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Dibattito sulla "crisi della giustizia"

 

Organizzato dall’Associazione Ethos si è svolto il 12 marzo u. s., nei locali del ristorante “U’ Conzu” di Viagrande, un importante incontro tecnico culturale nel corso del quale si è ampiamente discusso sul preannunciato tema “la crisi del sistema giudiziario – quali le cause e i possibili rimedi?” 
Pur a fronte di parecchie assenze, dovute all’inclemenza del clima e alla concomitanza della partita di calcio Catania – Inter, è intervenuto, unitamente ai Soci della Associazione, un folto numero di invitati assai interessati al tema. Il Presidente Augusto Lucchese ha curato la presentazione del tema in discussione, esponendo con la solita foga e incisività i punti salienti del dibattito che ha stimolato con la elencazione di una gustosa serie di aforismi e di citazioni ben distribuiti fra le due categorie di solito antagoniste, Magistratura e Avvocatura, segnalando alcune evidenti incongruenze del sistema italiano in gran parte attribuibili alle carenze del potere legislativo (Parlamento) non in grado di esprimere, per le note contingenti circostanze, le essenzialità di un autentico sistema democratico.
Ha poi preso la parola l’avv. Giuseppe Ferrante che ha sottolineato, pur riconoscendo quote di responsabilità, in misura diversa, ai governi, al Parlamento, alla magistratura e al C.S.M., come vi sia, tra le varie cause della crisi, il maggiore tasso di illegalità e di litigiosità esistente in Italia, rispetto agli altri paesi europei, con conseguente “inceppamento” della macchina giudiziaria afflitta, fra l’altro, da scarsi investimenti e da un apparato normativo in continua evoluzione, ma quasi sempre in ritardo rispetto ai cambiamenti ed alle esigenze della società. E’ successivamente intervenuto l’avv. Francesco Furnari il quale, dopo avere brillantemente tratteggiato aspetti non rassicuranti sul funzionamento della macchina giudiziaria, ha dato il là ad un variegato dibattito, non esente di una buona e sorridente “vis” polemica, riguardante la Magistratura e i criteri di reclutamento dei giudici, proponendo, a tale proposito, nuovi e originali sistemi che non siano esclusivamente basati sul pubblico concorso.
E’ seguito un nutrito dibattito, che ha visto gli interessanti e motivati interventi dell’avv. Farina e dell’avv. Scaravilli, i quali hanno individuato, tra le varie cause della non ragionevole durata dei processi, l’assenza di metodi meritocratici nella progressione in carriera dei giudici. 

