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Giorgio Gaber, (Giorgio Gaberscik) 
nasce a Milano il 25 gennaio 1939,
muore a Montemagno di Camaiore il 1º gennaio 2003. 
Cantautore, commediografo, regista teatrale. Affettuosamente chiamato "Il Signor G", è stato anche un chitarrista di valore e, tra il 1958 e il 1960, il primo interprete del rock.
Nel 2004, gli è stato intitolato l’auditorium sotterraneo del Grattacielo Pirelli di Milano.
(Riportiamo, di seguito, una sintesi dalle numerose recensioni esistenti sul Web circa la sua intensa vita di musicista, compositore e attore).

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“…. Cos'è, cosa dice, scrive e fa un intellettuale, in una stagione confusa come la nostra? È uno che mentre gli altri sembrano fare i conti con le cose più spicciole guarda un po' più in là e un po' più dentro. Le parole di tutti non gli bastano, per lui vogliono dire un'altra cosa. Perciò le deve riscoprire, ripulendole da ovvietà ed equivoci. Perché l'intellettuale vero le parole le usa tutte, le più semplici come le più difficili, e non ne teme nessuna. E poi l’intellettuale, quello vero, lo distingui perché ama il pensiero ma ancora di più ama la realtà. Ed è lì che diventa scomodo. Le parole, i pensieri, le ideologie, le misura con la realtà. E dunque di volta in volta diventa spiacevole per qualcuno. Quando un intellettuale non spiace più a nessuno non è che serva a molto”.


…….…. Gaber è stato ed è anche oggi, ora che il suo interlocutore si è ormai frammentato in mille direzioni, un intellettuale collettivo. / ……. Giorgio Gaber ama il rigore della forma, nella scrittura e in palcoscenico. Usa i mezzi di comunicazione per quello che sono e che valgono. Infatti la sua lingua è netta, semplice, diretta. Non ha complessi d'inferiorità verso la cultura alta, narcisistica, autoreferenziale degli intellettuali all'italiana. In teatro ha promosso un'audace convivenza di forme, dal monologo alla canzone, dalla pièce di prosa fino ai bis con la chitarra. E volta per volta, a seconda della necessità, la sua parola si è fatta sberleffo, richiamo, dileggio, emozione, disincanto, amarezza. Si è sentito per anni insieme a un'intera generazione e poi di colpo solo, sempre più solo. / ….. Giorgio Gaber è figlio del jazz e del rock & roll. Siamo nella seconda metà degli anni 50 e la leggenda narra del Santa Tecla, locale un po’ equivoco a due passi dal Duomo di Milano. E’ lì che uno studente della Bocconi, diploma di ragioniere, milanese ma di radici triestine, si trasforma in chitarrista e poi perfino in cantante. /…….

…….. In realtà Gaber sta vivendo una lunga parentesi, un gioco consapevolmente goliardico. Non crede affatto che il suo futuro professionale verrà da queste notti senza fine. Eppure fra la chitarra, il microfono e la vita da orchestrale, si sta formando una parte rilevante dell’artista Gaber. …….. Giorgio Gaberscik, in arte Gaber, non ha ancora diciannove anni.”. 


…….. Gaber cerca un’altra strada. …… Però c’è ancora un pubblico da trovare e il luogo giusto dove incontrarlo. ….. Mentre i concerti in teatro gli fanno scoprire un punto di arrivo senza ritorno, sul fronte discografico la faccenda è più complicata. …… Gaber non sta né di qua né di là, troppo rigoroso e troppo musicista per disfarsi del suo mestiere e troppo cosciente dei mutamenti in atto per tornare indietro. 


