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Mobilità sociale e sviluppo nel meridione. 

Il tragico inganno delle parole.
I proletari della mente.


di Giuseppe Ferrante




Non vi sono indagini o studi che smentiscano che in Italia vi sia scarsa mobilità sociale e, in particolare, nel meridione, dove solo da qualche decennio si è formata una assai modesta borghesia imprenditoriale e delle libere professioni.
Il sogno del proletariato rurale e urbano di scavare un proprio sentiero negli antri angusti occupati dal ceto medio-alto ha caratterizzato la storia politica degli ultimi due secoli, concludendosi con un’una apparente sconfitta, seppure nascosta dalle parole e dal significato che viene generalmente attribuito a due sostantivi ormai desueti, rimasti però nell’immaginario dei più: proletariato e borghesia.
Il transito apparente e “nominalistico” dall’una all’altra categoria sociale da parte di milioni di cittadini appare falso, mistificante e privo di sostanza se , correttamente, si attribuisce al termine latino “proletarius” il suo antico significato di “appartenente all’ultima classe”.
Non occorrono molte parole per definire e circoscrivere il perimetro entro il quale collocare, nell’attuale società, gli ultimi, se si condivide quale discrimine il principio della sicurezza sociale, garantita ad alcuni e quasi inesistente per la maggior parte dei “proletari”, ivi compresi gli appartenenti o gli aspiranti al pubblico impiego, alla docenza e, addirittura, alle libere professioni.
Nell’ultimo secolo le ideologie prevalenti si sono scontrate, ma nessuna di loro ha mai negato che era nei suoi propositi l’intento di rendere percorribile e facile il traghettamento da una classe all’altra o, addirittura, la volontà di eliminare le classi sociali, attraverso la lotta dell’una contro l’altra.
Alla luce di tali premesse, appare agevole affermare che sono una moltitudine coloro che hanno tentato la “scalata sociale” ma sono stati, di fatto, ricacciati, per la loro condizione di assoluta precarietà sociale ed economica, fra gli ultimi ovvero nel proletariato, stranamente e assurdamente inteso in modo negativo o, addirittura, spregiativo.
Molti sono coloro che dimostrano di non avere compiuta consapevolezza di tale loro collocazione per il solo fatto di possedere un titolo di studio o una preparazione professionale, strumenti rivelatisi del tutto inutili e inefficaci per progettare un loro futuro. 
Questa inconsapevolezza li rende ibridi, per metà colletti bianchi in attesa di promozione sociale e per il resto lavoratori della mente scoraggiati e pieni di rabbia per la loro manifesta impotenza.
Chi scrive, da anziano, suggerisce a costoro, che sono a metà del guado, di rinunciare alle loro paralizzanti titubanze e di effettuare una scelta che sia coerente con i loro interessi, eliminando dal loro immaginario una visione arcaica del classismo e accettando, una volta per tutte, la nobiltà del lavoro, comunque svolto, il disprezzo per il parassitismo e il valore della sapere e della conoscenza.

Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  
 - e-mail: augustolucchese@virgilio.it