituito quelli ideologici della prima: in primo luogo il
leaderismo (con compiti di supplenza rispetto alla mancanza di
idealità), ed a seguire, il populismo (che ne è il naturale
corollario), il trasformismo (prima assolutamente residuale), il
bellicismo (con l’avversario trasformato in nemico),
l’estremismo (per restare sempre in sovraesposizione), il
giustificazionismo per i propri sodali (sulla base del noto
aforisma di Roosevelt riferito al dittatore nicaraguense
Noriega: “sarà pure un figlio di p……., ma è il nostro figlio di
p…..”); mentre ogni comportamento politico ha finito per essere
deciso e valutato con lo strumento improbabile del “sondaggismo”,
divenuto di casa su giornali e televisioni.
I talk shaw, anche nella loro versione più seriosa e castigata,
hanno fatto il resto.
Berlusconi è stato il più lesto di tutti a capire ciò che stava
accadendo, e si è subito sintonizzato sul nuovo spartito, mentre
gli altri ci hanno messo un po’ di più, ma senza riuscirci del
tutto, perché quelle nuove caratteristiche, che in Italia sono
sempre state connaturali alla destra, hanno trovato una sinistra
ontologicamente più refrattaria, sino al punto da favorire la
nascita, proprio nella sua area, dell’ennesimo “ismo” che tutti
li riassume: il “grillismo”, al quale la sinistra tenta ora di
porre rimedio inventandosi l’ennesimo “ismo”, il “renzismo”, che
è il massimo del leaderismo populistico che la sinistra sembra
possa permettersi, e che si avvia a diventare il pane quotidiano
della prossima stagione politica.
Se il bipolarismo, come io credo, è all’origine della malattia
della nostra democrazia, è qui, sulla causa e non sui suoi
effetti, che si deve intervenire per imboccare la strada della
guarigione.
Il fatto si è che ogni mutazione del sistema elettorale provoca
una corrispondente mutazione nel comportamento degli elettori e
quindi nella strutturazione del sistema politico: la stessa
persona, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, vota in
maniera diversa a seconda che ci sia un sistema elettorale
piuttosto che un altro.
E trovo abbastanza naturale che gli attuali protagonisti della
politica, che sono nati dal bipolarismo e che senza di esso non
sarebbero nemmeno esistiti, siano naturalmente portati a
preservarlo, in una forma o nell’altra, in ciò coadiuvati dai
principali commentatori di stampa e televisione, che si
rifiutano di ammettere i disastri ai quali ci ha condotto il
bipolarismo (beninteso, quello italiano, e non quello altrui,
che non ci riguarda); e, se così sarà, resterà anche un pio
desiderio ogni ottimismo sulla prospettiva delle convergenze
ideologiche che dovrebbero logicamente vedere i liberali coi
liberali, i popolari coi popolari ed i socialisti coi
socialisti, lasciando che altri, sul prolungamento del
“continuum destra-sinistra”, si dividano il resto.
A meno che la Corte Costituzionale, che lo scorso anno ha
improvvidamente salvato questa vergognosa legge elettorale dalla
tagliola referendaria, cessi di mandare l’ennesimo segnale di
fumo con le ormai consunte ammonizioni alla politica, ed invece
si decida una buona volta a fare il suo lavoro, accogliendo la
questione sollevata dalla Cassazione su istanza di un gruppo di
cittadini, il cui primo firmatario, non per niente, porta il
nome di Aldo Bozzi, omonimo del suo avo tanto caro ai liberali
d’antan come me, e così mandando al macero il premio di
maggioranza dell’attuale legge elettorale, se non anche la
vergogna delle liste bloccate, come pure sarebbe auspicabile.
Ne risulterebbe in tal caso un sistema proporzionale con soglia
al 4%, un po’ come in Germania (soglia al 5%) o in Austria
(soglia al 4%), che per i liberali è obiettivo difficile ma non
impossibile, talvolta centrato (come per il NEOS in Austria),
talaltra no (come da ultimo per la FDP in Germania), e così
anche propiziando ciò che anche in Italia l’ALDE sta tentando di
fare.
Solo a quel punto, tutto sarà possibile, anche che i liberali,
quelli nuovi più facilmente che quelli della diaspora, si
ritrovino insieme, e che la stessa cosa facciano i popolari ed i
socialisti.
E, se così non sarà, il sogno del ritorno alla politica resterà
tale, e ci risveglieremo nel mondo di ieri e di oggi, magari
ritrovandoci con qualche “ismo” in più!
Messina 26.10.2013
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