Riportiamo, di seguito, alcune incisive riflessioni dell’avv.Giuseppe Ferrante sulla crisi della giustizia, riflessioni che puntualizzano la vitale importanza del problema dibattuto.
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“Sarà, per ovvie ragioni di tempo, una disinteressata chiacchierata fra amici che, per motivi di non verde età, non hanno interessi di carriera o d’altra natura da difendere o coltivare. 
Nella crisi della giustizia siamo, chi più e chi meno, tutti coinvolti, sia come attori o utenti o, in casi rari, solo come testimoni.
Libri, stampa, televisione ci tengono ogni giorno informati sul mancato funzionamento della macchina giudiziaria; non vi è alcuno che si astenga dal proporre ricette e dall’assegnare colpe e responsabilità. Sotto accusa, in base al colore politico dell’improvvisato medico, vengono posti la magistratura, i governi, il parlamento, il consiglio superiore della Magistratura, come se questi organismi fossero a noi estranei e non proiezione e sintesi del modo di essere di ciascuno di noi, con i nostri comportamenti, con i nostri vizi, con i nostri costumi, con la nostra dose quotidiana di illegalità e di litigiosità. 
Senza negare le grandi responsabilità di questi organismi, ometto di citare dati e statistiche sulla crisi, non ultimi quelli pubblicati oggi sulla Repubblica sulla giustizia civile; per capirci qualcosa e per farlo in pochi minuti, stante l’intento divulgativo di questo incontro, occorre andare alle radici del fenomeno. Faccio un inversione ad U, lasciando la disamina scientifica sul tema proposto al dibattito culturale in corso in Italia ormai da decenni e mi domando e vi domando: è, forse, il tasso di illegalità e di litigiosità, notevolmente maggiore rispetto agli paesi d’Europa, ad inceppare la nostra macchina giudiziaria? E’ l’amministrazione giudiziaria a non funzionare per carenze proprie, per negligenza, per assenza di strutture, per errati ordinamenti o è l’enorme lavoro ad essa richiesto, assai maggiore rispetto agli altri paesi, che le impedisce di funzionare e di dare una risposta in tempi ragionevoli alle infinite domande di giustizia dei cittadini? Do per scontato che vi sono nell’eziologia della crisi gravissime responsabilità di tutte le classi dirigenti ( governi, parlamento, magistratura ) seppure in diversa misura. Ma noi, cittadini, come lavoratori, impiegati, liberi professionisti, imprenditori possiamo dirci esenti da colpe e, in perfetta coscienza, assolverci? 
Metaforicamente, possiamo pretendere che un autobus, piccolo e antiquato come la Giustizia Italiana, possa trasportare, sempre e dovunque, un numero di persone maggiore di quello per cui è abilitato e che su esso salgano, a loro discrezione nei processi civili, anche coloro che non hanno alcuna necessità di spostamento e di utilizzo?
Vi confesso che come avvocato anch’io ho da scontare qualche peccatuccio nell’utilizzo del sistema giudiziario. Ma non mi sento in regola con la mia coscienza ogni volta da cittadino - utente dei numerosi servizi pubblici, commetto piccole illegalità quotidiane, in apparenza prive di rilievo sociale.
Un recente studio della Banca d’Italia ha concluso che una delle cause determinati del contenzioso giudiziario risiede nell’eccessivo e spropositato numero di avvocati in Italia.
Condivido questa diagnosi, fornendovi anche delle spiegazioni e un esempio. Come giudice aggregato definii nel 2003 con il rigetto della domanda un giudizio iniziato nei primi anni 70’ avente per oggetto il risarcimento dei danni subiti da un alunno infortunatosi mentre era a scuola. I danni erano lievissimi e la responsabilità del fatto non chiaramente attribuibile a negligenze degli operatori scolastici. In questa causa, durata oltre trenta anni, si ebbe la partecipazione di ben 5 avvocati, uno per l’attore, uno per la maestra, uno per il Comune e uno dell’avvocatura dello Stato in difesa del ministero della Pubblica Istruzione. La causa, inoltre, fu trattata da non meno dieci giudici, che ereditarono, l’uno dopo l’altro, quel giudizio. Lascio a voi immaginare quali furono i costi sostenuti dalle varie parti e, soprattutto dal pubblico erario, e i motivi che spinsero l’attore ad iniziare la causa. 
In materia penale segnalo che il costo giornaliero della detenzione è di 600 euro. Se una quota di tale somma venisse impiegata nella formazione umana e nella generale prevenzione avremmo certamente un minore tasso di criminalità e una società più civile. 