……… Ed è ancora Milano ad indicare la svolta definitiva, …… con una parola che oggi appare già d’altri tempi: decentramento. L’anno chiave è il 1970. Paolo Grassi (RAI) …... comincia a corteggiarlo per un’ipotesi di récital prodotto dal Piccolo Teatro. Ma Gaber ha un carnet fitto di impegni…….. Sarà Grassi a far sì che la partecipazione di Gaber a …”E noi qui” (17.1 milioni di telespettatori ……) si trasformi in un vero e proprio micro-récital. ….. Poi…. il decentramento del Piccolo: ottobre, novembre e dicembre in provincia e finalmente, dal 12 gennaio del 1971, tredici giorni filati nella storica sala milanese di via Rovello.


Comincia una corsa dentro lo spirito dominante del decennio, decennio chiave di cambiamenti e rivolgimenti, accolto da Gaber con un atteggiamento che va dall’entusiastica adesione agli incalzanti interrogativi e infine alla più cocente delusione. …… E’ un Gaber trentenne che sta dalla parte del nuovo che avanza, che si identifica con una generazione che crede nel cambiamento, nella “rivoluzione”. Nei dialoghi Gaber fa la parte del non so, sottoponendo le certezze del militante, dell’impegnato, a una severissima disanima, fino alla vera e propria provocazione. E’ il nodo esistenziale, personale quello che gli sta a cuore. Da lì, dalla spietata analisi delle contraddizioni, quella che diverrà quasi la “sigla” di Gaber nel decennio: la libertà, di cui quasi tutti ricordano il ritornello (“la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”) e pochi la ridda di interrogativi che lo precede, su quello che la libertà “non” è. …… Nasce la magica sintonia fra una certa “razza” – che in quel momento sembra la più intelligente e creativa del Paese - e un artista che cercava proprio questo: un contatto fra il suo lavoro e la realtà. 


……. Eppure la cosa cresce, va avanti, ed ecco la stagione ‘73/’74. ……. Il Piccolo Teatro è ormai solo un biglietto da visita, un patrocinio. La televisione è ormai dietro le spalle, la discografia un gioco d’altri tempi. E sarà così per sei esplosive stagioni fino al ‘78/’79, in un autentico crescendo. Far finta di essere sani è una sorta di viaggio profondo nell’io diviso, contraddittorio, insincero. …… Il rapporto fra l’io e la realtà resta la grande questione sul tappeto, anche se semplificata. …… La contraddizione, la spaccatura, sono affrontate guardando alla parola (“La ragnatela, La bugia”) ma soprattutto al corpo, alla sua ingombrante fisicità, alla sua identità in crisi (“Il corpo stupido”), al suo rapportarsi con gli altri (“Le mani”). La fragilità di un egualitarismo indiscriminato è già indicata in un monologo …… che sembra anticipare di anni l’esasperazione mentre si fa strada il desiderio di altre liberazioni (“La leggerezza”) e soprattutto la coscienza piena dell’irriducibilità della realtà, qualsiasi ideologia tenti di ingabbiarla (“La realtà è un uccello”). ………“C’è solo la strada” …. da percorrere con lo stesso spettacolo per due stagioni ……. Con “La razza” ……. crede di avere raggiunto i primi risultati politici ma …… sembrano crescere la distanza e l’amarezza (“I reduci”), il desiderio dell’oltre (“Il delirio”), l’insoddisfazione per un io che continua ad aver bisogno di maschere (“Il comportamento”), la difficoltà dei riferimenti ideologici (“Il sogno di Gesù, Il sogno di Marx”). C’è sempre in serbo il balsamo dell’ironia …… che produce due evergreen assoluti: “Le elezioni” e “Si può”. La svolta successiva, “Polli d’allevamento”, farà molto discutere e lascerà un segno definitivo…... 


