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Il Giornalismo oggi, i “media” e l’informazione



 Porre in discussione l’utilità sociale della “informazione” sarebbe del tutto fuor di luogo, a prescindere dal fatto che potrebbe apparire quale una vana e pretestuosa polemica. E’ irrinunciabile, però, il diritto all’informazione corretta, veritiera e completa, al di fuori d’ogni valutazione soggettiva di parte e senza tentativi di mercificarla alla stregua di un qualsiasi prodotto consumistico. Dovrebbe essere chiaro a chiunque, e in particolare a certi tronfi “capoccia” che manovrano a loro piacimento emittenti televisive e testate giornalistiche d’ogni tipo, che il richiamato diritto alla corretta informazione è uno dei peculiari e irrinunciabili valori d’ogni società civile. Nessuno, quindi, può permettersi d’intaccarlo per fini tornacontistici o comunque scorretti!
Ma, chi è che distorce e disattende le regole morali ed etiche che stanno alla base della corretta informazione e che, quindi, dovrebbero tutelare il sancito “diritto” del cittadino ?
Sembra strano, ma pare che proprio parecchi degli operatori del delicato settore dell’informazione, casualmente o deliberatamente, si siano assunti la funzione di “guastatori” del sistema, sia a fronte dell’approssimata loro preparazione culturale e professionale che per effetto della smania di protagonismo, di egocentrismo o di stupida vanagloria. Aggiungasi che l’odierna forte esigenza di fare “cassetta” o di acquisire “audience” sembra avere assunto, ormai, una posizione prioritaria nella scala dei fattori che determinano la linea editoriale delle testate giornalistiche e di quasi tutte le reti televisive. L’irresistibile, quanto dilagante, bramosia del lucro, in uno al diffuso asservimento ai partiti, alle ideologie politiche e ai potenti gruppi finanziari, fa il resto e si giunge facilmente ad una conclusione non tanto edificante: l’andazzo qualitativo di parecchi importanti organi informativi appare parecchio discutibile, specie ove si tenga conto dei negativi riflessi che tale stato di cose ha sulla coscienza e sulla cognizione della numerosissima fascia di lettori e utenti con un bagaglio culturale medio basso.
Non è questa, ovviamente, la sede adatta per elencare le variegate disfunzioni che quotidianamente si evidenziano nei vari settori dell’informazione. Non è per nulla facile, peraltro, infrangere il muro di gomma che protegge le poco trasparenti finalità del mondo dei “mass – media”. Il pubblico dei lettori e dei teleutenti non può fare altro che osservare passivamente e subire ogni sorta di abuso. 
Chiaramente, le pericolose anomalie dell’apparato informativo della televisione di Stato, nella misura in cui promanano dal comparto del cosiddetto “servizio pubblico”, sono maggiormente riprovevoli. 
E’ ben facile rendersi conto, oltretutto, come e quanto i programmi e i servizi posti in onda siano talvolta imprecisi e poco attendibili, oltre che scarsamente approfonditi, quando addirittura non sono basati su notizie e argomentazioni distorte o manipolate a bella posta. 
Quest’ultimo vezzo, in verità, non riguarda solo la televisione ma può essere esteso a parecchie titolate testate della carta stampata. 
E’ assurdo, per inciso, che la RAI seguiti a pretendere il pagamento del “canone”, quando è notorio che nelle sue casse affluiscono, parimenti, i rilevanti proventi della ossessiva pubblicità, oltretutto gestita con sistemi prettamente concorrenziali e speculativi, alla stregua delle cosiddette “televisioni commerciali”. La necessità di fare ricorso a detti proventi, ormai indispensabili per sopperire agli incredibili oneri che gravano sul carrozzone radio televisivo pubblico, concorre ad abbassare, ulteriormente, il già scarso livello culturale e informativo del palinsesto RAI.
Nel settore, poi, della informazione più squisitamente politica, si va di male in peggio stante che tutto è costruito attorno alla fuorviante e ipocrita formula della “par condicio”. Si fa un uso spropositato di ripetitivi quanto inconcludenti dibattiti fra le varie componenti politiche, sindacali e di categoria che, purtroppo per gli spettatori, non hanno più niente che li faccia assomigliare ad un civile “incontro” mentre esprimono, bensì, l’acrimonia di veri e propri “scontri”. E’ chiaro, oltretutto, che tali pilotati dibattiti hanno perso di credibilità stante che sono strutturati e condotti in funzione degli “ospiti” accuratamente scelti o di quelli “segnalati dai partiti” (in genere, quasi sempre le stesse facce) i quali ultimi hanno il precipuo compito di enunciare e ripetere, sino alla noia, vari “luoghi comuni” memorizzati in ossequio agli schemi predisposti dalle rispettive segreterie. Con il risultato che ciascun partecipante alle barbose “passerelle” è obbligato a sostenere a spada tratta le proprie affermazioni, in costante disaccordo con qualsivoglia argomentazione addotta dalla parte avversa (spesso, anch’esse, poco fondate e concrete), facendo scadere la discussione al