La cronaca di ogni giorno ci offre uno spaccato allarmante dei grandi delitti; altri comportamenti, seppure assai gravi e di elevato danno sociale, vengono inseriti, per il loro continuo e diffuso verificarsi, nel perimetro del pubblico “scandalo”; sono cioè percepiti dalla maggior parte della pubblica opinione come errori scusabili e, per certi versi, non meritevoli di adeguata pena. Ne faccio un elenco. Assenteismo massiccio nei pubblici uffici, dai ministeri fino ai piccoli comuni, costruzioni abusive, utilizzo dei beni demaniali come fossero propri, danneggiamento, violazioni al codice stradale, falso in bilancio, evasione fiscale, corruzione, peculato, malversazione. Sottolineo, a tale proposito, come il costo dell’evasione fiscale sia di 3000 euro all’anno per ogni cittadino onesto che paghi o sia costretto a pagare le imposte, in particolare stipendiati e pensionati. Una quattordicesima e quindicesima rata di retribuzione o pensione sottratta dagli evasori dalle tasche dei contribuenti onesti. Una fattispecie analoga al reato di furto, punito dal codice penale con anni di reclusione. 
Sorge spontaneo e naturale affermare, pur nella banalità e nella astrattezza di una tale conclusione e non indagando sulle cause profonde di questa diffusa assenza di valori umani e morali, che non appare diffuso fra i cittadini il piacere, pirandelliano, dell’onestà, che potrebbe rappresentare, in via preventiva, il principale rimedio, privo di costi, alla crisi della giustizia. Come splendidamente espresse il grande De Filippo nella sua poesia “Vincenzo De Pretore”, in Paradiso non possono esserci ladri e non occorrono carabinieri e giudici perché lì il pane è ben diviso ed ognuno ha una casa e un letto.
Aggiungo io che il paradiso, in terra, è utopico realizzarlo e non nutriamo pretese in tal senso, ma agli italiani non toccherebbe tentare, quantomeno, di puntare al Purgatorio, attingendo alle loro risorse e alle loro residue opzioni etiche e morali? Si ha la sensazione, però, che essi, oggi, in un momento di chiara emergenza sociale, facciano di tutto, probabilmente in modo inconsapevole, per precipitare nell’inferno. 
Meno etica significa banalmente maggiore illegalità, con conseguente maggiore necessità di presenza di apparati di giustizia e di repressione.
Occorre, però, che questi cittadini, di cui invochiamo l’onestà, credano nelle istituzioni, ne abbiano stima e da esse traggano concreti esempi di probità. Obiettivo difficile da perseguire fino a quando la gestione della giustizia ad essi apparirà sconclusionata e priva di un minino di credibilità. In particolare fino a quando non saranno perseguiti e sanzionati più severamente di quanto avvenga oggi i reati di truffa, societari, finanziari, contro la pubblica amministrazione, contro l’evasione fiscale, contro l’economia, tutti reati ormai privi di concreta punizione a causa dei tempi lunghi processuali, che comportano la prescrizione, e degli sconti di pena previsti per i riti alternativi. 
E’ sconcertante, infatti, che al succedere di uno stupro, specialmente se commesso da un extra comunitario, reato ovviamente grave, il legislatore sia pronto, sulla spinta emotiva ampia e condivisa del momento, a decidere immediatamente all’aggravamento della pena, scordando di farlo nei confronti di chi, con i suoi delitti, metaforicamente stupra la collettività o la corrompe ( Cirio, Parmalat, scandali bancari vari, tangenti ed altro). Si ha la netta sensazione che lo Stato sia forte con i deboli e debole con i forti, tipica condizione di una società diseguale e ingiusta, quasi feudale. Da un lato gli indifesi “aut sider” e dall’altro i privilegiati “in sider”, coperti da regole che li rende quasi immuni dai rigori della legge. Se a ciò si accompagna il tentativo da parte governativa di cancellare nei “media” la grande criminalità dei colletti bianchi e di presentare la classe dirigente esente da collusioni e da intrallazzi vari, mai si potrà sperare nel successo nella lotta contro tale tipo pernicioso di illegalità.
Mi sono imposto la brevità e non voglio violarla. Concludo e, per essere propositivo e con i piedi a terra, indico quali possono essere i rimedi a questa crisi, lasciando all’avv. Furnari di concludere questa chiacchierata. 
1) nuove regole di diritto sostanziale nei confronti degli illeciti commessi dai pubblici amministratori, dai burocrati e dai politici; nuove regole di diritto processuale;
2) informatizzazione dei processi e applicazione delle nuove tecnologie;
3) distribuzione razionale degli uffici giudiziari e del personale sul territorio;
4) depenalizzazione di buona parte dei reati di modesta pericolosità sociale;
5) scrupoloso controllo della produttività e della laboriosità dei magistrati, con salvaguardia, comunque, della loro autonomia.
6) opportuna riduzione del numero degli avvocati nel corso dei prossimi dieci anni.
7) Reclutamento, mediante pubblico concorso, dei magistrati tra gli operatori giudiziari (avvocati, docenti, cancellieri, notai) con almeno 7 anni di attività, con riconoscimento della relativa anzianità ai fini della pensione.
Concludo con un sorriso e, pur essendo certi della vostra specchiata probità, formulo l’invito fatto dal dirigente di un pubblico ufficio ai suoi dipendenti ad essere un tantino onesti. Voleva forse dire ad essere meno disonesti”.

 

 

 

Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  Via Lavina, 368 – 95025 Aci Sant’Antonio
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