La stagione ‘78/’79 ha alle spalle l’Italia del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, un’intera fetta della “razza” persa dietro al mito del terrorismo, il consociativismo in parlamento e le divisioni che crescono nel Paese. Gaber torna in teatro con coraggio ….. disposto al confronto duro, provocatorio, doloroso. ……. L’esperienza è già un bilancio in rosso ….. che sfocia nel gusto imprevisto per le suggestioni ….. della violenza (“La pistola”). …….. “Per riflesso vi agitate, continuate ad urlare, finché non vi scoppia il cuore, il cuore, il cuore…”. Emerge ….. il dolore aspro di un padre che vede negli ultimi figli, quelli del movimento del ’77, dei “mostri” di cui si sente in qualche modo responsabile: “Guardatemi bene, non credo più a niente, non voglio più lavorare, come un deficiente…sono un vostro figlio, una vostra creazione, un vostro prodotto: avete visto come sono ridotto!”. Emerge ….. il commiato definitivo, il divorzio da una generazione, da una “razza” che ha sperperato e reso consumo ogni sogno di diversità. I toni sono senza precedenti, il sarcasmo stride come carta vetrata, come se fosse l’ultimo appello contro il disfacimento di un sogno: “Io per me, se c’avessi la forza e l’arroganza, direi che sono diverso e quasi certamente solo, direi che non riesco a sopportare le vecchie assurde istituzioni e le vostre manie creative, le vostre innovazioni…”. 


……. Da solo? Senza più una “razza”, senza più un “noi”? Sì, solo. Ma i riconoscimenti anche collettivi non mancheranno, da parte di un pubblico individualista in cerca di qualcuno che lo interpreti o di nuove aggregazioni di tutt’altra provenienza rispetto al passato, la cui attenzione sorprenderà per primo il diretto interessato. 


…….. C’è l’ennesimo bilancio bruciante del sogno appena trascorso (“Non è più il momento”), la pura e semplice contemplazione della positività della vita (“L’illogica allegria”), la prima avvisaglia di quello che sarà un lungo viaggio nell’universo femminile (“Una donna”) ……… Arrivano altri assaggi in nuove direzioni: dalla fragile condizione della malattia (“Gildo”), al corpo a corpo quasi “testoriano” con la dimensione religiosa (1981). …….. Ma non si può ignorare che il contraccolpo verrà dall’ultima provocazione-invettiva: “Io se fossi Dio”, scritta nell’estate dell’80, risulterà talmente estranea all’atmosfera dominante da dover ricorrere a un discografico di “disco dance” per uscire su vinile. E’ il “redde rationem” contro tutto e tutti, il potere e l’antipotere, la sinistra e la destra, gli amici e i nemici. E’ una danza macabra, un inferno dantesco in cui nessuno è risparmiato, ….. forse è il colpo di coda, lo sfogo necessario, catartico, di un artista collettivo che reagisce così al consociativismo mentale dominante, all’”embrassons nous” squisitamente di potere che sta preparando nuovi disfacimenti al Paese. Serve una pausa, un intervallo: “No, non muovetevi, c’è un’aria stranamente tesa, un gran bisogno di silenzio, siamo come “in attesa”. 


…… si aggiunge al repertorio una struggente canzone dai toni metafisici (“io e le cose”) e un’implacabile analisi cantata del presente come Il sociale, dove già s’intuiscono molte delle malattie che verranno, dal solidarismo indiscriminato al conformismo della cultura. Cultura che è bersaglio di tagliente sarcasmo nel travolgente monologo Ma il bilancio finale di quest’Italia imbelle ….. è insolitamente tenero. Sarà, per qualche anno, l’ultimo sguardo sul mondo. Altre urgenze attirano i nostri autori. Anzi una sola: la ricostruzione di una possibile integrità dell’io a partire dalla sua esigenza più elementare: il sentimento.