livello dei più insulsi comizi di periferia. L’imprevidente telespettatore che occasionalmente viene a trovarsi al cospetto di un tale sconveniente spettacolo, subisce una sorta di prepotenza psicologica e morale, un autentico “stress”, che porta più alla confusione mentale che alla comprensione degli argomenti trattati. I personaggi di turno facilmente dimenticano che la verità, quella credibile e accettabile, spesso non abita negli studi televisivi o nelle redazioni dei periodici. La si può trovare, invece, fra la gente comune, nelle riflessioni dell’uomo della strada, negli ambienti non contaminati dalla politica. Ed allora, perché non la si smette con tale sorta di torrenziali e soporiferi “bla–bla” politico elettoralistici ? Perché nei dibattiti non vengono invitati anche dei cittadini qualunque ? Sarebbe bene (e sicuramente parecchio utile), infatti, ascoltare il pensiero di quella larga fascia di popolazione (invero, la maggioranza assoluta) non allineata che non è compromessa con la spartizione politica del potere informativo. 
Riflettendo sui fatti quotidiani dell’Italietta politica a due velocità, divenuta luogo di corruzione, di vessazioni, di vacui esibizionismi, di promesse non mantenute, viene spontaneo, a proposito delle disfunzioni dell’ “informazione”, porsi alcune domande: è questa la decantata alta professionalità del giornalismo di casa nostra? …. o ci troviamo di fronte ad una sorta di “cosa nostra” dell’informazione? e che dire, poi, dei poco ameni “telegiornali” ? 
E un vero e proprio squallore. 
Per riempire gli spazi vuoti delle “telecronache” (che talvolta sono solo camuffate da “diretta”), le varie regie, a loro volta, propongono, ad uso e consumo di qualche babbeo che finisce col crederle fresche di giornata, foto e immagini viste e riviste. Una sequela di confusi e spesso slegati “flash” si abbatte, attraverso il diabolico elettrodomestico chiamato televisione, sull’inerme spettatore, determinando in lui una sorta d’ “illusione istrionica”.
Perché tormentare la gente parlando, quasi esclusivamente, di “vittime civili”, di pericoli, di genocidi, di “distruzioni di massa”, di “bombe sporche”, di “sevizie”, di “stupri”, di “paure per il domani”, di tasse, di caro vita e di aumenti di prezzi e tariffe ?
Non esistono più, in Italia e nel Mondo, cose belle, avvenimenti lieti, realizzazioni incoraggianti e positive ?
Guai poi quando i telegrafici “flash” dei telegiornali scadono nel patetico, nel tragico o nel disastroso. Verrebbe voglia di gridare o di piangere alla stregua di un torrente in piena ! 
Informare va bene, ed è doveroso, ma elargire a piene mani, spesso con il meschino fine di proporre degli “scoop”, macabri scenari di torture, dolore e morte, è vergognoso e ignobile, specie perché è a tutti noto, anche ai coraggiosi ma spregiudicati “inviati”, quale effetto deleterio e deprimente tutto ciò ha sulla massa dei teleutenti. 
Basta e avanza essere consci di ciò che ogni guerra ha sempre apportato e apporta in distruzioni, morti, e dolore. Quando mai nella lunga storia dell’uomo, degli spietati conflitti come quelli che si combattono in Iraq, in Afganistan, in Palestina o in atre parti del Pianeta, ha apportato gioia, rose e fiori, benessere ? Non sarebbe male che molti giornalisti, o improvvisati tali, ripassassero la storia e, in ogni caso, non sembra giusto che si retribuiscano lautamente tanti impietosi cronisti perché con le loro luciferine telecamere propongano ad ogni piè sospinto terrificanti inquadrature. Non è questa l’informazione che ci si aspetta da chi, volontariamente, si è assunto il compito di seguire gli avvenimenti per spiegarne, correttamente e obiettivamente, l’andamento, le conseguenze, le previsioni. Tutto ciò che è cruento e impressionante sarebbe bene che lo si avvolgesse in un manto di pietosa riservatezza, per il rispetto dei morti, dei sofferenti, e, perché no, dei telespettatori (fra cui, molto spesso, anche dei bambini) che in genere mal sopportano la vista di violenze e di raccapriccianti scene. Perché non impegnarsi nel trasmettere, invece, l’intenso sforzo di chi presta aiuto alla popolazione, di chi affronta i gravi problemi assistenziali, di chi lenisce i patimenti della gente, di chi opera nei centri di accoglienza, di chi persegue, non a parole o da lontano, il fine della fratellanza nella pace ? 
Uno sforzo in tal senso, ideologicamente asettico, sereno e scevro da ogni e qualsiasi forma di protagonismo, non sarebbe male ! 
Questo è il giornalismo sano, utile, prezioso, che tutti vorremmo. Non quello nefasto, disumano, abominevole, che ci viene quotidianamente ammannito dai telegiornali e dalla carta stampata! 

(2007)
A. Lucchese


P.S. Il discorso di cui sopra, pur se essenzialmente rivolto al nebuloso ambiente televisivo, va anche riferito, per molti versi e sotto molti aspetti, all’informazione fornita dalla cosiddetta “carta stampata”, anch’essa patologicamente succube degli stessi “virus”.
 

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