……… “La fatica quotidiana del capofamiglia che va al lavoro. I piaceri di cui è fatta la sua precaria esistenza. Sì, certo... tutto dentro la naturalezza di quelle spalle vestite. Quello che io ora provo per quell'uomo è una comprensione diretta, senza impegno, senza ideologie sociali. Attraverso quest'uomo li posso vedere tutti. Nessuno sa quello che fa, nessuno sa quello che vuole, nessuno sa quello che sa. Intelligenti, stupidi... che differenza c'è? Vecchi giovani... certo, tutti della stessa età. Uomini donne... Che vuoi che conti?... Tentativi di persone che forse... esistono. Sì, quell'uomo è tutto. Bisognerebbe essere capaci di trovare... l'indulgenza e l'amore che dovrebbe avere un Dio che guarda”. ……….


……… Ogni stagione ha i suoi colpi di genio. La stagione ‘91/’92 è quella dell’impetuoso monologo. Qualcuno era comunista, quasi una generosa prova, e insieme bilancio dolceamaro, di un sogno a cui tanti avevano creduto. ……. Il paesaggio intorno è quello dell’Italia ferita da tangentopoli, e gli anni seguiti alla caduta del muro di Berlino non si riveleranno che l’inizio di un tragico domino che abbatterà partiti, istituzioni, carriere e vite personali. Ma la lezione degli anni Settanta non è passata invano per dare uno sguardo alla realtà ormai trasversale, senza facili risposte. Spunta dove meno te l’aspetti, scettico verso le insensate euforie dei mass media, ….. sarcastico verso la telecrazia montante (“La strana famiglia”). E nella stagione ‘94/’95 Gaber ritrova persino il gusto per titoli forti, provocanti, come quello dello spettacolo E pensare che c’era il pensiero, ……un monologo sapido e raggelante sull’impotenza del sistema politico: “La sedia da spostare”, “Mi fa male il mondo”. 


……. Ma l’intuizione più originale è forse nella Canzone della non appartenenza (“Io non mi sento italiano”), dove il bersaglio è il rischio di insincerità di tanto solidarismo corrente. …… la Canzone dell’appartenenza dopo quasi trent’anni farà la pace con quel bisogno antico, ma sempre vivo, di cercare una “razza” cui appartenere. Desiderio fattosi ancora più attuale di fronte al progressivo sfarinarsi delle identità (“Il conformista”) e dell’idea. 


……. “La razza in estinzione” e “Verso il nuovo millennio”, rappresentano una amarissimo bilancio del presente e ….. arrivano come una staffilata sulla stanca e confusa opinione pubblica italiana, su quelli che un tempo appartenevano alla stessa “razza” come sui nuovi arrivati. E’ come se Gaber, a sessant’anni, tornasse ai risultati raggiunti quando ne aveva poco più di venti. …….. Ma c’è un altro aspetto. Quello che era nato come una sorta di omaggio a sorpresa da parte dei suoi più fedeli collaboratori - chiedere ad alcune personalità insigni una breve testimonianza sui quarant’anni di carriera – …..rivela un inaspettatamente universale riconoscimento al suo lavoro. Da Mina a Francesco Alberoni, da Antonio Ricci a Sergio Castellitto, da Sergio Bertinotti al fondatore di Comunione e Liberazione don Luigi Giussani, tutti concordano nel riconoscere, pur da sponde e radici diverse, quanto è prezioso l’apporto di Giorgio Gaber alla nostra cultura. ……..Riepiloghiamo: Gaber è l’ultimo artista, l’ultimo intellettuale, ad aver conosciuto da vicino la cultura di massa, ad averla frequentata e sfidata sul suo stesso terreno, dalla canzone alla televisione. Poi ha scommesso sulla possibilità di inventarsene un’altra, di cercare un modo più autentico e vero di comunicare, ritrovandosi con nuovi strumenti sull’antica strada del teatro. 


…… Il punto è se l’opinione pubblica italiana sarà in grado, in questo secolo che avanza, di accettare le prossime sfide di un intellettuale vero come Giorgio Gaber. Una risposta non ce l’abbiamo, ma sappiamo che è una bella fortuna, per un Paese come il nostro, poter contare su una voce così libera e vera. E che ci riporta alla realtà.

 

Ethos – 04/04/2013

 

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